martedì 23 aprile 2013

MAD GALLERY



Volti e luoghi di alienazione
di Maddalena Marinelli

"La società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d' essere."    (Franco Basaglia, Che cos'é la Psichiatria, 1967)
William Hogarth, "Il manicomio di Bedlam" (dalla serie Carriera del libertino), 1733, Londra, John Soane's Museum
 L’ottavo dipinto della serie La carriera del libertino (1732-33) di William Hogarth ritrae la fine delle avventure di Tom Rakewell all’ospedale di Bedlam, il famoso manicomio di Londra. Un dettagliato affresco storico di usi e costumi dell’epoca contraddistingue l’opera di Hogarth oltre ad una parabola etica ben precisa sui 'soggetti morali moderni'. Il ciclo dedicato alla figura dissoluta del libertino culmina con un finale teatrale tra pittoreschi alienati e nobildonne che divertite vogliono assistere alle esplosioni di follia dei pazienti considerate una sorta di spettacolo d’intrattenimento. La follia interpretata come conseguenza di una vita scellerata e preannuncio di morte considerando che entrare in un manicomio significava non uscirne più e andare incontro ad una prematura dipartita causata da controversi trattamenti.

"La vita era davvero insopportabile, solo che alla gente era stato insegnato a fingere che non lo fosse. Ogni tanto c'era un suicidio o qualcuno entrava in manicomio, ma per la maggior parte le masse continuavano a vivere fingendo che tutto fosse normalmente piacevole."
(Charles Bukowski, Shakespeare non l'ha mai fatto, 1979)
Telemaco Signorini, "La sala delle agitate al San Bonifazio in Firenze" 1865, Venezia, Galleria d'Arte Moderna di Ca' Pesaro

Il reparto psichiatrico femminile dell'Ospedale San Bonifacio di Firenze che Telemaco Signorini ritrae con freddo realismo lasciando allo spettatore ogni considerazione emotiva e sociale. Pura reclusione. Il segregante bianco delle vuote pareti e del soffitto delinea l’anticamera di un’ attesa infinita nel ripetersi dei giorni. Su quel bianco ovattato sembra rimbombare un lontano sottofondo di urla, lamenti, sussurri, solitari monologhi in ripetuti camminamenti forzati.

"Mai la psicologia potrà dire sulla follia la verità, perché è la follia che detiene la verità della psicologia."   (Michel Foucault, Malattia mentale e psicologia, 1954)

                                      
Théodore Géricault, "Alienata con monomania dell'Invidia o La iena della Salpêtrière" 1820, Lione, Musée des Beaux-Arts

 L’artista Théodore Géricault conosce il noto alienista Etienne-Jean Georget per seguire una terapia contro una forma depressiva. Non è chiaro se l’idea di realizzare una serie di ritratti di alienati sia stata concepita dal pittore e il medico gli abbia concesso la possibilità di ritrarre dal vivo i suoi pazienti o lo stesso Georget abbia voluto sfruttare il talento di Géricault per immortalare i tratti fisiognomici tipici delle singole manie. Comunque la serie di ritratti, nel suo vivido realismo, restituisce con incredibile efficacia un'intensa e perturbante introspezione psicologica.
Così il Realismo si unisce al Romanticismo. Il Romanticismo è interessato alla patologia in quanto ricerca tutti quei meccanismi interiori oscuri e remoti.  Da buon romantico Géricault visualizza con occhio chirurgico gli elementi del turbamento mentale. Quel qualcosa di terribile ma affascinante che la follia racchiude.



"La follia è nei singoli qualcosa di raro ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è
 la regola."  (Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, 1886)



                   Hieronymus Bosch, "Estrazione della pietra della follia" 1494, Madrid, Museo del Prado
Seguendo alla lettera quel detto popolare ‘i matti hanno un sasso nella testa’un ciarlatano si finge chirurgo della follia raggirando uno stolto che accetta di sottoporsi all’asportazione dal cranio  della cosiddetta pietra della pazzia  che nell’immaginario collettivo medioevale era considerata la causa dei disturbi psichici. Difficile accettare il male come un’entità astratta, invisibile e irraggiungibile quindi molto più confortante dargli una precisa collocazione in una forma tangibile da toccare, vedere ed eliminare. Bosch racconta una pratica normale ai suoi tempi che pullulavano di questi guaritori, maghi perseguitati  dall’ondata nera dell’Inquisizione preannunciata dalla forca e dalla ruota della tortura sullo sfondo. Ogni dettaglio parla ed elargisce l’implacabile critica dell’autore nei confronti di un’umanità corrotta e in pieno degrado. Il medico ha un imbuto in testa simbolo della falsa sapienza. Assistono alla scena un monaco e una suora che pur detenendo un sapere teorico non riescono ad impedire l’atto assurdo simbolo di molti altri stupidi atti umani  in cui l’uomo continua a persistere.



"Non chiederti perché la gente diventa pazza, chiediti perché non lo diventa. Davanti a tutto
quello che possiamo perdere in un giorno, in un istante, è meglio chiedersi che cos'è che ti fa restare intero."    (Meredith Grey, in Grey's Anatomy, 2005/13)


                                               John Everett Millais,"Ophelia" (1851-1852) Londra, Tate Gallery
                            
Delusa dall’amore per Amleto e perduto il senno dopo l’omicidio involontario del padre da parte del suo amato Ofelia si lascia dolcemente annegare nelle acque di uno stagno continuando ad intonare nenie e antiche melodie. Attraverso i fiori viene raccontata la storia e  il destino dell’infelice fanciulla. Il giglio vale purezza, la margherita rappresenta l’innocenza, la pansé amore infelice, l’orchidea sensuale raffinatezza, le olmarie appassite sono simbolo dell'inutilità, le ortiche sorda attenzione verso le promesse, il papavero sonno eterno. Infine le rose che richiamano l’amore, la bellezza ma sono legate al culto dei morti secondo un’usanza dell’antica Roma. Millais accosta la tragica fine della fragile eroina all’esaltazione della ricca vegetazione che assiste impotente alla sua morte. Per dipingere quanto più fedelmente possibile alla realtà e al testo shakespeariano questa fiabesca dipartita l’artista fece posare, immersa per ore in una vasca da bagno, Elizabeth Siddal musa e moglie di Dante Gabriel Rossetti. Profeticamente le sorti di Ofelia si riverseranno sulla Siddal che a causa di una forte depressione nel 1862 si toglierà la vita ingerendo una dose letale di laudano.



Elizabeth Siddal in posa per "Ophelia" - immagine tratta dalla miniserie della BBC "Desperate Romantics" (2009)