CAMILLE CLAUDEL 1915 di Bruno Dumont |
L’internata della società
di Maddalena Marinelli
“Non è senza rimpianto
che ti vedo spendere il tuo denaro in un manicomio. Del denaro che potrebbe
essermi utile per fare belle opere e vivere piacevolmente!”
(lettera
alla madre dal manicomio di Montdvergues, 18.02.1927)
Camille Claudel a vent'anni |
La
scultrice francese Camille Claudel rimase reclusa per trent’anni in una casa di
cura psichiatrica solo perché era un personaggio scomodo; perchè aveva
manifestato segnali di depressione dopo la fine della sua lunga relazione
clandestina con Auguste Rodin vedendosi negata ogni speranza di matrimonio.
A
Camille non era concesso nemmeno di rammaricarsi troppo per un amore finito. Per
la scultrice inizia un periodo difficile. Si isola nel suo studio. Accusa Rodin
e la sua banda di averle rubato idee e bozzetti. Distrugge molte opere. A
questo punto, per la carriera di Paul Claudel e del cognato magistrato, avere
parentele con una ‘pazza’ in circolazione è una pessima pubblicità.
Dopo
la morte del padre, l’unico sostenitore della ragazza, la famiglia Claudel
procede. Lasceranno che Camille marcisca a tempo indeterminato in un manicomio.
Diagnosi: “E’ affetta da delirio
sistematico di persecuzione basato principalmente su false interpretazioni e fantasie”.
La
madre e la sorella non si preoccuperanno mai di fargli visita.
L’unico
a mantenere un legame con lei, seppur discontinuo negli anni, sarà suo fratello
Paul Claudel a cui Camille aggrappò l’ultima speranza di poter un giorno
tornare nel mondo, al lavoro nell’amato atelier ma gli fu negato per sempre di
proseguire il suo percorso artistico.
Camille Claudel nel suo atelier accanto all'opera "Persée et la Gorgone" |
L’amato
piccolo Paul ha nutrito sentimenti molto contrastanti nei confronti della
sorella, riconoscendone il grandissimo genio ma parallelamente evidenziandone,
secondo lui, i tanti limiti: “ Il
mestiere dello scultore è, per un uomo, una specie di sfida continua al buon
senso, per una donna sola e col temperamento di mia sorella è pura e semplice
impossibilità” (Paul Claudel)
Allieva,
musa, amante, coadiutrice e rivale. Quanto avrà influito il talento, la
creatività, l’intuizione della giovane Camille sull’opera di Rodin?
Certamente
l’apprendistato in un atelier si basava su reciproche concessioni tra maestro e
allievo, per questo è difficile stabilire con certezza chi sia il vero autore
di molte opere.
Lavoravano
tutti i giorni insieme usando gli stessi modelli.
Rodin
ha una profonda stima per la sua assistente. La consulta su tutto.
Mani
e piedi di molti personaggi sono lasciati all’abilità, al tocco della scultrice
durante il lungo tormentato periodo di simbiosi artistica e sentimentale
terminato nel 1895.
"Ha una natura
profondamente personale, che attira per la grazia ma respinge per il
temperamento selvaggio." (Auguste Rodin)
Camille Claudel 1915 di Bruno Dumont |
Inverno
1915. Sud della Francia. Montdevergues, un manicomio abbarbicato in cima ad una
collina. Camille Claudel è prigioniera di interminabili giornate sempre uguali
circondata da malati di mente che a volte accudisce e a volte allontana
bruscamente.
Un
lungo incubo senza fine raccontato con rigore essenziale dal regista francese
Bruno Dumont che gira il film in una
vera casa d'accoglienza nei pressi di Avignone circondando, la protagonista,
Juliette Binoche di autentici degenti psichiatrici.
Dumont
vuole ricreare e trasmettere il dolore dell’anima di Camille. Vuole che risuoni
ovunque, anche nel silenzio.
Rilascia
un principio immateriale, alimenta un’aura magica e spirituale che comunica col
pubblico senza troppe parole o costruzioni visive.
Il
richiamo dell’arte si riaccende sempre e Camille cerca di disegnare fiori, prende
una pietra in mano oppure tenta la modellazione di una zolla di terra che forse
le ricorda come da bambina amava plasmare l’argilla rossa a casa del nonno a
Villeneuve.
Questi
piccoli tentativi di riavvicinarsi alla creazione artistica si spengono nella
più grande disperazione di chi vorrebbe volare ma gli sono state tarpate le
ali.
Camille Claudel (Juliette Binoche) nel film di Bruno Dumont |
Non
può più scolpire. Osserva la desolazione, la natura, i piccoli rituali
quotidiani di malati e inservienti. Prega convulsamente nella piccola chiesa,
piange improvvisamente, ride, sviluppa manie di persecuzione. Accusa ancora
Rodin di tutte le sue sciagure. Si convince che vogliono avvelenarla ma anche la
persona più integra impazzirebbe presto allontanata dal mondo, dai suoi sogni e
nel quotidiano contatto con veri malati mentali.
In
manicomio il tempo si trasforma in un’ interminabile attesa.
Camille
attende per mesi, per giorni la visita del fratello preparando parole adatte.
Si
ripete in testa quella maledetta arringa finale sperando di essere compresa, di
poter vivere la sua vita in una modesta casa di campagna ma Paul Claudel aveva
già emesso la sua condanna nei confronti della sorella e non gli permetterà mai
più di uscire.
L’internamento
era una punizione per una vita troppo emancipata o, secondo i dogmi morali di
Paul, un meritato castigo per un aborto avvenuto durante la relazione con
Rodin.
Camille Claudel (Juliette Binoche) nel film di Bruno Dumont |
Così
la società dell’epoca confina a vita questa ‘creatrice’, personalità femminile
unica, talentuosa e appassionata.
“E’ lo sfruttamento
della donna, l’annientamento dell’artista alla quale si vuole fare sudare
persino il sangue. Tutto ciò in fondo viene dal cervello diabolico di Rodin.”
(lettere
al fratello dal manicomio di Montdvergues, 03.03.1930)
Uno splendido commento di donna su una donna, arricchito dalla sensibilità condivisa di artista e pervaso dalla condanna di un'ingiustizia che ancora ferisce e che deve servire di monito anche alle generazioni attuali affinché non si ripetano più.
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