martedì 6 dicembre 2022

'BONES AND ALL' , di Luca Guadagnino


'BONES AND ALL' di Luca Guadagnino


Famelici d’amore
di Maddalena Marinelli

In quel corpo esile come un fuscello, Maren fa convivere l’innocenza di una giovane donna che timidamente si affaccia al mondo e la violenza atavica di una belva affamata, che quando esplode non può essere repressa.
E’ l’oscura natura di Maren, ereditata da una madre che appena nata  l’ha abbandonata al suo destino, come farà in seguito anche suo padre dopo diciottoanni di occultamenti e di fughe, incapace di rimanere ancora accanto ad una figlia predatrice di carne umana.
Un terribile abominio che Maren non ha scelto ma arriva ogni volta come un bisogno impellente.

Taylor Russell in 'Bones and all' di L. Guadagnino

La ragazza si ritroverà da sola a comprendere il suo male oscuro. 
Attraverso un viaggio di formazione imparerà a conoscersi, fiuterà i suoi simili capendo di chi fidarsi ma soprattutto si emanciperà dalla sua famiglia smettendo di cercare risposte, affetto, riferimenti da coloro che non sono riusciti ad amarla.
Maren, nonostante la sua ‘diversità’, smette di sentirsi sbagliata.
Vuole trovare il suo posto nel mondo; vuole vivere come tutti gli altri e l’amore per Lee la spingerà verso una nuova speranza.
Una possibilità di essere felice nonostante la sua devianza fuori dalle regole sociali.
I nostri antropofagi si spostano in un Midwest maestoso, dai paesaggi sconfinati ma esplorato nella sua parte più povera ed emarginata, in cui ogni giorno i reietti come i giovani Maren e Lee o l’anziano Sully cercano di sopravvivere come possono, oltrepassando i confini del male.

Mark Rylance in 'Bones and all' 

Sully è l’adulto adescatore, l'empatico tossico che si finge gentile e premuroso con Maren, nascondendo un interesse morboso e disturbante per lei.
La vuole. Il non sapere esattamente il suo scopo, se la desidera come compagna, figlia oppure per seviziarla o divorarla fino all’osso come il pasto migliore di sempre, rende tutto ancora più perturbante.
Il pericolo può arrivare non solo dai ‘normali’ ma anche dai propri simili.
La solitudine è profonda, una compagna costante accettata come protezione, scudo dalla minaccia che l’altro può rappresentare.
Guadagnino, muovendosi tra l’ordinario e lo straordinario, lavora sul genere horror per raccontare il disagio sociale; l’anomalia che sovverte la regola; il male da conoscere e convertire nascosto in noi e negli altri.
Il cannibalismo come in Raw o in Cannibal love diventa metafora di una condizione esistenziale, di un’esigenza di espressione, di pulsioni sessuali, dei tumulti inaspettati della pubertà, in cui ogni emozione è contrastante e amplificata.
La scoperta di trovare in noi stessi qualcosa di sconvolgente, un demone che ci allontana dagli altri e da un mondo che non può capirti.
Divorare il proprio mentore per emanciparsi da esso, cambiare le vecchie regole, assimilare la sua energia e il suo fulgore.
Divorare l’amato. Diventare tutt’uno con l’altro, penetrandosi e unendosi per sempre.

Timothée Chalamet

“È la storia di due giovani che scoprono che, per loro, non esiste un posto da poter chiamare casa, per cui devono reinventarselo. Maren e Lee vanno alla ricerca della loro identità in situazioni estreme, ma le domande che si pongono sono universali: chi sono, cosa voglio? Come posso sfuggire a questo senso di ineluttabilità che mi trascino dietro? Come possono entrare in sintonia con qualcun altro?” (Luca Guadagnino)

L’amore è un tema centrale nel cinema di Guadagnino.
Una forza trainante e rigeneratrice che supera il dolore, il tempo, le diversità.
Essere capaci di amare non è per nulla una cosa scontata o facile nella nostra società perché implica empatia, rispetto, coraggio, fiducia, comprensione.
Tutti sentimenti che stiamo dimenticando in quest’era di analfabetismo emotivo e solipsismo.
Guadagnino permea sempre la sua visione di una straordinaria sensibilità.
I luoghi, il corpo degli attori, addirittura gli oggetti, ogni elemento sotto il suo tocco registico diventa materia sensibile.
Un’emotività intensa mai stucchevole o struggente ma autentica, ottenuta condividendo ogni volta, in ogni film ‘un brandello’ profondamente intimo della propria esperienza di vita.
Road movie, horror, dramma, thriller in una miscela di inquietudine e disagio che ti pervade per tutto il tempo.

'Bones and all' di Luca Guadagnino

Bones and all è il viaggio iniziatico della giovane Maren, il sogno di trovare il proprio angolo di felicità, il tentativo di rivincita dei reietti e di come ti può cambiare e saziare l’amore.
Forse l'amore ti può salvare?

lunedì 29 agosto 2022

‘CRIMES OF THE FUTURE’, di David Cronenberg

                                                                  SPOILER

CRIMES OF THE FUTURE di David Cronenberg


L’estasi del mondo che si sgretola intorno a noi
di Maddalena Marinelli
 
“Il mio obiettivo è capire quale sia la condizione umana ora, e questa a volte può essere illuminata dal tentativo di vedere dove andremo. Guardare la condizione umana, tutta la sua gloria e le sue numerose fasi e cercare di capire cosa significa essere vivi è una cosa cruciale se sei un esistenzialista” 
(David Cronenberg)
 
Il corpo diventa verbo. Rivelazione. 
L'unica realtà possibile. <Body is reality>
Ultima verità tangibile verso l'alterità.
Il cambiamento passa attraverso la metamorfosi della carne umana.

Viggo Mortensen in 'Crimes of the future' di D. Cronenberg

In un futuro distopico, non così lontano, il corpo umano sta mutando, sta evolvendo per adattarsi ad un ambiente ormai diventato ostile, a causa dei disastrosi effetti provocati dai cambiamenti climatici e dall’inquinamento.
Mutazioni sostenute dal progresso tecnologico e da un' alterazione genetica naturale.
L’evoluzione è adattamento all’ambiente e selezione funzionale.
La combinazione biologica sta cambiando.
Le malattie infettive sono sparite.
La maggior parte dell’umanità ha perso la percezione del dolore ed è attratta da pratiche autolesive sempre più estreme.
Si ‘gioca’ con il corpo in cerca di nuove stimolazioni, nuove definizioni, nuove individualità.

Viggo Mortensen nell' OrchidBed e Léa Seydoux in 'Crimes of the future'

Altri, come Saul Tenser, sono caratterizzati dalla ‘sindrome di evoluzione accellerata’ che produce nuovi organi apparentemente senza funzioni determinate.
‘Creazioni interiori’ che devono essere tatuate, classificate e conservate da un’entità governativa chiamata National Organ Registry, per  mantenere la situazione sottocontrollo.
Se questi nuovi organi non sono un' anomalia ma andassero a formare ‘nuovi sistemi’ nel nostro corpo, in chi o cosa si sta trasformando l'uomo?
Pochi perseguitati (gli evoluzionisti plasticofagi), che si nascondono nell’ombra, hanno accellerato la trasformazione arrivando a sviluppare un apparato digestivo capace di smaltire materiale sintetico.

Viggo Mortensen e Kristen Stewart in 'Crimes of the future'

In spazi decadenti in una sorta di teatro anatomico l’affascinante messia Saul, insieme alla sua partner Caprice (il chirurgo) che manovra il bisturi robotico, si sottopone ad un' autopsia pubblica che ha lo scopo di asportare ed esporre ogni nuovo organo che il suo corpo crea.

Léa Seydoux in 'Crimes of the future'

Questi interventi sono intesi come forma d’arte; sublimazioni, performances in cui tagli della carne, asportazioni di organi, lacerazioni, applicazioni di protesi, deturpazioni di volti vengono ammirati come epifanie, 'operazioni concettuali' che annunciano una nuova era.
Ognuno può ricrearsi, plasmarsi come desidera.
L’aberrazione è la nuova bellezza che stimola una carica erotica nello spettatore. Il desiderio di essere tagliato e ‘aperto’, una nuova frontiera del piacere.

'Crimes of the future' di David Cronenberg

Un corpo con nuovi orifizi in cui introdursi con laparoscopie.
Ferite aperte da assaporare come nuove zone erogene. 
La chirurgia è il nuovo sesso.
'Penetrare' il tempio dell'essere, per esplorare e conoscere l'altro.

Léa Seydoux in 'Crimes of the future'

All'interno di edifici in rovina, lungo strade buie e malfamate  non ci sono drogati o coppie dedite a rapidi amplessi (il vecchio sesso) ma giovani che vanno in estasi lacerandosi il corpo a vicenda.
Saul è una figura cristologica che fa da ponte tra presente e futuro.

Viggo Mortensen e Léa Seydoux in 'Crimes of the future'

Caprice è una seducente Maddalena devota, innamorata, testimone della ‘passione’ del suo amato; pronta a documentare e tramandare le sue gesta.
L’ ambigua e doppiogiochista burocrate Timlin è Giuda; il suo bacio è quello di una traditrice.
La società è divisa tra chi è pronto ad accettare il cambiamento, come prossimo stadio evolutivo dell’uomo, e chi lo rifiuta cercando di fermarlo o almeno di controllarlo.
Per evitare l’estinzione la razza umana che forma e contenuto assumerà?
 
"Vari elementi sono saliti ai vertici della coscienza pubblica in tutto il mondo come il fatto, ad esempio, che le microplastiche sono presenti in ogni essere umano sulla terra in questo momento, a causa di ciò che è successo agli oceani. Questo mi ha fatto capire che il film è più rilevante che mai". 
(David Cronenberg)

'Crimes of the future' di David Cronenberg

Una meditazione sulle possibili sorti dell’umanità. 
La necessità di trovare nuovi compromessi tra uomo e tecnologia.
Un futuro segnato dalla  fusione tra organico e inorganico.
Un noir fantascientifico in cui Cronenberg ritorna alle sue origini, a quei suoi meravigliosi e terrificanti 'nuovi mondi'. 
Incubi di aberrazioni, contaminazioni, mutazioni, procreazioni, ibridazioni.
La nuova carne, l’assuefazione ai media in Videodrome; le avanguardistiche operazioni di Inseparabili; le interazioni virtuali e le tecnologie biologiche di Existenz; l’appagamento sessuale legato al martirio del corpo e all’integrazione feticista con l’elemento artificiale in Crash ma anche la doppiezza e l'inganno di A History of violence.
Profezie sull'essere umano che evolverà in essere meccanico.
Macchine come organismi viventi.
Ritornano gli inquietanti ‘manufatti cronenberghiani’, fusioni tra organico e meccanico, creati dalla scenografa Carol Spier.

I dispositivi biomeccanici di 'Crimes of the future'

Tecnologie di 'controllo'. Il protagonista Saul, per alleviare le sue 'sofferenze interiori', deve dormire nell’ OrchidBed, un letto in continuo movimento, programmato per seguire il corpo nel sonno allineando gli organi.

Viggo Mortensen sulla Breakfaster in 'Crimes of the future'

La sedia Breakfaster si contrae e oscilla, muove gli organi per facilitare la masticazione e la deglutizione del cibo.
Il fantomatico Modulo Sark è una specie di sarcofago ultra-tecnologico utilizzato per le operazioni/performances.

Il Modulo Sark in 'Crimes of the future' di D. Cronenberg

Crimes of the future è un’opera omnia, attraversa tutto il cinema del regista canadese, citando e ampliando i concetti di ogni suo film precedente.
La chiusura del cerchio, in un cerchio senza inizio né fine.
 
“Crimes Of The Future è un'evoluzione delle cose che ho fatto in passato. I fan vedranno riferimenti chiave ad altre scene e momenti dei miei film precedenti. Questo film prosegue nella mia comprensione della tecnologia connessa al corpo umano. La tecnologia è sempre un'estensione del corpo umano, anche quando sembra essere molto meccanica e non umana.” (David Cronenberg)

'Crimes of the future' di David Cronenberg

Le immagini sono talmente eloquenti e potenti che basterebbero da sole ad esporre i concetti.
Una metafora sulla creazione artistica.
Cronenberg, in questa sua visione del futuro, fa scomparire internet, computer e smartphone. Non fa cenno ai social o alla realtà virtuale.

'Crimes of the future' di David Cronenberg

L’arte diventa principale risorsa comunicativa; l’unico mezzo divulgativo del sapere in una società allo sbando, alla disperata ricerca di responsi.
Un omaggio ad artisti legati alla body art e al post-umano, al comunicare significato attraverso il corpo/laboratorio creativo da Marina Abramovic a Sterlac, Carolee Schneemann, Matthew Barney, Orlan.


Un futuro neo-medioevale ipnotico e avveniristico avvolto in una lugubrità kafkiana in cui l’uomo sta perdendo la propria identità, diventando un estraneo a se stesso rivolto ad un ignoto divenire.
Allegoria di un cinema d’autore sempre più difficile da portare alla luce.

Saul (Viggo Mortensen) 'trasceso' come la Giovanna d'Arco (Renée Falconetti) di Dreyer  

I reazionari uccidono il futuro ma nell'ultimo frame Caprice filma l'atto sovversivo: nello sguardo di Saul, tra estasi e martirio, si oltrepassa ad una nuova natura.
La visione di una nuova esistenza e di un nuovo cinema è possibile.


venerdì 19 agosto 2022

MEMENTO MORI #3: 'ALPS', di Yorgos Lanthimos


ALPS (2011) di Yorgos Lanthimos


Sostituire i defunti
di Maddalena Marinelli

Problemi ad accettare la morte di un congiunto?
In tempo di crisi, se il lavoro non c’è te lo devi  inventare. 
Ed è così che nascono nuove figure professionali affini alle esigenze dell’odierna società.
Il gruppo degli ‘Alps’ è formato da un paramedico, un'infermiera, una ginnasta e un allenatore che si offrono come 'sostituti', dei congiunti dipartiti, per aiutare  ad affrontare e superare un lutto.
Si chiamano Alpi perché: “Le Alpi non possono essere sostituite da altre montagne ma possono sostituire tutte le altre”.
Per qualche ora a settimana gli Alps riempiono quel vuoto creato dalla perdita di un marito, di una figlia, di una madre.
Indossano gli abiti del defunto, usano i suoi oggetti, ne ripetono le abitudini e pronunciano le sue tipiche frasi.

Aris Servetalis in 'Alps' di Yorgos Lanthimos

Tutto questo per un lauto compenso e vincolati ad un ferreo regolamento, a cui il leader del gruppo (il grande castigatore) si attiene con massimo rigore; soprattutto quando si tratta di passare ad atti punitivi per riportare l’ordine nel collettivo.
In questa grottesca messa in scena, ben presto i confini tra finzione e realtà diventeranno molto labili e il rischio di perdere e annientare la propria identità, per un’altra vita più intrigante, sarà una dolce caduta nell’alienazione con aspri risvegli.
I dubbi si moltiplicano in un gioco a scatole cinesi.
Anche nel rapporto tra i quattro membri degli Alps ci sarà finzione o realtà?
Siamo reali o siamo tutti simulacri?
Ci assegniamo dei ruoli a vicenda e interpretiamo una messa in scena che replichiamo giorno dopo giorno nell’impossibilità di interrompere una catena di finzioni.
Essere qualcun altro, nessuno e centomila.
Fuggire dal proprio destino. Beffare la vita che c'è stata assegnata.
Cancellarsi, per prendere il posto di un’altra persona.
Avere  la possibilità di scegliere un’esistenza migliore della propria.

Ariane Labed in 'Alps' di Yorgos Lanthimos

Lanthimos, in questo suo terzo lungometraggio, continua la sua accattivante esplorazione nel malessere dell’uomo contemporaneo attraverso la costituzione di una sadica realtà ‘altra’.
In Alps si affronta l’incapacità di accettare la morte, il nascondersi dietro una maschera, l’inappagatezza della propria vita.
Una società arida e infelice che per sentirsi viva abbraccia un ideale di crudeltà. 
Nel cinema di Lanthimos la realtà viene riformulata attraverso concetti e regole spietate, nell’intento di ristabilire 'un ordine delle cose', spazzando via ogni tipo di pulsione umana e annullando ogni individualità.

'Solaris' (1972) di Andrej Tarkovskij

Prendere sembianze e abitudini di una persona che non esiste più.
Per la religione è reincarnazione per la scienza è clonazione oppure intelligenza artificiale.
Il surrogato si può rivelare migliore dell’originale oppure una sua copia oscura e perversa.
La vicinanza al misterioso oceano gelatinoso del pianeta Solaris fa materializzare degli ‘ospiti’, copie non umane ma perfettamente somiglianti a cari estinti che vivono nei ricordi dei membri dell’equipaggio della stazione spaziale orbitante intorno al pianeta extrasolare.
Gli ‘ospiti’, apparentemente innocui, sono perturbanti proiezioni di colpe e traumi dell'inconscio e condurranno gli umani alla perdita della ragione.
L'ignoto che ci divora e ci trasforma.

'Birth' (2004) di Jonathan Glazer

In Birth un bambino si presenta in una ricca casa borghese a cospetto di Anna affermando di essere Sean, ovvero il defunto marito della donna, morto ormai da dieci anni. 
Ovviamente nessuno gli crede ma il dubbio comincia pericolosamente ad insinuarsi in Anna, per via dei numerosi dettagli relativi alla sua vita coniugale che l’inquietante ragazzino conosce alla perfezione. 
Che sia davvero la reincarnazione del defunto Sean?
Quali sono i limiti etici che siamo disposti ad oltrepassare per riprenderci un amore perduto?
Non sempre un sostituto è portatore di disgrazie e malefici. 

'Sommersby' (1993) di Jon Amiel

In
Sommersby l'insegnante Horace Townsend decide di prendere le sembianze del defunto Jack Sommersby  con cui aveva condiviso una cella per quattro anni, riuscendo a conoscere tutto della sua vita.
Si aggiunge un'incredibile somiglianza fisica che convince l'uomo ad andare avanti con questo piano ardito che incredibilmente funziona.
Il sostituto Horace è più umano, più colto, più amabile.
Dimostra di essere un uomo migliore dell’originale Sommersby in famiglia e nei rapporti col villaggio.
Un nuovo inizio per tutti ma il destino deve giocare ancora le sue carte.
Vantaggi e svantaggi del rinunciare alla propria identità.

'Under the skin' (2013) di Jonathan Glazer

Un classico: l’alieno che si impossessa di un corpo umano annientando l’identità del malcapitato, con lo scopo di resettare il pianeta Terra da ogni male e popolarlo di una razza extraterrestre più lungimirante.
Estirpare quella piaga chiamata uomo, oppure sfruttarlo come una sorta di risorsa energetica.
In Under the skin esseri alieni sostituiscono esseri umani per adescare altri essere umani con lo scopo di sciogliere i loro corpi in uno strano liquido corrosivo col fine di alimentare macchinari alieni. 
Fingere di essere qualcos’altro ti può far credere o desiderare di esserlo davvero. 
Così anche l’alieno più asettico a contatto con la sfera emotiva umana può rimanere 'incastrato', irrimediabilmente sedotto da un turbinio di sentimenti sconosciuti.
Quando l’extraterrestre, ormai vulnerabile, proverà ad integrarsi con l’umanità troverà solo dolore, rifiuto e morte pagando a caro prezzo la scelta di aver tradito la sua razza per rimanere un 'subentrante' con l'illusione di vivere ed amare come un umano.
Il clone, ovvero, la copia perfetta.

'Womb' (2010) di Benedek Fliegauf

In Womb Rebecca non accetta la morte del suo amato Tommy e decide di rivolgersi ad un istituto di replicazione genetica, dove si fa trapiantare nell'utero un clone del fidanzato defunto.
Inseguire il sogno di una storia d'amore fino alla fine del mondo, oltre il limite umano.
Il vano tentativo di sfidare la natura o il divino nel riportare indietro qualcuno dal regno dei morti.
Un atto di estremo amore ma al contempo egoista e distorto.
La scienza, se può riprodurre Tommy, non potrà mai riprodurre la  storia d'amore tra Tommy e Rebecca. 
La donna dovrà confrontarsi con le complesse implicazioni della sua scellerata decisione.

'Alien Resurrection' (1997) di Jean-Pierre Jeunet

Anno 2379. Ellen Ripley, ormai morta da 200 anni, viene clonata con lo scopo di recuperare l’embrione di xenomorfo dal suo torace, per riprodurre alieni in larga scala a scopi bellici.
La nuova Ripley (numero 8) ritrova ricordi ed emozioni umane del suo originale ma ha acquisito alcune delle incredibili caratteristiche del terrificante xenomorfo: una forza sovraumana, un'elevata velocità e il sangue corrosivo.
In lei prevarrà l’umanità oppure questo nuovo perverso istinto omicida/predatorio?
Dopo la solita mattanza provocata da chi ancora non ha capito che non si gioca con xenomorfo, regina xenomorfa e prole varia, il clone di Ripley e l’androide Annalee Call sono le uniche sopravvissute dirette sul pianeta Terra; incerte sul loro futuro da possibili 
emarginate poichè 'diverse'.
Entrambe copie umane perfette in tutte le fattezze fisiche ma intimorite nell'essere scoperte, perseguitate e imprigionate per la loro celata origine artificiale.
Un sostituto può essere sfruttato ed eliminato senza troppi scrupoli o rimorsi come copia non conforme all'originale.

domenica 19 giugno 2022

LA GENITRICE PSICOTICA #4 : ‘LA PIANISTA’, di Michael Haneke

 

 
L’impossibilità di amare genera mostri

di Maddalena Marinelli

 

“Sapeva che quella era la sua maledizione e la sua condanna, ma proprio per questo, forse, non trovava la forza di staccarsene. E nessuno a bordo scorgeva il mostro, tranne lui.” (Dino Buzzati)
 
Erika Kohut si aggira furtivamente all’interno di un centro commerciale guardandosi intorno, infastidita dalla folla di persone che passandole accanto la sfiorano, la urtano.
Ma cosa ci fa la sofisticata, l’irreprensibile professoressa Kohut in un luogo per lei così proletario e inappropiato?
Si dirige all’interno di un peep-show, acquista dei gettoni e, sotto lo guardo incredulo ma allo stesso tempo incuriosito di fruitori abitudinari, entra in una cabina per guardare film pornografici di ogni tipo.
La vita di Erika è scandita da intere giornate dedicate all’insegnamento, esibizioni al piano in facoltose abitazioni private, serate passate a casa con una madre nevrotica che ossessivamente la perquisisce, la controlla e la tormenta.
La pianista disprezza la madre ma non riesce a farsi una vita lontano da lei.
In questa routine, in cui è intrappolata da sempre, la donna si ritaglia degli sfoghi, dei ‘piaceri speciali’. 
Allontanandosi dagli ambienti borghesi s’immerge nelle penombre di luoghi periferici e malfamati spiando coppie che consumano amplessi in vetture parcheggiate in drive in.

Isabelle Huppert in 'La pianista' di M. Haneke

Per sentirsi appagata deve punire e punirsi.
La sera chiusa in bagno procede con pratiche di autolesionismo riportata alla sua frustrante esistenza dalla voce della madre che la chiama per la cena.
Come prova di autocontrollo si nega il pieno raggiungimento del piacere.
E’ una donna profondamente sola che non ha mai condiviso la sessualità con qualcun altro.
Non è chiaro se sia un’ autentica slave o si sia convinta che il rapporto sessuale debba consumarsi necessariamente attraverso certe pratiche e modalità estreme per via dell’ assuefazione ai video pornografici, suo unico approccio alla sfera erotica.
Lei stessa pensa di essere priva di sentimenti e che mai questi prevarranno sul suo raziocinio.
L’algida bellezza e il talento pianistico di Erika attraggono il giovane Walter Klemmer.
La glaciale professoressa gli sfugge, gli è ostile e per il ragazzo diventa ancora più eccitante conquistarla.

Isabelle Huppert e Benoit Magimel in 'La pianista'

La donna cede alla passione pensando di aver finalmente trovato il partner per realizzare tutte le sue perverse fantasie di dominio e sottomissione.
I tentativi di imporre le sue regole sadomasochiste al suo giovane allievo, finiranno solo per umiliarla e devastarla.
Lui si dimostrerà spietato nel spezzarla, giustificandosi dicendo che è stata lei a 'contagiarlo' con le sue depravazioni.
Non comprenderà le problematicità psichiche e la fragilità della donna, considerandola una frigida pervertita da schiacciare.
Walter è un autentico brutale borghese retrivo, privo di empatia.
Perfetto esemplare in erba di quella buona società che dietro uno strato superficiale ‘perbene’ cela le peggiori nefandezze.
L’ ingenuità di Erika, che si trasformerà in un errore fatale, è nel dare per scontato che Walter comprenda, accetti senza remore i suoi ‘desideri particolari’, mentre lui ne rimane sconvolto, poi li asseconda, alla fine inorridito e frustrato li travisa in autentica violenza.
Tratto dal romanzo di Elfriede Jelinek e vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2001 La pianista è un film che vuole scavare nel torbido nascosto sotto la finzione borghese. 
Una storia d’amore insana e impossibile.
Tramite un contorto ma splendido personaggio femminile, interpretato magistralmente da Isabelle Huppert, entriamo negli anfratti più oscuri dei rapporti umani, di traumi mai curati, di vite fasulle che occultano scabrosi segreti.

Isabelle Huppert e Annie Girardot in 'La pianista'

Erika è una donna manipolata da una madre che, per proteggerla dai pericoli del mondo esterno attraverso possessività, controllo, paura, senso di colpa, ha determinato un forte disagio mentale nella figlia, impossibilitata a vivere un rapporto sentimentale e sessuale sano.
Nella buona società la professoressa Kouth è un eccellente pianista e una rinomata docente al Conservatorio di Vienna ma appena si confronta con l’amore il suo mondo e la sua psiche vanno in pezzi. 
Una vita affettiva non può essere controllata o incasellata in quello schema sessuale sadomasochistico, in quella proiezione distorta che per tanti anni ha elaborato nella sua mente senza alcun riscontro reale.
L’amore gli è così vicino ma per lei è inafferrabile, così degenera in qualcosa di maligno.


'La pianista' di Michael Haneke

La solitudine, la sofferenza, la frustrazione, la rabbia della pianista convergono in gesti immaturi e criminali.
Un punto di non ritorno, se non si interviene con cure psichiatriche adeguate. Chi è stato vittima di abusi tende a  riprodurli su se stesso e sugli altri, questo è il suo modo di stare al mondo.

Isabelle Huppert, Annie Girardot e Benoit Magimel in 'La pianista'

Il cinema di Haneke ci mostra la natura umana nella sua 'diversità'.
Scava a fondo nella psiche, vuole tracciare e analizzare le radici del male nel nostro vivere quotidiano in cui, quasi senza rendercene conto, rilasciamo granelli che poi sedimentano in razzismo, perversione, violenza, ossessione, scelleratezza, corrompendo le generazioni a venire.
Il tramonto e l’autodisfacimento della classe media occidentale.
Quell’orrido che si nasconde dietro il moralismo borghese che Haneke scova attraverso una regia chirurgica, capace di evocare un orrore psicologico e mostrare un orrore fisico.
Una crudeltà disturbante senza concessioni che si prende tutto il tempo necessario per rivelarsi nella sua imponenza, impossibile da arginare.
I figli, i giovani sono annichiliti; frutti marci derivati dagli errori e dall’anaffettività dei padri.
La violenza è la risposta a questa desolazione affettiva che si cerca di riempire con il consumismo.

Isabelle Huppert e Benoit Magimel in 'La pianista'

In La pianista Haneke allinea alla crudeltà e alla glacialità della narrazione registica una concessione speciale, un tocco sensibile che si avverte sul personaggio di Erika ‘cuore d’inverno pulsante’ di questa opera filmica profondamente intima e toccante in tutte le sue note vivide, dure, patetiche, estreme e carnali.


Emblematica l'inquadratura in cui Erika stesa a terra tende la mano a Walter e allo stesso tempo verso lo spettatore in un'ultima richiesta di comprensione e di amore. 
Stremata, ormai sopraffatta da quei sentimenti che hanno preso dominio su mente e corpo come un morbo letale ma per lei impossibili da vivere e condividere come tutti gli altri.