martedì 17 dicembre 2013

La fine del mondo #2: "Le dernier combat", di Luc Besson

Le dernier combat (1983) di Luc Besson

                                                                                                                                                       
Un mondo senza parole
di Maddalena Marinelli

Il Pianeta è stato raso al suolo da una catastrofe imprecisata.
In una distesa desertica i sopravvissuti sono in continuo stato di guerriglia per conquistarsi i pochi beni preziosi: cibo, acqua e le rarissime donne che vengono custodite/segregate sotto chiave.
Gli uomini non riescono più ad emettere parola a causa di un veleno diffuso nell’aria. Regrediscono ad uno stadio primitivo trasformandosi in belve violente, in scalcinati guerrieri tra medioevo ed età della pietra.
Un film che alterna  poesia, dolcezza, crudeltà e ironia in cui la parola è completamente assente. Tutto viene affidato all’immagine, alla colonna sonora di Eric Serra, ai volti intensi degli attori Pierre Jolivet, Jean Bouise, Fritz Wepper e naturalmente alla prorompente fisicità di Jean Reno che diventerà una presenza costante in tutti i film successivi di Besson.
Personaggi beckettiani rassegnati o in cerca di rivincita in un mondo  dove l’uomo sembra rimasto completamente solo e non esiste più un Dio da invocare.


Il protagonista della vicenda conserva ancora un barlume di speranza. Rispetto agli altri, che rassegnati si lasciano andare all’imbarbarimento, lui cerca di reagire. Non vuole dimenticare la sua umanità e sogna di riavere un giorno la sua voce.
La banda di disperati, che vive nelle macchine in mezzo al deserto, è ridotto ad un branco di lupi affamati. Una piccola tribù che s’inventa sadiche regole come quella di sostituire il denaro con dita mozzate.
Il dottore, ultimo emblema del sapere umano, si è barricato nella sua clinica e si consola disegnando graffiti e accudendo la bella donna che tiene prigioniera nel labirintico sotterraneo. Il bruto, con la sua ceca ferocia, rappresenta tristemente lo stadio finale di questa regressione morale e sociale.
Uno schema narrativo chiaro e conciso, grande suggestione delle locations che vengono raccontate con estrema cura per il dettaglio e con l’ausilio di piccole invenzioni. L’eccezionalità del film è quella di riuscire a rendere credibile e autetico un mondo post-apocalittico senza l’ausilio di  effetti speciali. Non mancano le scene d’azione, scandite dal jazz-rock di Eric Serra, in cui il 23enne Besson  dimostra già la sua grande padronanza di ripresa.


Scarno, realizzato con poche risorse economiche ma con una grande intensità visiva e ideologica. Il primo lungometraggio di Luc Besson. Sono già ben evidenti quei tratti tipici della sua regia energica, lucida e amara in cui si ripete il leitmotiv di protagonisti buoni che si ritrovano a compiere nefandezze imposte da un sistema carogna. Per ogni film Besson studia un involucro estetico molto accurato. Segue freddamente uno schema registico che scandisce le storie secondo i livelli dei video games per ristabilire un senso umano di realtà solo nel finale. L’inafferrabile Besson che salta da un progetto all’altro senza seguire una linea precisa. Si divide tra l’irresistibile piacere di curare solo la forma e l’esigenza di esprimere un contenuto.
Si diverte a fare un cinema più commerciale e ultimamente anche i film per ragazzi. Poi c’è l’altra versione di Besson, attualmente sparita, quella dei film più intimisti e autobiografici come Le Dernier Combat, Le grand bleu, Angel-A, Atlantis. 

(Saggio di Maddalena Marinelli tratto dal catalogo della rassegna Finimondi)

sabato 23 novembre 2013

MAD MOVIES PARADE 2

     

Dieci film italiani dedicati al buio nella mente
di Maddalena Marinelli


Folgorante metafora distruttiva della colonna portante famiglia alle soglie dei moti sessantottini. Il prima della rivoluzione, quell’aria che si respira tra il vecchio e il nuovo, tra stasi e cambiamento. Tessiture shakespeariane, tipica ferocia parricida proveniente dalla mitologia greca. L’ambizioso e folle progetto omicida di Alessandro per fuggire dai legami che lo reprimono. Sarà in grado di gestire questa libertà senza nessun rimorso nei confronti dei sacrifici di sangue che ne sono stati il prezzo?

PARTNER (1968) di Bernardo Bertolucci
L’esplosione del doppio. Quando un giovane intellettuale si dimostra incapace di prendere decisioni  la sua mente partorisce un sosia che agisce senza remore. L’intrepido gemello realizza i desideri nascosti del timido Giacobbe. L’opera più criptica, stonata e intima di Bertolucci in cui prevale l’ombra. Decostruito, improvvisato e girato in presa diretta. ‘E’ VIETATO VIETARE E’PROIBITO PROIBIRE’, durante le riprese di Partner esplode il Maggio Francese.   

L’incontro tra una ragazza misteriosa e fragile con un uomo di mezza età avverso ai legami duraturi. L’amore sembra illusoriamente più forte dell’amara realtà in cui Nicole soffre di disturbi mentali imprevedibili che generano violente crisi e Dino si illude di riuscire a sacrificarsi per amore, di poter restare accanto alla ragazza nonostante tutto. Laconico, malinconico, amaro fallimento dell’amore.

Due sorelle, l’una carceriera dell’altra. Un impenetrabile e morboso microcosmo femminile. I ruoli di madre e figlia, amanti, coppia, insegnante e allieva, si concentrano unicamente in due donne mentre ‘fuori’ il genere maschile è visto come minaccia fino a concepire, nei suoi confronti, un vero e proprio atto di sterminio quando un uomo proverà ad interporsi entrando in questo bozzolo alienante.

In un manicomio,  fuori dal mondo reale, scorre la vita tra regole e trasgressioni. I rinchiusi, oltre ai malati, finiscono per essere anche gli stessi medici che nel contatto quotidiano con la follia iniziano a non distinguere più quella linea di separazione. Il dottor Bonaccorsi cerca rifugio nell’improbabile tesi sull’esistenza del microbo della follia che viene completamente smentita da una giovane dottoressa, l’unica a rendersi conto delle tante ‘anomalie’ condivise normalmente tra malati e medici. Quando Bonaccorsi oppresso sprofonderà nella crisi e deciderà di abbandonare l’ospedale scoprirà che non c’è via d’uscita quando la follia diventa status sociale e politico. La regia sofisticata di Bolognini tinteggiata di eros.

Thriller soprannaturale che sfocia nell’horror. Esperimento tra cinema, performance, documentario. Una critica rivolta alla figura dell’intellettuale. Il ritratto della psicosi di un artista rivoluzionario nel suo atto creativo ma imprigionato nel sistema economico dell’arte. Così prendono vita apparizioni e desiderio omicida nei confronti della sua compagna, simbolo di quel sistema artistico che tanto l’opprime e che ha spento la sua ispirazione artistica. Protagonista una misteriosa e labirintica villa veneta che ammalia l’artista amplificandone le nevrosi con i suoi segreti e le sue particolari stanze.

Uno scambio d’identità, una riflessione sul potere e la politica. La riscoperta di un valore etico delle parole. Un uomo uscito da una clinica psichiatrica prende il posto del fratello gemello leader di un partito politico. Mentre Enrico schiacciato dai doveri fugge dalla sua maschera per ritrovare se stesso, Ernani come un baldanzoso attore di riserva recita a soggetto e nella sua imprevedibilità riesce a conquistare la gente perchè non ha nessun fine, nessun accordo, nessuna mira politica, nessun doppio gioco o strategia da seguire.

Nicola ha vissuto fin da bambino nel manicomio di Santa Maria della Pietà  non si sa bene per quale motivo, forse solo a causa di una famiglia assente. Matto solo perché non ha speranza di essere qualcos’altro. La sua voce-off diventa portatrice di evocazioni, piccoli racconti, drammi, quotidianità che rivelano tracce di vita vissuta dentro l’alienazione tratte da testimonianze raccolte dallo stesso Ascanio Celestini. Nella testa di Nicola avviene uno straordinario montaggio/cortocircuito tra ricordi, realtà e fantasie incompatibile con un ‘normale’ vivere presente ma che lo consacra geniale narratore.

"Venezia è una vecchia signora dall'alito cattivo" dice Fabio Stolz al nipote appena arrivato in città per studiare pittura. Attraverso gli occhi ingenui di questo ragazzino di provincia Risi cala lo spettatore all’interno di una decadente e malsana vita di coppia chiusa a macerare tra le fredde mura di un antico palazzo fatto di scale che conducono verso stanze segrete dove tutto è permesso. Giovinezza e vecchiaia, purezza e perversione, verità e finzione.  Un Dino Risi in veste gotica. Un film sulla perdita dell’innocenza, sul rifiuto dell’inesorabile tempo che passa.

Grazia è una donna che non riesce a stare al suo posto, come la Mabel di Cassavetes è una mina vagante. Moglie innamorata e passionale, madre dolcissima di tre figli non si vuole sottomettere al conformismo dei suoi conterranei. Sembra divampare in lei un fuoco incontenibile, una forza primordiale e selvaggia come l’acqua, la roccia, la natura che la circonda. Ma cos’è davvero Grazia? Tutti la considerano una pazza e vorrebbero estirparle questa imbarazzante e incomprensibile anomalia ma  lei non vuole farsi domare e svanirà per infine riapparire a tutti nella sua vera essenza, forse finalmente compresa.





mercoledì 9 ottobre 2013

La fine del mondo: Pre-visioni straordinarie




Un apocalittico itinerario umano, estetico e cinematografico
di Maddalena Marinelli

“Non vediamo le cose per come sono, ma per come siamo”     (Anais Nin)

Scenicamente appropiato sarebbe collocare lo svolgersi della fine al crepuscolo o alle prime luci dell’alba, quando il sonno e i sogni si muovono ancora nell’aria, quando l’abituale percezione della realtà rallenta e la nostra mente lascia scivolare dentro quelle piccole variazioni che inizialmente sembrano leggerissime ma che possono mutare con decisione il nostro usuale punto di vista gettandoci in abissi irreversibili. Quindi è in queste trame che potrebbe verificarsi, in un lieve  cambio di luce, l’inizio di qualche forma d’oscurità che rovescia il nostro mondo nel caos.  Se ci fosse un risveglio chissà in quale mutazione della realtà i nostri occhi si riaprirebbero.
Poco c’è rimasto da immaginarsi. Il cinema ha risucchiato ogni possibile fine del mondo e continuerà a proporre altre migliaia di (pre)visioni apocalittiche fino al vero, autentico ‘giorno del giudizio’ che probabilmente confonderemo con un film in 3D.
Ampia è la gamma tonale della catastrofe: rugginose distese desertiche, amalgama grigia che include cielo e terra, fangose e putrescenti lagune, cumuli di ferraglia, bianco abbacinante, profondi imbuti neri, distese d’acqua che sommergono le capitali del mondo.
Cercasi immagini del disastro? Potremmo banalmente partire dal genere cinematografico che per eccellenza se ne occupa più di tutti gli altri ma sarà poi inevitabile spaziare altrove perché la fine del mondo ha  un’ identità proteiforme.
In effetti da un film di fantascienza è difficile aspettarsi positività per l’avvenire, un domani migliore, di solito preannunciano l’avverarsi dei peggiori incubi arrivando a concepire immagini acheropite.
Ci siamo giocati anche il buon Spielberg che ha tradito il romanticismo di E.T. e Incontri Ravvicinati per calarsi in scenari futuri in cui l’onnipotenza umana trascina il mondo alle estreme conseguenze e nel caso non bastasse, ci sono sempre gli alieni ostili a farci fuori con le tecnologie più sofisticate e divinamente sadiche.

"Gli uccelli" (1963) di Alfred Hitchcock

Senza scomodare le civiltà intergalattiche ci pensa la natura con tutte le sue sacrosante ragioni a inviarci i suoi sicari dal cielo, come in Hitchcock dove gli uccelli si coalizzano nello sterminio della razza umana.
La violenza priva di senso e limiti, il terrore atomico, biologico e mutageno.
Una delle immagini più evocative della (auto)distruzione del Pianeta è quella della war room nel film Prova di errore di Sidney Lumet in cui i potenti della Terra osservano impotenti il propagarsi del disastro nucleare.
I nostri anni sono segnati da paure più prosaiche ma altrettanto devastanti come la perdita del lavoro, della casa, dei diritti umani, dei sentimenti, della giustizia, della libertà ma anche questo è la fine del mondo.
Le fantasie orwelliane si stanno minacciosamente avverando? Gli scenari di Fahrenheit 451 o de L’uomo che fuggì dal futuro, dove si vive in una società in cui sono  banditi i sentimenti e l’individualità, non sono così lontani.
Fa molta più paura il male che non si vede, rispetto alla calamità  che dovrebbe cadere dal cielo, quello subdolo che si annida nell’essere umano.

"Eraserhead - La mente che cancella" (1977) di David Lynch

In Eraserhead nel famoso volto/icona di Henry Spencer, sullo sfondo di una misteriosa nuvola di polvere che divora l’aria, si riflette un orrore indicibile e invisibile che rimane occultato agli spettatori. I suoi occhi cosa stanno fissando? Forse l’ultima visione del mondo prima della sua cancellazione proiettata nell’imcomprensibile ma perturbata espressione di Henry che già si trova, senza saperlo,  in un desolante e onirico mondo post-apocalittico.
Se il quadro d’insieme si dimostra decisamente allarmante un utile esercizio può essere mettere a nudo l’immagine dei pensieri e delle paure umane attraverso la prefigurazione filmica.
Iniezioni oculari per sperimentare, simulare, esorcizzare l’eventuale fine del mondo e la situazione post-atomica da homo homini lupus.
I Maya, Nostradamus, San Giovanni, sono tutti d’accordo sull’arrivo di questa distruzione/ricreazione planetaria. Ogni tanto nella storia sembra avvicinarsi il momento di questo grande flagello tanto per tenerci in allarme, farci riflettere sul senso della vita e naturalmente lucrarci sopra il più possibile.
Paranoie, fobie, visioni, bunker con scorte di minestre Campell, profezie che aumentano, le sette che cominciano a programmare i suicidi di massa.
Siamo sicuri che la fine del mondo deve ancora arrivare? O ci siamo già dentro e ci consuma lentamente? La bomba non potrà esplodere perché è già esplosa, anzi esplode ogni giorno. L’apocalisse  avviene in ogni minuto ed è vicina e possibile. Siamo noi i piccoli pianeti che si stanno spegnendo con finte estati ed inverni sempre più lunghi  e come nell’ Inquilino del terzo piano fuori non esiste nessun complotto.  La vera persecuzione, l’ordigno dell’apocalisse è nella nostra mente.
Il seme della follia è letale, contagioso e senza limiti creativi, la materia filmica si è molto nutrita di psicosi diventando spazio privilegiato di paure e fantasmi collettivi.  In Take Shelter un tranquillo operaio comincia ad avere terribili sogni su catastrofi che si abbatteranno sul Pianeta. Sono premonizioni o solo i segnali di un disturbo mentale?
La fantasia dell’uomo ha generato i tanti “The Day After” prevedendo civiltà al limite, lande desolate, regressioni all’età della pietra. L’azzeramento di tutto con i superstiti che si rincorrono per divorarsi a vicenda.

"Il paese incantato" (1968) di Alejandro Jodorowsky 

Nel film Il paese incantato un uomo trascina sopra un carretto la sua donna paralitica. Insieme partono alla ricerca della leggendaria città di Tar, luogo estremo dove rifugiarsi da una realtà all’ultimo stadio del disfacimento morale. Lo scenario si presenta apocalittico; un mondo spazzato via in cui i sopravvissuti vivono tra le macerie senza più riferimenti e regole. Fando e Lis rappresentano la coppia archetipica. Lottano tra istinto di preservazione e istinto di distruzione del loro legame.
L’opera d’esordio del poeta/alchimista Jodorowsky. Cave deserte, cimiteri profanati da scenette che prendono in giro la morte, donne anziane che seducono uomini giovani, allegre bande di travestiti, una donna che rappresenta la figura di un pontefice, antropofagia, vampirismo e molto altro.
Forse Lis è solo un’invenzione di Fando, la rappresentazione della purezza indifesa che viene sempre minacciata o corrotta. Il cammino verso Tar si rivelerà una discesa nell’abisso della psiche da cui riemergono ricordi, dolori, traumi mai affrontati incarnati da una serie di emblematici personaggi. Un girone dantesco, un labirinto infernale dove i due protagonisti si ritrovano sempre al punto di partenza. Quando Lis distrugge il tamburo che rappresenta l’ultimo prezioso oggetto dell’infanzia, Fando la uccide facendola diventare una santa divorata dai suoi fedeli che attraverso l’atto del cannibalismo cercano di conquistare un pezzetto della sua purezza.

"The road" (2009) di John Hillcoat

Un altro sfondo post-apocalittico, un altro viaggio della speranza, un’altra coppia: un padre e suo figlio. In The Road il mondo è diventato un luogo sconfinatamente selvaggio dove gli uomini si dividono tra prede e predatori. Un inferno del nulla, in cui il male è diventato la scelta per la sopravvivenza.Vedere un bambino buttato in uno scenario simile fa paura. La sua (r)esistenza sembra impossibile. Il padre lo definisce ‘la mia garanzia’, in un mondo in cui ogni giorno è più grigio del precedente, il bambino diventa quel fuoco da non far spegnere per nessuna ragione. Anche in questo caso la purezza e l’innocenza contro le disfattezze dell’umanità.
La morte è un pensiero incessante sia come pericolo tangibile ma anche come liberazione, alternativa al teatro delle crudeltà inflitto dai predatori. Il bambino nasce nella fine del mondo, in un contesto senza più nomi, riferimenti temporali e spaziali. La sua vita è racchiusa tra la morte della madre che non vede e quella del padre a cui assiste integralmente.

"Il tempo dei lupi" (2003) di Michael Haneke

Il tempo dei lupi di Michael Haneke inizia con l’uccisione del capofamiglia lasciando allo sbando una donna e i suoi due figli in mezzo ad un inprecisato e spietato paesaggio nebbioso spogliato da chissà quale cataclisma. Ancora un bambino come agnello tra i lupi che sul finale decide di compiere una specie di sacrificio saltando nel fuoco per purificare la Terra dai suoi mali.
Una moltitudine di proposte, di possibili orrori futuri. Chissà tra i tanti, quale si avventerà su di noi. Oppure rimarranno solo grandi fantasie, sfoghi liberatori del nostro inconscio.
Il cinema può curare il male del mondo? Può elaborare gli sbagli del passato? Può illuminarci sulla via futura? Oppure è solo un attraversamento senza giusta destinazione. Il nostro matrix in cui alienarci a piacimento, dove i sogni e gli incubi si consumano ripetendosi in un ciclo perpetuo.

(Saggio di Maddalena Marinelli tratto dal catalogo della rassegna Finimondi )
                                                                 

















martedì 3 settembre 2013

"In Trance", di Danny Boyle

MAD NEWS

IN TRANCE dal 29 Agosto 2013 nelle sale italiane
La mente fa brutti scherzi
di Maddalena Marinelli

Simon è finito nel vortice della manipolazione. Una banda di criminali lo perseguita  costringendolo all’ipnosi per recuperare una celebre opera di Francisco Goya rubata durante un’ asta con la sua complicità. Ma tutto e tutti non sono quello che sembrano e il manipolatore di Simon potrebbe essere qualcun’ altro che agisce da molto prima. Naturalmente la mente umana è imprevedibile e se sconvolta, cancellata, resettata alla fine può reagire molto male. Nulla si può veramente obliare. Dimenticare il dolore è vano perchè genera il suo risveglio in altre forme.
Peccato che In Trance non sviluppi granchè queste interessanti tematiche e si lasci andare al puro effetto visivo. Un meccanico gioco in cui, come sempre, i personaggi boyliani compiono le peggiori nefandezze con la massima tranquillità per pentirsi giusto quello che basta e tornare ad una vita normale.
Penombre, raffinati e asettici interni, ipnoterapeuti che riescono a fare tutto quello che vogliono. Una sceneggiatura di scarsa efficacia per un lungometraggio, decisamente più adatta per un episodio di un serial televisivo. Le ripercussioni derivate dall'improbabile cancellazione del ricordo di una storia d’amore da una mente umana. In Trance sembra il gemello malvagio e meno dotato di Eternal Sunshine of the Spotless Mind in cui lo straordinario mix emotivo/visionario/tecnico è difficilmente uguagliabile. Per non parlare di un confronto con Nolan da cui Boyle ne uscirebbe più che sconfitto.


Così l’inganno della mente diventa l’inganno visivo del cinema. Il cinema è l’unico mezzo che può farci vedere realisticamente l’irrealismo del pensiero. Tutto quello che l’occhio umano non può vedere il cinema può vederlo come una potentissima protesi oculare alterante.
La facilità con cui l’uomo cade nella corruzione, le conseguenze di scelte sbagliate, l’impossibilità dell’amore di poterci salvare dal male (con qualche rara eccezione) e l’epilogo che esplode nella follia sono da sempre gli elementi portanti del cinema di Danny Boyle. Fin da Piccoli omicidi tra amici in cui tre ragazzi normali davanti ad una valigia piena di soldi si trasformano in furiosi assassini arrivando ad eliminarsi a vicenda.
Il grande calcolatore Boyle è un regista a sangue freddo a cui piace giocare col cinema, manipolare diversi generi, rapire visivamente lo spettatore.
Diversamente simile da Tarantino a cui si alterna un’anima depalmiana con sepolte tracce sociali loachiane.  Boyle ama quel tocco di splatter che non può mai mancare, ama citare altri registi e altri film e soffre di un incontrollabile esibizionismo tecnico. Rimpinza i suoi film di flashback, split screen e found-footage rendendo la storia e i personaggi solo degli elementi marginali. La freddezza stilistica diventa troppo spesso superficialità ridondante. La ricerca del fotogramma perfetto con il perfetto impulso sonoro. Quindi ciò che rimane è il puro trionfo del cinema per il cinema, se può bastare.

domenica 28 luglio 2013

"The Purge", di James DeMonaco

                                                       
                                                                  MAD NEWS 
THE PURGE dal 1° Agosto 2013 nelle sale italiane


Una sola notte all’inferno
di Maddalena Marinelli

Nel 2022 gli Stati Uniti hanno trovato la soluzione ideale per controllare  il tasso di criminalità e violenza istituendo la cosiddetta 'notte della purificazione'.
Il primo giorno di primavera, quasi come un arcaico rito sacrificale, per 12 ore si svolge ‘lo sfogo’ in cui tutto è lecito e nessun crimine può essere punito. La polizia non può intervenire e gli ospedali non possono dare soccorso.
Questo catartico massacro autorizzato dovrebbe placare quell’impulso all’efferatezza insito in ogni uomo e garantire serenità per tutto l’anno.  Utilizzare il male come cura non fa altro che amplificare perfidia, sadismo, senso di onnipotenza, oppressione nei confronti dei più deboli.
Il geniale rinnovamento è condotto dal regime politico NFA (nuovi padri fondatori dell'America) probabilmente i diretti discendenti di quelli che nel Seicento bruciavano le presunte streghe.
Il sistema sembra efficace e infatti iniziano a sparire poveri, vagabondi e disoccupati perché sono le vittime più facili da raggiungere visto che a proteggersi adeguatamente, durante la notte del giudizio, può essere solo la classe agiata.
Per vendetta o per sfogarsi l’omicidio diventa un diritto, un dovere patriottico.
Sadico gioco per passare la nottata come per il gruppo di ragazzi che vogliono sacrificare un senzatetto o punizione inflitta da vicini di casa semplicemente invidiosi del successo altrui.
Perché preoccuparsi troppo di una motivazione per commettere un crimine quando non si è perseguibili del reato? Ma esistono motivazioni valide per compiere un omicidio?
Commettere un omicidio, togliere una vita è sempre un punto di non ritorno. Durante la terribile notte del giudizio sarà una famiglia a dimostrare come può esistere la possibilità di una scelta diversa.
Probabilmente la prima domanda che lo spettatore si pone è: “Se anche tu avessi questa possibilità chi faresti fuori?”, liberando il proprio piccolo ‘sfogo’ immaginario.
Rispondere alla violenza con una violenza  legalizzata mascherata da azione eroica o spacciata come atto di civiltà per il conseguimento di un bene comune  è molto americano; basta pensare alla pena di morte o al secondo emendamento della costituzione americana.
Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una milizia regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto..” (secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America)


L’idea distopica di The Purge è accattivante anche se rimane appena accennata. Un’apocalisse sociale che fa molta più paura di qualsiasi calamità naturale, aliena o nucleare. Estremizza alcuni aspetti della società americana anche se i concetti tirati in ballo non vengono approfonditi ma usati semplicemente come pretesto per innescare azione e suspense interamente concentrati all’interno di una casa che diventa un campo di battaglia per la sopravvivenza.
Una home invasion discendente da Fanny Game e che proseguirà nel prossimo You're Next con killer mascherati da animali sterminatori di famiglie.
Il low-budget The Purge si pone concettualmente come contraltare di Minority Report in cui l’America per sconfiggere il crimine individua e punisce solo l’intenzione nel compierlo grazie al ‘sistema precrimine’ basato sulle precognizioni di tre individui dotati di percezioni extrasensoriali.
Prima dell’opzione sul libero sfogo  dell’istinto all’aggressività  di The Purge  ci aveva provato anche Equilibrium a trovare sistemi meno feroci ma altrettanto disumani per placare guerre e delitti agendo sulla fonte,  annullando la capacità di provare emozioni grazie alla droga Prozium.
Un disfacimento sociale e morale in nome del raggiungimento di uno stato d’ordine vantaggioso solo per pochi eletti che si riproporrà in Elysium in uscita a fine Agosto.
Dall’annullamento di ogni impulso alla liberazione della bestia che cova in noi ma sembra che nulla funzioni e l’uomo non possa sottrarsi al medesimo ciclo autodistruttivo che si perpetua ormai da secoli. Il tentativo di interromperlo provoca solo orrori e follie più grandi.

mercoledì 17 luglio 2013

La casa: utero dei nostri incubi



Chiusi in quella casa
di Maddalena Marinelli

“La casa è l'epidermide del corpo umano.” (Frederick Kiesler)

Un luogo sicuro può trasformarsi in entità ostile, proiezione di tutte le nostre paure, vera e propria minaccia fisica.
La dolce casetta di marzapane era il covo di una terribile strega.
Così quello spazio familiare che dovrebbe proteggere dai pericoli esterni, diventa l’incubatrice prediletta dal cinema per manifestare tutte le sfumature del perturbante nonché cassa di risonanza di un tetro mondo interiore.
Un piccolo microcosmo dove si materializzano allucinazioni o terrificanti presenze molto reali. Si nascondono segreti, passioni proibite, alienazioni, punizioni, prigionie.
Inutile soffermarsi sugli innumerevoli film horror di case in cui si consumano le atrocità più inconcepibili. Cantine, soffitte, porte, stanze segrete che nascondono psicopatici, mostruose famigliole, maledizioni o spettri vendicativi. 
Registi come Roman Polanski e Bernardo Bertolucci amano maniacalmente girare le loro storie in spazi chiusi. Godono di quel manipolo visivo claustrofobico e chiaroscurale che indaga l’anima di personaggi chiusi in interni che da reclusori fisici diventano oppressori psichici.
Ricerca introspettiva, rifiuto di una realtà esterna deludente, esplorazioni paranormali, follia in fase crescente, nuove consapevolezze raggiunte per uscire ‘fuori’.
Lo spettatore è portato all'interno di queste case per spiare la vita degli altri a stretto contatto fisico con i personaggi in un viaggio dentro la notte della psiche umana.   
Così entriamo a bassa quota nell’appartamento di Ultimo tango a Parigi in cui due sconosciuti amanti s’incontrano per sfuggire alle loro vite e perdersi in una dimensione separata da una realtà opprimente. Il tentativo di portare questo rapporto all’esterno sarà fatale.

"Ultimo tango a Parigi" (1972) di Bernardo Bertolucci

Sempre a Parigi si trova il labirintico appartamento di The Dreamers scenario di sogni, amori, sofferenze e crescite di tre ragazzi con la rivoluzione sessantottina alle porte fino ad arrivare al confronto di Lorenzo e Olivia nella cantina di Io e te, momentanea alcova atemporale in cui scollegarsi dalla vita esterna per riappacificarsi con il mondo.
Più visionario, occulto e sarcastico, predisposto ad un cinema che scivola volentieri nel sovrannaturale Polanski gioca con la paranoia, l’ossessione, il delirio della mente umana, l’incubo celato nella quotidianità.

"Repulsion" (1965) di Roman Polanski

Costruisce percorsi in luoghi chiusi che sfociano nella follia omicida o suicida come nel film Repulsion in cui la giovane Carol si ritrova a confrontarsi con traumi mai superati in un appartamento che la sua mente trasforma in un terrifico scenario fino ad un sanguinario sfogo. L’apocalisse della mente proseguirà con L’inquilino del terzo piano.
Anche in questo caso un crescente stato di paranoia si consumerà all’interno di un misterioso appartamento contornato da un bizzarro vicinato che sembra trasmettere maleficamente al suo nuovo inquilino tutti i tormenti e le fisime del precedente locatario.
I luoghi assorbono le energie delle persone che vi abitano per poi erogarle ai suoi futuri abitatori.
"La casa non è soltanto un luogo, ma anche il fascio di sentimenti associato a esso" (Renos K. Papadopoulos)
Tornando in Italia come dimenticare il piccolo appartamento/trappola in cui si barricano Charlotte Rampling e Dirk Bogarde in Il Portiere di notte di Liliana Cavani. L’impossibilità di sopravvivere e riuscire a fingere una ordinaria vita borghese dopo aver vissuto l’orrore, il punto di non ritorno del nazismo nei campi di concentramento.

"Il portiere di notte" (1974) di Liliana Cavani

Il destino fa ritrovare vittima e carnefice che non possono fare a meno, in un meccanismo autodistruttivo, di ricreare il legame passato.
Per Lucia e Max andare 'fuori' significa indossare nuovamente i panni di un tempo e incamminarsi verso l’unica strada possibile.
Un altro straordinario film che rende protagonista una spettrale casa di campagna che alimenterà le nevrosi di un artista in cerca d’ispirazione è Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri. Il celebre pittore Leonardo Ferri è tormentato da inquietanti incubi in cui predomina la sua amante Flavia che incarna un tiranneggiante sistema dell’arte interessato solo al guadagno. I suoi conflitti interiori si amplificheranno quando si trasferirà in una desolata villa veneta in cui si convince che dimori il fantasma della ninfomane Wanda assassinata anni prima da uno dei suoi amanti. Rumori, apparizioni, strani incidenti domestici o suggestioni di un uomo sempre più stretto nella morsa della sua psicopatia.
A chiudersi in interni liberando tutti i deliri della mente non si è necessariamente soli o in coppia ma può capitare anche ad intere famiglie. In Home di Ursula Meier una famiglia vive da anni in mezzo al nulla in una casa a pochi metri da un tratto di autostrada che non è mai stato attivato.

"Home" (2008) di Ursula Meier

Quando improvvisamente  inizieranno a sfrecciare macchine e il traffico diventerà sempre più assordante esploderanno i conflitti e il piccolo nucleo entrerà in crisi, si barricherà in casa fino a costruirsi una vera e propria prigione in cui l’equilibrio mentale sarà messo a dura prova. Il pericolo non sarà più all’esterno ma nascosto all’interno dei personaggi.
Arrivando ai nostri giorni La migliore offerta di Giuseppe Tornatore è un film che racconta di molte reclusioni in interni e fragilità psichiche nascoste dietro oggetti preziosi e illusoria bellezza. La protagonista soffre di agorafobia e vive rintanata nella sua antica villa attirando fatalmente il battitore d’aste Virgil Oldman anch’esso chiuso nel suo mondo, quel bunker in cui contempla estasiato meravigliose donne immortalate dai più grandi artisti di tutti i tempi. Quando l'inespugnabile bunker e tutto quel mondo effimero cadrà il "fuori" per Virgil significherà trovare un nuovo simbolico rifugio in cui attendere.
Nel film Nella casa di Francois Ozon il sedicenne Claude s’insinua nella vita apparentemente perfetta e banale della famiglia Artole rendendola protagonista dei suoi componimenti scritti che tanto colpiscono il suo insegnante di letteratura. Claude si muove all’interno di casa Artole come un ospite inquietante. Spia, complotta, manipola, seduce per avere nuovi spunti creativi da aggiungere ai suoi racconti istigato dal professor Germain che pagherà cara la leggerezza di non riuscire  più a stabilire un confine etico tra realtà e finzione.

"Nella casa" (2012) di François Ozon
Quel frivolo piacere nello scovare il lato perverso nelle vite altrui celato in una confortevole  dimora. Nella casa muta ci sono mille occhi che ci sorvegliano.

martedì 18 giugno 2013

"Stoker", di Park Chan-wook

                                         MAD NEWS
STOKER dal 20 giugno 2013 nelle sale italiane


Quei legami di sangue che ti cambiano la vita
di Maddalena Marinelli

Il risveglio del male pulsa nel corpo verginale della giovane India, pronta ad essere condotta alla sua vera natura da uno zio psicotico. Seducente come un elegante e perverso vampiro libera la parte oscura della nipote da cui si sente ossessivamente attratto e vorrebbe assoggettare. Segue nell’ombra i progressi della sua allieva che presto scoprirà un emozionante compiacimento per l’omicidio. Così India Stoker esce dal suo stato di languore e sboccia una spietata dark lady. Capirà che la morte rende il desiderio ancora più intenso e non potrà sottrarsi all’impulso omicida. Non esisterà più nessuna separazione tra il lecito e l’illecito.
All’inizio la ragazza sembra un Amleto in gonnella. Padre morto tragicamente e uno zio apparso dal nulla che s’insinua in casa flirtando con l’austera madre mentre lancia magliarde occhiatine alla nipote. Tra incesto platonico  e lezioni dal vero di omicidio India diventerà un ideale sequel, quell’evoluzione negataci da Malick, della Holly Sargis di Badlands. Dall’indifferenza passerà alla pura azione liberando la sua indole perversa  istigata da quell’uomo che irrompe nella sua innocente quotidianità di adolescente. La ragazza da giardino delle vergini suicide non si suicida e decide di dar forma alle sue ‘speciali’ inclinazioni.

Non ci sarà spazio per nessuna coppia assassina alla Natural Born Killer. Qui si uccidono i padri e gli zii, si lascia la sconvolta mammina nella sua gabbia dorata, si diventa indipendenti e si prosegue felicemente da soli sulla scia di sangue.
Questo primo esperimento americano di Park Chan-wook ha prodotto un effetto lobotomizzante sul suo cinema riducendolo, laccandolo, togliendo aria e ogni vibrazione fisica, nebulizzando ogni ironia e ogni dinamismo. Stoker è un film di apnee, soffre di troppo ordine da parte di un regista che ha trasformato il disordine creativo e il sovradosaggio visivo nella sua dote più straordinaria riuscendo, in questa baraonda emotiva, a toccare le profondità del malessere umano e tutte le variazioni della violenza incitata dalla vendetta. Park Chan-wook cambia visione e toni azzerandosi, sottraendo da personaggi, sceneggiatura, scenografie. Diventa fastidiosamente concettuale. Quel suo cinema zupposo di sangue si anemizza assumendo colori perlati impermeabili ad ogni screziatura kitsch e ad ogni folle impennata visiva che tanto ci deliziavano. Difficile accontentarsi di questo Park sedato. 
 

mercoledì 15 maggio 2013

"Beket", di Davide Manuli

                               
                                  MAD NEWS                                                                 
                        


 Il ritorno di BEKET da Venerdì 17 Maggio nelle sale del circuito di Distribuzione Indipendente



Esercizio di libertà aliena
di Maddalena Marinelli

“Si nasce tutti pazzi. Alcuni lo restano”
(Samuel Bekett, Aspettando Godot)

Beket è il film che non ti aspetti. Assolutamente atipico, fastidioso e snervante in cui apparentemente capita di tutto ma infondo non succede proprio nulla.
Niente è più reale del niente” (Samuel Bekett, Malone Dies, 1951)
 Un viaggio desolante, ripetitivo, demenziale alla ricerca di un luogo e di un Dio che non esiste o che non vuole essere raggiunto e al massimo si manifesta sottoforma di suono. Quindi le risposte non potranno mai arrivare e tutto è destinato a ripetersi e ricominciare in una spirale criptica. L’Antifilm. Un puro esercizio di libertà registica contro le prevaricazioni delle produzioni cinematografiche.
Amara metafora dell’odierna società, un sogno, un cammino post-apocalittico o un ipotetico frustrante aldilà popolato di folli personaggi vaneggianti nei loro microcosmi d’incomunicabilità in cui oltre le parole anche le azioni sono diventate senza senso e rimbalzano in ogni direzione. Riflessioni sull’assurdità dell’esistenza e sull’azzeramento del cinema tutto da riconcepire. Un cinema esploso in cui resta qualche traccia confusa di quello che potrebbe essere entità cinematografica.  
Segnali dislessici lanciati nel vuoto. C’è un luogo, ci sono dei personaggi, forse c’è una storia con un lontano referente illustre in Aspettando Godot di Samuel Beckett. C’è una colonna sonora con cui gli attori giocano mettendosi a ballare. Si esce e si entra dal film, il set si svela, Fabrizio Gifuni e Paolo Rossi non interpretano; con le loro presenze rimandano ad una condizione dell’attore come il teatro primordiale propone un drammatico loop bloccato all’inizio della vita sulla Terra con un Adamo ed Eva unici ed eterni protagonisti. Forse è il fare cinema ad essere diventata una pratica nonsense e quell’autobus volante sono in molti ad averlo perso. Così dal profondo spazio arriva Manuli una mente aliena che vuole cancellare per ricostruire sui resti. Riformulare una genesi. 
Un regista marziano inviato sul nostro Pianeta e insediatosi in Sardegna per girare film secondo codici misterici.