domenica 9 febbraio 2014

I plutomani di Scorsese, Scott e O. Russell




Sbrana il prossimo tuo e celebra te stesso
di Maddalena Marinelli

L’avidità ha dato forma alla cultura contemporanea.
Nell’era dell’homo oeconomicus l’avido germina in ognuno di noi.
Gordon Gekko, il più famoso plutomane cinematografico, diceva:  “L'avidità, non trovo una parola migliore, è valida, l'avidità è giusta, l'avidità funziona, l'avidità chiarifica, penetra e cattura l'essenza dello spirito evolutivo. L'avidità in tutte le sue forme: l'avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha impostato lo slancio in avanti di tutta l'umanità. E l'avidità, ascoltatemi bene, non salverà solamente la Teldar Carta, ma anche l'altra disfunzionante società che ha nome America”.
Dettagli: quali e quanti americani dovrebbe salvare l’avidità che esalta tanto Gordon Gekko? Per quelli che saranno salvati quanti ne dovranno annegare?
I brandelli dell’american dream distorto e corrotto che ha lasciato una desolante scia di povertà per molti e vaste ricchezze per pochi.
Adesso ci siamo involuti e Gordon Gekko di Wall Street a confronto del Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street sembra quasi una romantica canaglia.
Il cinema dice la sua. Se volete provare a ricomporre i pezzi del sogno infranto e degenerato, attraverso l’occhio della settima arte, ecco documentato quello che è successo in Capitalism: A Love Story di Michael Moore o secondo l’interpretazione più profetica, spettrale ed esoterica di Paul Thomas Anderson in The Master e There Will Be Blood in cui c’è l’abicì emotivo e psichico  che innesta la follia del dominio.

"There will be blood" e "The Master" di Paul Thomas Anderson 

Politica, finanza, religione, scienza, inizia sempre con un predicatore sul podio a caccia di seguaci e quando cominciano a credergli è già troppo tardi.
L’avidità, una condizione in cui predomina un desiderio smodato legato prevalentemente al raggiungimento, con ogni mezzo, di denaro e potere che sfocia in un vero e proprio delirio di ricchezza. Rubare a ricchi o poveri, comunque rubare tramite operazioni virtuali, investimenti, conti, codici, numeri, spostamenti, prestiti.
Il denaro c’è ma non si vede. Non si crea e non si distrugge, si trasferisce e puff..
Una catena invisibile e infinita di frodi, riciclaggio sporco, abusi su abusi che fanno sprofondare gli uomini nella rovina e nella distruzione.
Come definire i manager che hanno prodotto questa crisi e sono scappati con liquidazioni miliardarie? E il ruolo delle banche, della politica, delle istituzioni?
Nel bel mezzo dell’odierna crisi economica il cinema americano riflette sull’avidità attraverso tre opere filmiche vorticose e spietate dai mirabolanti cast in cui, dopo le ascese, arrivano punizioni ma senza redenzioni. 

                          "American Hustle" di David O. Russell

Si comincia con la coppia di truffatori in American Hustle ambientato negli sfavillii estetici degli anni Settanta. In un baccanale visivo di lustrini, capelli cotonati e vestiti elasticizzati si parla dell'operazione Abscam e della dilagante corruzione che investe politici, istituzioni, agenti di polizia contornati dalla malavita locale.

"The wolf of Wall Street" di Martin Scorsese

Arriviamo alla fine degli anni Ottanta con The wolf of Wall Street, ad un altro baccanale di sesso, soldi e droghe. Habitat extra lusso di Jordan Belfort capobranco di un gruppo di brokers assatanati e senza più freni. Quando tutto sarà finito, dopo aver perso qualsiasi cosa ottenuta, Jordan non farà altro che ricominciare il gioco dall’inizio con nuovi adepti da indottrinare.

"The Counselor" di Ridley Scott

L’epilogo più tragico e violento sull’avidità, di una violenza impassibile e irreversibile, ce lo propone Ridley Scott in The Counselor. Un avvocato con smanie di facili guadagni si avventura a bere in un territorio sconosciuto e pericoloso.
Presto a sbranare la gazzella arriverà un’ impietosa predatrice pronta a lasciare una scia di morte senza batter ciglio.
Tre amari ritratti, nello scorrere del tempo, di un’ America immutabile nei suoi vizi e sbruffona nell’esibirli in cui i valori morali non solo non esistono più ma non sembrano proprio mai esistiti. L’abbrutimento della società contemporanea, una visione infernale illuminata ed esaltata dallo star system più fulgido, premiato e da un impeccabile stile.

"Il grande dittatore" (1940) di Charlie Chaplin

“La vita può essere felice e magnifica, ma noi l'abbiamo dimenticato. L'avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell'odio, ci ha condotti a passo d'oca a far le cose più abiette. Abbiamo i mezzi per spaziare ma ci siamo chiusi in noi stessi”.

(Charlie Chaplin, in Il grande dittatore, 1940)