lunedì 15 dicembre 2014

MAD MOVIES PARADE 3 (INEDITI)




Dieci film ‘inediti’ sullo squilibrio mentale
di Maddalena Marinelli


Avevamo già sentito parlare di vendere l’anima al diavolo ma qui si tratta di farsela estrarre, congelare o addirittura sostituire.
Paul Giamatti, nei panni di se stesso, deve interpretare zio Vanya ma paure e tormenti lo bloccano così si affida ad una strana agenzia specializzata nell’asportare e conservare le anime offrendo alle persone una vita più sopportabile, senza dolori e preoccupazioni.
Ogni anima sradicata dal corpo assume una fattezza specifica.
Quella di Giamatti ha la sconfortante forma di un minuscolo cecio che finirà disperso in un traffico di anime dall’ America alla Russia.
Un' illuminata interpretazione di Giamatti in un film fatto a sua misura.
Una gradevole commedia surreale che si allinea alle stesse riflessioni di altre brillanti opere filmiche come Being John Malkovich o Eternal Sunshine of the Spotless Mind.
Il voler cambiare se stessi o eliminare magicamente ogni dolore crea soltanto una mostruosa alienazione.

Folgorante, psichedelico, scalcagnato, trapanante manifesto del cinema ferrariano.
Tra horror, denuncia sociale e compulsiva follia registica Driller Killer racchiude in sé tutto il mondo bituminoso di Abel Ferrara e le molteplici lucubrazioni sul marciume sociale che circonda le nostre esistenze.
Uno sfogo omicida, un artista che si trasforma in un serial killer metropolitano prediligendo come arma un trapano con cui sterminare i senzatetto della città.
Una folle danza macabra rockettara. Film maledetto e censurato, non approdato mai nelle sale cinematografiche italiane.
Va ricordato che esiste un dvd edito da RaroVideo uscito nel 2006.

Simon è un ragazzo timido e remissivo. Si muove mestamente in un mondo, dai paradossi e grigiori kafkiani, come se fosse invisibile a tutti.
A sconvolgere la sua grama esistenza arriva James, il gemello diverso.
James è un sosia caratterialmente opposto a Simon.
Irrompe con la sua spavalderia ottenendo tutto quello che vuole.
Giorno dopo giorno cercherà di cancellare Simon prendendo il suo posto.
Ma esiste davvero o si tratta di una proiezione della psiche?
La materializzazione del doppio, vendicatore di ogni sopruso.
Ispirato all'omonimo romanzo di Fëdor Dostoevskij, The double richiama, in qualche modo, le atmosfere rarefatte e nichiliste di Eraserhead nonché lo spirito orwelliano rimanendo troppo chiuso nella forma e poco sviluppato nel contenuto.  
Un mondo diventato glaciale in cui l’uomo svanisce da un oppressivo sistema che spartanamente annienta i più deboli.

Young-goon crede di essere un cyborg e rifiuta il cibo per paura di rompersi mentre Park Il-sun ha paura di svanire dal mondo. Entrambi sono ricoverati in un ospedale psichiatrico che diventa il surreale scenario della loro storia d’amore.
Pop-romantico, ludico e onirico I’m a cyborg, but that’s ok è sul pianeta opposto del conosciutissimo Old Boy che ha reso tanto celebre Park Chan-wook in occidente.
Il regista ci porta all’interno della realtà distorta dei pazienti della clinica attraverso un impianto visivo rigorosamente studiato ma soffice e spumoso.
Un bel carico d’inventiva che non delude, l’altra faccia di un cineasta tra i più interessanti in circolazione.  

La psichiatra Jane Morton è chiamata a curare Dorothy, una giovane babysitter che ha tentato di strangolare un neonato. Scoprirà che la ragazza è affetta dal disturbo della personalità multipla.
Ad alimentare le turbe psichiche o demoniache di Dorothy sono i membri del villaggio in cui è cresciuta per mantenere un contatto con i propri figli morti in un misterioso incidente.
Tra thriller psicologico e ghost story con al centro le perversioni e i segreti di una piccola comunità fuori dal mondo.
Da sottolineare l’interpretazione della giovane attrice protagonista  Jenn Murray che riesce a sostenere egregiamente questo personaggio multiplo variando voce e mimica facciale.

Basato sulla storia vera di Frankie Murdock, una donna affetta da personalità multiple che combatte per rimanere se stessa e non cedere al suo alter ego razzista.
La bella Frankie lavora in un locale come spogliarellista.
Un trauma vissuto in passato ha provocato un crollo psichico e l’insediamento di altre personalità che inaspettatamente prendono il sopravvento sconvolgendo la sua vita.
In lei, oltre alla sua, convivono: Genius, un ragazzino di sette anni, e Alice, una razzista bianca degli Stati del sud. Soprattutto con quest’ultima, la donna lotta duramente per non farsi sopraffare. La situazione rischia di precipitare ma c’è una speranza di guarigione quando si apre la strada della  dialettica medico/paziente.


Il film è basato sulla graphic novel di Daniel Schaffer.
In una realtà distopicamente dark si ambienta la storia di una giovane donna alle prese con la sua distruttiva malattia mentale.
I medici la curano usando una macchina sperimentale ideata per eliminare le personalità multiple. “L’incenerimento siamese” dovrebbe annientare tutti gli ospiti che si affollano nella testa di Suki ma se eliminasse anche la sua vera personalità?
La ragazza si ritrova a vivere nella Juniper Tower,  praticamente la torre di babele della follia. I suoi inquilini esprimono liberamente la propria alienazione ma misteriosamente muoiono come mosche, si pensa, buttandosi dalle finestre ma in realtà non si tratta di suicidi.
Uno strano pasticciaccio di cose già viste ma con un climax coinvolgente.

Remake del film di Richard Franklin modernizzato e banalizzato rispetto all’originale.
Patrick è in coma ma è molto più sveglio di quello che sembra.
La sua mente è viva e maligna. Anche trovandosi in uno stato vegetativo, grazie a poteri di telecinesi, Patrick riesce a muovere oggetti, a controllare i flussi di energia elettrica oppure a penetrare nelle menti delle persone manipolandole come desidera. La possessività nei confronti dell’infermiera Kathy scatenerà la violenza di Patrick nei confronti di coloro che percepisce come una minaccia.

Tre figli tenuti reclusi dai loro genitori in una grande casa isolata dal resto del mondo. Non esistono nomi solo Madre, Padre, Figlio, Figlia Maggiore, Figlia Minore.
E’ proibito avere qualsiasi contatto o contaminazione con l’esterno di cui si è creata un’immagine distorta e terrorizzante. Le giornate si susseguono tra regole, punizioni e premi. I tre fratelli vengono allevati come dei cani obbedienti pensando che il nemico più terribile e letale che esista sia il gatto. La loro coscienza viene annientata, la percezione della realtà e dei contatti umani o dell’amore è completamente travisata e raggelata.  
Questo assurdo stato di isolamento e la completa anaffettività di genitori/carcerieri, convinti di proteggere la loro prole dai pericoli esterni,sviluppa nei figli una velata violenza che si manifesta nel loro particolarissimo ‘sistema di giochi’.
Se non è possibile cambiare il mondo è possibile avere un controllo solo su una piccola porzione creando un minuscolo regno plasmato secondo leggi proprie ma tutto questo quale conseguenze determina?
Dogtooth si allinea al cinema di Michael Haneke e al recente  Miss Violence di Alexandros Avranas. Quando l’orrore è dietro l’angolo, all’interno delle famiglie, nascosto in rituali e comportamenti apparentemente normali.

Frank Zito è un restauratore di manichini. Vive in simbiosi con queste silenziose, immobili, perfette creature.
Il ragazzo in realtà è un serial killer che ha trasformato lo scantinato in una galleria degli orrori in cui i suoi amati manichini vengono ornati da chiome direttamente rimosse dalle teste di donne che Frank uccide barbaramente dopo averle pedinate. Nell’immaginario del ragazzo gli scalpi animano le sue emaciate bambole che resteranno con lui per sempre costituendo il suo perfetto universo femminile. Interessante ed originale remake dell’horror cult del 1980 diretto da William Lustig. Girato quasi interamente in soggettiva, vediamo il mondo attraverso gli occhi dello psicopatico protagonista, un Elijah Wood che compare solo in fugaci momenti riflesso sulle superfici specchianti e nella scena finale.
Un film estremamente coinvolgente e stilisticamente ben congeniato che riesce a creare una buona simmetria tra la realtà e il mondo distorto del protagonista proponendo un finale non usuale ma emblematico. 

domenica 19 ottobre 2014

FRANK di Lenny Abrahamson

           
                                                    MAD NEWS
FRANK nelle sale italiane dal 13 Novembre 2014

La vita è uno stato mentale
di Maddalena Marinelli

Chi è Frank? Anzi, cosa rappresenta?
La celebrazione della creatività allo stato puro oltre ogni limite.
Voglia di esprimersi senza riserve. Uno stile di vita e di musica alternativo.
Un rivoluzionario messia, una stella cometa che tutti seguono pensando di arrivare ad uno scopo ma invece questo punto d’arrivo non esiste nella bizzarra esistenza di Frank o non è così importante che ci sia.
Quando Frank viene condotto verso un traguardo fa di tutto per non raggiungerlo o distruggerlo perché dietro a quella ridicola testona di cartapesta c’è la disarmante  genialità incosciente di un Forrest Gump o di uno Chance Giardiniere.
Talento artistico, profonde metafore, illuminanti percorsi creativi oppure soltanto i risultati, i meravigliosi deliri di un’ instabilità mentale?
In un mondo che è portato a vedere ciò che vuole più che ciò che è, colui che si potrebbe definire un ritardato è scambiato per un genio, un sensibile e arguto osservatore dalle avveniristiche intuizioni musicali.
Perché non potrebbe esserlo?


Michael Fassbender e Domhnall Gleeson

Ed ecco come i social network possono distorcere la realtà e far diventare celebre qualcuno non per doti artistiche ma per comportamenti strampalati.
Joe è un aspirante musicista con una mediocrissima ispirazione.
Conduce una vita monotona nel vano tentativo di comporre canzoni fino a quando incrocia sulla sua strada la band dei Soronprfbs e conosce il suo misterioso leader Frank, un uomo dall’ingegno creativo fuori dai parametri, dall’esagerato ottimismo  e dalle mille idiosincrasie che non si sa per quale motivo nasconde il suo volto dietro un ingombrante mascherone carnevalesco.
Sperimentazione o demenzialità? Il ricordo vola alle indimenticabili canzoni che Phoebe cantava in Friends: “Gatto rognoso, bel gattone, tu puzzi come un caprone….”
Joe s’illumina d’immenso e fugge con il gruppo di musicisti squilibrati e molto sperimentali (o demenziali) per registrare un album  sperando di arrivare al sospirato successo ma rendendosi conto che la musica fa bene all’anima e questo può bastare per sentirsi appagati.

Maggie Gyllenhaal e Michael Fassbender nel film "Frank"

In effetti il gruppo di outsider, quasi tutti con ricoveri psichiatrici alle spalle, non vuole raggiungere il successo a tutti i costi.
Sono semplicemente persone appassionate di musica che si aiutano a vicenda facendo quello che amano fare e Joe, insinuandosi con le sue vuote ambizioni di fama, distruggerà questa piccola folle armonia senza capirla, fino a quando scoprirà quel mondo ‘diverso’ celato dietro la maschera di Frank.

Michael Fassbender nel film "Frank"
Una commedia dalle molteplici anime, davvero bizzarra ed imprevedibile presentata al Sundance Film Festival 2014 e in anteprima italiana al Biografilm Festival di Bologna.
Frank  è un film in cui non puoi far altro che lasciarti trasportare aspettandoti di tutto. Molti spunti, molte impennate in una miscela di humour e dramma.
E’ come assistere ad un’improbabile fusione tra Ken Loach  e Wes Anderson.
Un’originale riflessione sul rapporto tra genialità e follia, sul fragile universo parallelo creato dalle persone che vivono un disagio mentale rischiando di rimanere incomprese e schiacciate dal confronto con il mondo reale. 

domenica 28 settembre 2014

Il villaggio: mortifera coscienza collettiva




La comunità alla deriva mentale
di Maddalena Marinelli

“La follia è nei singoli qualcosa di raro ma nei gruppi, nei partiti, nei popoli, nelle epoche è la regola.”
(Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male, 1886)

Cosa può accadere quando numerose menti si coalizzano in un perverso ideale collettivo?
La personalità individuale scompare, si crede in una realtà illusoria a cui tutti si convertono per distruggere un cosiddetto nemico.
Uomini senza più un volto. Come un contagio la ‘mente di gruppo’ prende dominio.
Una completa sottomissione della volontà, ed ecco crescere l’ardore spirituale del fanatismo al servizio di una causa: la violenza di strada, la demonizzazione e la persecuzione delle minoranze, lo zelotismo politico o religioso.
La folla diventa il più terribile dei carnefici, ‘il diverso’incarna mali e colpe che verranno riscattate immolando la sua carne.

"Rosemary's Baby" (1968) di Roman Polanski

Il complotto, la setta che si accanisce contro un’ignara vittima.
Celeberrimo esempio  la congrega malefica di Rosemary's Baby - Nastro rosso a New York che trama alle spalle della mogliettina color pastello emblema di quella società americana tradizionale e ingenua ricolma di ideali e speranze.
Dietro il perbenismo dell’alta borghesia newyorkése c’è puzza di zolfo.
Il progetto a cui si dedicano tanti simpatici ed educati vecchietti è quello di trovare una giovane ragazza per far nascere l’Anticristo.
L’innocente Rosemary, chiusa nelle sue illusioni infantili, non vede e non accetta la terribile verità fino a quando non  guarderà gli occhi diabolici del suo pargoletto. 
Quel suo mondo di mieloso candore sarà spazzato via per sempre.

"The Village" (2004) di M. Night Shyamalan

C’è chi gode all’idea di trasformare il creato in un luogo caotico e sanguinario e chi si prodiga per ricomporre una specie di 'eden' incontaminato dal male come gli anziani di The village. Un piccolo villaggio separato dal resto del mondo da un misterioso anello di bosco dove vivono mostruose creature innominabili che non amano gli sconfinamenti.
Preservando questa credenza nessuno osa andare oltre l’ignoto e chi ha dato vita a questo microcosmo incantato, per fuggire da una società violenta, diventa carceriere di tutti gli altri abitanti che vivono nell’incosapevolezza.
Un concentrato di stilemi delle favole più antiche che ci hanno appassionato e spaventato nell’infanzia.
L’illusione di un luogo immutabile. La paura come strumento di potere e controllo.

"Il nastro bianco" (2009) di Michael Haneke

L’apparente monotonia di una bucolica cittadina protestante tedesca viene turbata da terribili eventi. Nel film Il nastro bianco quelli che inizialmente si presentano come incidenti si riveleranno atti rigorosamente progettati. Orribili punizioni inflitte ad alcuni membri della cittadinanza. Una serie di omicidi, depravazioni, sevizie.
Nessuno trova né la ragione né i colpevoli. Solo una terribile intuizione.
Il distacco emotivo, l’annichilimento delle pulsioni, l’inflessibile  sistema educativo dei padri hanno raggelato e aberrato irrimediabilmente il cuore dei figli ossessionati  nel perseguire purezza e virtù lungo un percorso ormai  travisato.
I bambini ormai diventati branco, attraverso una sorta di gioco perverso, riproducono i meccanismi di sopraffazione del mondo adulto.
Dietro convenzioni ed omertà si nasconde il frutto deviante raccolto dai più giovani svezzati dagli anziani sul modello di autorità, sopruso, intolleranza, ed espiazione.
Una metafora, il germoglio della futura Germania nazista.

"Dogville" (2003) di Lars von Trier

E’ risaputo che nei piccoli paesi la vita è più tranquilla e le persone sono genuine, operose ed ospitali. Quando la fuggiasca Grace, bisognosa d’aiuto, arriva nella sperduta Dogville trova tutta brava gente pronta ad accoglierla nella piccola, povera ma dignitosa comunità. Aria buona, statuine di ceramica, crostate di frutta.
Questo delizioso paradiso si tramuterà in un sadico inferno.
Molto presto la luce del radioso paesello cambia, anzi, svanisce e le ombre nascoste dentro gli abitanti di Dogville sono pronte ad accanirsi sulla ‘creatura fuori posto’ nel peggiore dei modi, attraverso le umiliazioni e le violenze più crudeli innescando le dinamiche della segregazione, dell’esclusione, dell’abuso e del sopruso giustificati da un’etica depravata.
La sopraffazione collettiva, nei confronti del diverso,  si scatena nell’infliggere un supplizio condiviso.
Dopo tali vessazioni, avendone la possibilità, la vittima non esita a trasformarsi in angelo sterminatore. Senza Dogville il mondo sarà un posto migliore.
Grace ne è convinta mentre assiste e partecipa alla fredda esecuzione di un’intera comunità, bambini compresi. Siamo sicuri di conoscere e di saper distinguere così nettamente il bene dal male e di non essere capaci di compiere abominevoli atti?
Il cinema atrocemente indagatore di Lars von Trier, con i suoi estremismi, ci pone questi interrogativi ribaltando e ricreando i dogmi morali.

"La donna perfetta" (2004) di Frank Oz

E se per raddrizzare le storture della società utilizzassimo la scoperta tecnologica creando una collettività ideale? Nella pacifica Stepford di La donna perfetta le mogli sono tutte sorridenti casalinghe soddisfatte e gli uomini mariti serviti e riveriti.
Non esiste nessun dissidio o malessere.
Un’altra grande menzogna alimentata da uno scienziato/capovillaggio (che si scoprirà essere incredibilmente una donna) motivata da un folle ideale contro l’emancipazione femminile.

"Calvaire" (2004) di Fabrice Du Welz

Se a Stepford non mancano le donne l’oscura comunità rurale di Calvaire è formata esclusivamente da uomini rozzi e bestiali. Condotto da un’infida nebbia Marc finirà preda di Bartel e di un branco di stranissimi individui all’interno di un piccolo brutale universo in cui il genere femminile non sembra mai esistito. 
Gli animali hanno sostituito il ruolo delle mogli.
Tutti vivono nel ricordo di un’unica donna fuggita da molto tempo che per qualche bizzarro motivo identificano follemente  nel forestiero Marc, pensando che Gloria sia tornata a casa.
L’abbrutimento psichico causato da un profondo stato d’isolamento. 

"La comunidad" (2000) di Alex de la Iglesia

Lasciando boschi e montagne non è che in città la situazione migliori. Che ne pensate del lato oscuro di chi ci abita accanto?
Nella grottesca commedia La comunidad - Intrigo all'ultimo piano un condominio cova avidi mostri camuffati da affascinanti single, vecchie zitelle, nerds pervertiti.
Tutti con l’unico obiettivo di  mettere le mani sulla vincita al totocalcio di un povero pensionato morto blindato nel suo appartamento, terrorizzato dalle cattive intenzioni dei suoi vicini di casa. Quando l’agente immobiliare Julia s’impossessa del malloppo inizierà un vero e proprio linciaggio. Impossibile scappare dal malefico fabbricato.

"La quinta stagione" (2012) di Peter Brosens e Jessica Woodworth

Homo homini lupus e natura che si ribella, con risvolti apocalittici, in La quinta stagione , fiaba cupa e surreale in cui una piccola collettività agreste rimane bloccata in un inverno senza fine.
Le api scompaiono, le mucche non danno più latte e la terra non germoglia.
Quando la ragione vacilla, la fame dilania, la paura non trova più sfogo ecco affidarsi a riti e superstizioni distorti dall’arroganza e dalla violenza della natura umana.
La setta alla ricerca del capro espiatorio che ovviamente sarà identificato nello straniero da sacrificare affinché la sventura si allontani.
Indossando delle maschere, per  alienarsi dalla propria coscienza, ormai si muovono all’unisono quando lo trascinano sulla collina per bruciarlo sul rogo.
Lo sfacelo più grande è sempre quello occultato dentro di noi.


giovedì 31 luglio 2014

LA FINE DEL MONDO #3: Abel Ferrara, quell'eterno regno del male





Devastazione contemporanea
di Maddalena Marinelli

“L’importante è agitarsi” (Abel Ferrara)

L’umanità è immersa nel dolore. Il cinema di Abel Ferrara sputa sangue.
Una perenne apocalisse sociale in cui uomini incattiviti si divorano a vicenda senza più nessun ordine e controllo. Prostitute, barboni, trafficanti di droga, piccoli delinquenti, killer, artisti in crisi calati nelle tenebre senza alcuna luce che possa rischiarare, ripulire l’orda criminale.
Reietti della società alla ricerca di se stessi in una labirintica metropoli ostile, straripante di crudeltà.
Una violenza che anche quando non esplode si respira nell’aria, per le strade e infetta tutto quello che tocca.
Anche i buoni, dopo aver subito soprusi, diventano spietati carnefici come la timida e dimessa Thana che si trasforma in un’implacabile giustiziera della notte in L'angelo della vendetta.
Urgenza convulsiva. Una regia sporca,  istintiva con spolverate ironiche.
Tutto pulsa in visioni potenti, abissali, senza compromessi.
Un male tellurico che inghiotte l’uomo. Un male che ha una fantasia illimitata.
La fede appare ad intermittenza. Forse ti salva, forse no ma offre una speranza di redenzione.
Intanto le anime marciscono e la dannazione si espande come un virus mortale:  “La nostra droga è il Male e la nostra propensione al Male risiede nella nostra debolezza. Non è cogito ergo sum, ma pecco ergo sum” (The Addiction, 1995)
In The Addiction la protagonista Kathleen, dopo  essere stata morsa da un vampiro, diviene consapevole che la vita è anzitutto aggressione e volontà di annullamento di ogni altro essere.

"4:44 Last Day on Earth" (2011) di Abel Ferrara

Un male che si deve compiere fino in fondo con poche possibilità di essere estirpato.
Paradossalmente proprio in 4:44 Last Day on Earth, il film in cui Ferrara affronta più esplicitamente la fine del genere umano, alleggia un’atmosfera meno cupa del solito. L’amore ci salva dalla catastrofe e il drammatico fato viene accettato serenamente forse perché è la vita ad essere il vero inferno e nulla potrà essere peggio di questo.
I protagonisti hanno la consapevolezza che tutto finirà tra poche ore ma non si scatena nessuna reazione aggressiva. Anzi, la cupa metropoli ferrariana stracolma di violenza, sangue e vendetta tace in un rintanamento spirituale.
L’attesa del totale annientamento quieta ogni impulso malvagio e obbliga alla riflessione azzerando l’azione.
Ma per Ferrara è solo un intervallo; un respiro in superficie per ripiombare il prima possibile, ancora più ferocemente, nell’abisso della dissipazione.
In Welcome to New York il corpo bulimico di  Devereaux divora e distrugge senza sosta.

"Welcome to New York" (2014) di Abel Ferrara

Dopo la fine ricomincia l’inferno. E’ questa la vera apocalisse a cui l’uomo non può sottrarsi: il perpetuarsi della perdizione.
“Le cose non cambieranno mai” dice Deveraux, “nessuno vuole essere salvato davvero!”. Una metempsicosi del cattivo tenente con ossessioni ancora più turpi. Dall’atto autodistruttivo si passa al crimine sul prossimo.
La presunzione del potente a cui nulla può essere negato.
Il sopruso sulla donna, sulla famiglia, sulla società, sulla libertà, sullo stesso cinema.

Willem Dafoe in "Pasolini" di Abel Ferrara

Il turbine del male è davvero senza fine? Dopo tutti i gironi infernali cosa profetizzerà l’atteso Pasolini di Ferrara? Quell’umanità appestata, quel malsano vivere, quella disperazione, quel Pasolini che in versione psichedelica e splatteriana si è pur sempre rivelato in tutto il cinema ferrariano.
Siamo tutti in pericolo.
“I vari casi di criminalità che riempiono apocalitticamente la cronaca dei giornali e la nostra coscienza abbastanza atterrita, non sono casi: sono, evidentemente, casi estremi di un modo di essere criminale diffuso e profondo: di massa.”
(Pier Paolo Pasolini, Lettere Luterane 1976)

giovedì 12 giugno 2014

MAD GALLERY 2


Volti e luoghi di alienazione
di Maddalena Marinelli


“Matto. Affetto da un alto grado di indipendenza intellettuale; non conforme ai modelli di pensiero, parola e azione, che la maggioranza ricava dallo studio di se stessa. In poche parole, diverso dagli altri.”
(Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911)

                  Giacomo Balla, “La pazza”, 1905, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna


Tra il 1902 e il 1905 Giacomo Balla realizza il ciclo dei viventi dedicata a tutti coloro che vivevano ai margini della società. Questa scelta tematica si può ricondurre all’adesione dell'artista all’idealismo sociale dell’amico poeta Giovanni Cena. Determinanti sono anche i contatti con Cesare Lombroso.
La fase pre-futurista di Balla è incentrata sulla ricerca di un realismo sociale espresso attraverso la tecnica del Divisionismo alla quale si avvicina a partire dal 1893 con il suo arrivo a Roma. Si interessa ai temi popolari, al mondo dei poveri, al paesaggio urbano.
La donna ritratta è Matilde Garbini, una malata mentale vicina di casa del pittore. Nell’espressione del volto e nella contorta postura del corpo Balla coglie la drammaticità di uno stato psichico alienato in un tranquillo contesto casalingo.
 I delicati colori e la luce del giallo retrostante la figura femminile concedono uno stato di quiete.
La donna si trova in controluce sulla soglia di una porta finestra mentre con un gesto o un’ espressione del volto sembra voler comunicare faticosamente qualcosa che rimarrà celato allo spettatore. 


“La pazzia è come il Paradiso. Quando arrivi al punto in cui non te ne frega più niente di quello che gli altri possono dire... sei vicino al cielo.” (Jimi Hendrix)


                               Francisco Goya, “El patio de una casa de locos”, 1794, Dallas, Meadows Museum


Un piccolo ma straordinario dipinto ad olio su ferro stagnato realizzato dopo il 1792 quando il celebre  artista spagnolo venne colpito da una misteriosa malattia che lo lasciò fisicamente debilitato e permanentemente sordo. Durante la lunga convalescenza Goya si dedicò a lavori di piccolo formato che danno più spazio alla fantasia e all'invenzione: “Sono riuscito a fare osservazioni che di solito non sono consentiti nelle opere commissionate ".
Un dipinto non certo da presentare a marchesi o conti. Un’immagine allo stesso tempo surreale e grottescamente realistica che denuncia la situazione di desolazione e totale abbandono in cui si trovavano i malati mentali.  
Francisco Goya vide questa scena quando si trovava a Saragozza.
Un cortile che ospita un gruppo di alienati. Il malato di mente veniva trattato come un criminale comune ed era normale intervenire con azioni punitive nei suoi confronti.
Una visione inquietante di uno stato di sofferenza.
Un dipinto dai toni rarefatti in cui i protagonisti emergono da altissime e cupe pareti. La luce del sole rimane irraggiungibile, non entra nel cortile. L’ uomo sulla sinistra sembra guardarci con espressione disperata  e urlante. Due uomini al centro lottano completamente nudi mentre il loro carceriere li batte. Come sempre Goya riesce a cogliere gli aspetti umani più oscuri e sadici della vita mai solo quelli retorici.


“La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia…”
(SALLY, Vasco Rossi)


                          Johann Heinrich Füssli,La Follia Di Kate”, 1806-1807, Francoforte, Goethe-museum


L’ inclinazione per il lato oscuro e perturbante si snoda come  filo conduttore di tutta l’ opera di Johann Heinrich Füssli. S’incarna, in particolar modo, nelle figure femminili, dipinte sia con fattezze di dolci fate sia come crudeli ed erotiche "femmes fatales" o come vittime innocenti perseguitate da mostruose creature notturne.
Il soggetto rappresentato è un personaggio della lirica The Sofa contenuta nel poemetto The task del poeta inglese William Cowper.
Kate è una giovane domestica innamorata di un marinaio la cui scomparsa in mare scatenerà in lei la follia.  Impazzisce di dolore rendendosi conto che il suo amato non farà più ritorno.
Kate ha tutte le tipiche caratteristiche del personaggio romantico concependo l’amore come assoluto, divorante e totalizzante fino alle estreme conseguenze.
La follia come eccesso passionale.
Füssli crea il riflesso esterno di una psiche che sta andando alla deriva.  
Gli occhi spalancati ci guardano con smarrimento e terrore, la bocca è semiaperta, la postura è innaturale. Il gesto della mano, seppure esitante, allude al mare causa del suo dolore.  E’ colto il momento culminante della follia che esplode come la tempesta alle spalle della ragazza, ormai irrefrenabile.


“Osservate con quanta previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell'uomo più passione che ragione perchè fosse tutto meno triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso”.
(Erasmo da Rotterdam)


Pieter Bruegel il Vecchio, “Margherita la pazza” (o Dulle Griet),1561, Anversa, Museo Mayer van den Bergh - particolare


Da Raffaello a Guercino e ancora  Simone Martini, Parmigianino, Andrea del Sarto, tanti la dipinsero spesso come una bellissima ragazza. "Dulle Griet" è una figura del folklore fiammingo personificazione della strega, allegoria dell'avarizia.
Una versione popolare e riadattata della figura di Santa Margherita d'Antiochia che sconfisse il demonio. Sotto il regno dell'imperatore Massimiano, feroce persecutore dei cristiani, in Antiochia di Pisidia una fanciulla di nome Margherita fu condannata a morte e martirizzata a causa della sua fede in un unico Dio. Nella cella durante la notte, secondo la leggenda, il diavolo sarebbe apparso a Margherita e l’ avrebbe ingerita viva. Ma lei, grazie  alla croce che aveva in mano, squarciò da dentro il ventre del mostro e si liberò. Per questo divenne la protettrice delle partorienti.
La sua memoria sopravvisse nelle leggende popolari trasformandosi, a poco a poco, da quella di una bella ragazza in fiore in quella di una strega capace di sfidare l'Inferno.
Bruegel la rappresentò al centro del dipinto come una vecchia invasata dal gigantesco corpo allampanato. Armata e in corsa  si dirige verso la bocca antropomorfa degli inferi con un ricco bottino.
Un monito per quanti insistono nel vizio al punto da perdere la ragione.
L’associazione della follia alla colpa e allo scatenamento del demoniaco.

   Pieter Bruegel il Vecchio, “Margherita la pazza” (o Dulle Griet) 1561
Attorno a Dulle Griet si svolge un abnorme sabba collettivo.
Vi sono scene di distruzione in una città, conseguenza di un attacco portato plausibilmente dalla strega stessa e dal suo passaggio.
Figure mostruose popolano tutto il dipinto. Il colore dominante è il meraviglioso rosso delle fiamme. Ogni mostruosa creatura e ogni oggetto rimandano a simboli magici e alchemici nascosti nell'umanità scanzonata e sgangherata del popolo.
Una figura chiave è il gigante che, poco sopra il centro del dipinto, regge sulla schiena una barca con la sfera e con un mestolo di ferro rovescia monete dal suo deretano a forma di uovo dal guscio rotto. Si tratta forse dell' opposto di Dulle Griet, che getta indifferente alla folla le ricchezze che essa invece raccoglie con avidità.
Un richiamo all'inutilità dell'accumulare beni materiali.
Evidenti sono i debiti verso Hieronymus Bosch. Margherita la pazza è il seguito, la coda dell’opera La Nave dei folli.
Molto probabilmente  lo stesso committente chiese un dipinto nello stile del defunto maestro.  


“Tutti siamo scienziati pazzi, e la vita è il nostro laboratorio. Tutti stiamo sperimentando per trovare un modo di vivere, per risolvere problemi, per convivere con pazzia e caos”. (David Cronenberg)

 Vincent Van Gogh, “Il dormitorio di Saint-Paul”, 1889, collezione privata

L'8 maggio 1889 Van Gogh, accompagnato dal pastore Salles, entrò volontariamente nella Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a Saint-Rémy-de-Provence, a venti chilometri da Arles.
«Osservando la realtà della vita dei pazzi in questo serraglio, perdo il vago terrore, la paura della cosa e a poco a poco posso arrivare a considerare la pazzia una malattia come un'altra» (V. Van Gogh)
L’opera raffigura l’interno del manicomio, il quale, al contrario dell’architettura esterna e della campagna che lo circondava, era abbastanza deprimente.
Il dipinto trasmette lo stato di abbandono in cui erano lasciati i pazienti.
Il lungo corridoio con i letti dei degenti e in primo piano un gruppetto di persone dimesse raccolte intorno ad una stufa giorno dopo giorno in eterna attesa.
« [...] Quelli che sono in questo luogo da molti anni, a mio parere soffrono di un completo afflosciamento. Il mio lavoro mi preserverà in qualche misura da un tale pericolo. » (Lettera a Théo van Gogh, 25 maggio 1889)
Vincent non si coricava nel dormitorio. Aveva a disposizione due camere di cui una per lavorare alle sue tele. Gli era permesso dipingere fuori dal manicomio accompagnato da un sorvegliante e si manteneva in contatto epistolare con il fratello che gli spediva libri e giornali. Durante la sua permanenza a Saint-Paul-de-Mausole tentò diverse volte di avvelenarsi con i colori e il petrolio.