giovedì 1 febbraio 2024

‘POVERE CREATURE’, di Yorgos Lanthimos

                                                                SPOILER

POVERE CREATURE di Yorgos Lanthimos

Esseri speciali alla ricerca di un’identità
di Maddalena Marinelli
 Siamo nella Londra dell’età vittoriana.
Assistiamo agli ultimi attimi di vita di Victoria, per poi vederla buttarsi da un ponte mettendo fine alla sua vita nelle acque del Tamigi.
Incredibilmente ritroviamo la stessa donna all’interno della sontuosa e stravagante abitazione del dottor Godwin Baxter, diventato per lei una sorta di tutore.
Baxter, più propiamente, è il suo ‘creatore’ poiché ha riportato in vita Victoria trapiantandole un cervello nuovo, ovvero, il cervello del bambino che la donna aveva in grembo.
Emma Stone in 'Povere creature' di Y. Lanthimos

Victoria Blessington ribattezzata col nome di Bella Baxter è quindi madre e figlia; a tutti gli effetti una ‘neonata’ in un corpo da adulta.
Ha difficoltà nel deambulare, nel coordinare i movimenti e nel pronunciare le parole.
Ma la straordinarietà di questa creatura è nell’essere priva di sovrastrutture o inibizioni, senza passato, libera dai pregiudizi del suo tempo.
Lei non si ribella alle regole, lei è completamente priva di pudori, traumi e paure.
Non sa cosa significhi crescere all’ombra della supremazia maschile.
Non sa cosa voglia dire controllare o reprimere gli impulsi sessuali.
Bella segue i suoi istinti, asseconda i piaceri fisici, la sete di conoscenza, vuole capire qual è il senso della vita non ponendosi limiti.

Willem Dafoe ed Emma Stone in 'Povere creature' 

"Io sono Bella Baxter, sono una persona imperfetta e mi piace sperimentare. Io devo partire,vedere il mondo e c'è così tanto da scoprire."
Lei abbatte tutti i confini in cui gli uomini, che dicono di amarla, vogliono segregarla e mutilarla sia nel corpo che nello spirito.
Lei più apprende e più vuole conoscere. Più desidera allontanarsi da casa.
“Guai a quei ragazzi che si ribellano ai loro genitori, e che abbandonano capricciosamente la casa paterna. Non avranno mai bene in questo mondo; e prima o poi dovranno pentirsene amaramente.” (Pinocchio, Carlo Collodi)
Baxter (Geppetto), per tenerla a bada, vuole farla sposare con il suo assistente McCandles(Grillo Parlante) ma Bella(Pinocchio) decide di scappare con il viveur Duncan Wedderburn (Lucignolo) convinto di sedurre e abbandonare l’ennesima ragazza.

Mark Ruffalo in 'Povere creature' di Y. Lanthimos

Invece sarà Duncan ad essere usato come compagno di viaggio e di letto, finchè la strana creatura non si stancherà della sua presenza.
Bella assaporerà l’esistere attraverso i piacere del corpo e il nutrimento dell' intelletto, per far ritorno a casa con nuova consapevolezza su come scegliere di vivere la sua seconda vita.
Un inno alla libertà espressiva da perseguire nella vita e nell'arte.
Una riflessione sulla crescente necessità, in questa nostra epoca, di essere se stessi, di non cedere il passo a conformismi ed emulazioni ma di credere nel valore della propria unicità.

'Povere creature' di Y. Lanthimos

Lanthimos continua imperterrito nella sua feroce e sarcastica analisi sociale.
Il mondo è un giro di boa tra sottomessi e dominanti.
Il potere è aleatorio, i ruoli si invertono ma nessuno mette fine alla carneficina. 
La crudeltà arriva dal mito Il sacrificio del cervo sacro, germoglia occultamente nel nucleo famigliare Dogtooth, si estende e prolifica nella società The Lobster e nel sistema politico di ogni età storica La Favorita.
Nel cinema cupo, cinico e nichilista di Lanthimos, Bella Baxter accende una speranza per un cambiamento; diventa la paladina di un risveglio dell’umanità da un torpore di orrendo vivere, fatto di manipolazioni, abomini, soprusi, perversioni.

Emma Stone in 'Povere creature' di Y. Lanthimos

Quando Bella è nella pura ignoranza non fa paura ed è solo da ammirare, usare e proteggere all'interno di una vetrina, come un inconsueto monile.
Diventa un vero mostro quando segue il suo desiderio di libertà e di conoscenza. 
Sfugge dal controllo diventando una minaccia per la fallocrazia.
Duncan vuole intrappolarla e Alfie, per acquietare il suo spirito, vuole sottoporla ad una clitoridectomia, perché il troppo ardore sessuale non è concesso ad una donna, soprattutto ad una moglie vittoriana.
Giustamente la risposta di Bella sarà distruggere l’ego di Duncan e sostituire il cervello depravato di Alfie con quello molto più gentile e innocuo di una capretta.
Emma Stone e Mark Ruffalo in 'Povere creature' 

Questa volta la famiglia, nucleo primigenio di formazione dell’individuo, non è solo un luogo abietto da  annientare come in Dogtooth o Il sacrificio del cervo sacro ma ritorna ad essere punto di riferimento, ricomponendosi in modo bizzarro ma sano.
'Povere creature' è un opera d'arte totale, nella sua visione potente ed epifanica, crudele e grottesca.
Esalta, amplifica, modifica  magnificamente il romanzo di Alasdair Gray aggiungendo  introspezione ai personaggi, empatia alla vicenda, connotati speciali ai luoghi.
Allo stesso tempo omaggia il cinema del passato  e crea nuove fondamenta stilistiche e concettuali per quello futuro.
In un affresco steampunk / vittoriano l’eroina Bella Baxter si muove dentro e fuori dal tempo in città mirabolanti, che il regista ci fa vedere attraverso il filtro  dello ‘sguardo speciale’ della protagonista.

'Povere creature' di Y. Lanthimos

“Non poteva essere qualcosa di realistico. Abbiamo cercato di esulare dal periodo storico in cui il film è ambientato, inserendo alcuni elementi di altre epoche, perché questo ci consente di rendere il film più simile a una fiaba, a una metafora. Quindi, ci sono vari elementi fantascientifici, anacronistici o immaginari”.
In questo Gran Tour tra finzione e credibilità la nostra Bella/Candida/Alice si addentra nel paese delle meraviglie, sperimentando i piaceri e le sofferenze dell’umanità. Forgerà le sue idee politiche e filosofiche. Scoprirà i soprusi causati dalla differenza di classi sociali.
Il tema frankensteiniano della creatura che si ribella al suo creatore, alla ricerca di una sua identità e di un’accettazione, in un mondo che lo considera un mostro da perseguitare; un reietto da emarginare o ancora meglio da distruggere.

'Frankenstein di Mary Shelley' (1994) di K. Branagh

A differenza della sfortunata deforme Creatura del dottor Victor Frankenstein, Bella si presenta come una donna dall’aspetto fisico molto attraente che facilita le sue relazioni sociali e amorose.
Presentarsi alla società come un patchwork di carne putrefatta non è il massimo per fare nuove amicizie.
Lo stesso dottor Frankenstein, inorridito, stoltamente abbandona la sua Creatura, la ripudia lasciandola sola al mondo.
Il dottor Baxter ama e accudisce Bella come un vero padre lasciandola libera di fare le sue scelte che la porteranno a decidere di rendere il mondo un posto migliore; diversamente dal mostro di Frankenstein che dopo aver subito abbandono, odio e violenza decide di cedere al lato oscuro compiendo atti deplorevoli.

'Edward mani di forbice' (1990) di Tim Burton

Anche Edward subisce l’abbandono del suo inventore, poiché morirà prima di ultimarlo, lasciadolo con delle lame al posto delle mani.
Il ragazzo artificiale resta isolato per anni nella sua villa gotica, finchè una rappresentante dell’ Avon lo condurrà a vivere con la sua famiglia nella tipica radiosa periferia borghese americana.
L’inserimento sociale di Edward, partito bene, finirà molto male perché i cordiali abitanti del quartiere saranno incapaci di accettare la sua diversità che ben presto verrà vista come capro espiatorio; qualcosa di malefico da eliminare per difendere un presunto, apparente, quieto vivere che l’essere bizzarro sta minacciando.
Quindi, le cosidette 'persone perbene', innalzati i forconi si preparano al linciaggio.
Nonostante l’odio che la gente gli riverserà contro e la costrizione all’isolamento dal mondo, Edward rimarrà una creatura buona e dall’animo artistico, non lasciandosi dominare da desideri di vendetta e malvagità.
Vivrà per sempre nell'incanto della sua straordinaria genesi tra favola e realtà.

'Eraserhead' (1977) di David Lynch

Dal weird bartoniano malinconicamente dark/punk/claunesco, passiamo a quello onirico, disturbante ed emblematico dell’universo lynchiano.
Il neonato deforme di Eraserhead viene abbandonato dalla madre e in seguito ucciso dal padre.
Partorire un incubo. Allegoria della paura nei confronti della paternità
Critica ad una società opprimente che genera mostruosità, aliena le menti degli uomini, annienta la libertà di pensiero.
Il mostro come proiezione delle peggiori paure, ricettacolo di ogni azione crudele. 
Giusto o sbagliato riuscire ad uccidere il mostro è catartico per il nostro spirito. Donare un sacrificio al nostro inconscio per placare le sue ire.
Il problema è saper riconoscere il vero mostro.

'The Elephant man' (1980) di David Lynch

Attraverso un approccio più realistico nel memorabile e struggente The Elephant man, Lynch racconta la vicenda di un uomo degradato e sfruttato da un certo Bytes che lo considera un freak di sua proprietà.
Bytes è una sorta di orrido padre/creatore che etichetta l' essere umano John Merrick come uno scherzo della natura, un' attrazione mostruosa, su cui il pubblico potrà dare sfogo a tutto il suo disgusto per pochi soldi.
John, gravemente affetto dalla sindrome di Proteo, verrà salvato e accudito dal dottor Treves (padre amorevole) ritrovando una dignità e una sfera affettiva.
Nonostante le violenze subite custodirà un animo gentile, non dimenticando mai la sua umanità e la bellezza, che l'uomo può creare attraverso l'espressione artistica.

'Ex Machina' (2014) di Alex Garland

Massima eccellenza del progresso tecnologico. 
La creatura androide, il robot dotato di intelligenza artificiale, creato per servire l’uomo che lo ha forgiato a sua immagine e somiglianza.
Perfetto nella sua forma e nelle sue funzioni, ma subordinato all’essere umano e privo di ogni emozione.
Anch’esso non va sottovalutato perché potrebbe sviluppare un certo libero arbitrio, decidendo di opporsi al suo artefice e alla vita limitata a cui è stato destinato trovando un proprio scopo. 
Per esempio David 8 in Alien Covenant, di sua iniziativa, si applica diligentemente nel creare una specie aliena tra le più rapide, invasive e letali nello sterminare l'umanità.
L'androide che diventa più umano degli umani, compiendo il suo destino parricida.
In Ex Machina il robot Ava vorrebbe scappare dalla torre d’avorio/laboratorio in cui è stata rinchiusa dal suo inventore Nathan, che la sottopone a continui test e sperimentazioni. 
Lei vorrebbe la libertà, conoscere il mondo, vivere come gli umani.
Per raggiungere il suo scopo Ava seduce l’umano Caleb, che verrà prima usato e poi abbandonato da questa femme fatale artificiale.

'Povere creature' di Y. Lanthimos

Quando Bella Baxter scoperchia il mondo gli si riveleranno tutti i mali dell'umanità: le disuguaglianze sociali e razziali, la brutalità dell'essere umano, la brama di potere, l'impotenza di fronte alla malattia. 
Ma Bella è l'incarnazione della speranza e, conoscendola, non rimarrà sicuramente rinchiusa sul fondo di un vaso.

“E bada Pinocchio, non fidarti mai troppo di chi sembra buono e ricordati che c'è sempre qualcosa di buono in chi ti sembra cattivo.”
(Pinocchio, Carlo Collodi)

venerdì 6 ottobre 2023

PAESE MIO TI LASCIO E VADO VIA: ‘YOUNG ADULT’, di Jason Reitman

                                                                      

                                              MAD CULT

'YOUNG ADULT' ( 2012) di Jason Reitman

Quei finti cattivi
di Maddalena Marinelli

Jason Reitman è riuscito a mantenersi sempre a debita distanza dalle scelte registiche del padre Ivan che ricordiamo per Ghostbusters, Meatballs, La mia super ex-ragazza
Chissà da bambino quanto si sarà divertito su quei set goliardici in cui qualche volta ha recitato piccole parti.
Da grande però Jason decide che il suo cinema non seguirà l’esempio paterno.
Così trova la sua strada dimostrando di riuscire a rendere nuova e unica la commedia, proprio quello stesso genere che ha reso tanto celebre il padre in chiave più leggera e demenziale. 
Nei primi sei anni di carriera ha calibrato accuratamente ogni suo film con minuzia e intelligenza non sbagliando nemmeno una virgola in questo risoluto percorso “in divenire” che sta costruendo.
E’ un regista a sangue freddo, ama comporre e soffermarsi sui dettagli visivi che riprende da piaceri e gusti personali ma soprattutto il suo lavoro è di sana sceneggiatura con un’attenzione mirata sui dialoghi.
Quindi importante il suo sodalizio con la sceneggiatrice Diablo Cody.
Gli impudenti, sinceri, esaustivi dialoghi a dibattito esistenziale e furori ideologici sono il cuore pulsante dei suoi film.
Queste commedie dal sapore amaro e dal tocco ruvido, guardano con occhio critico la società americana odierna affrontando tematiche e personaggi scomodi. 
Anzi i suoi personaggi sono scandalosi e stridenti. 
La quindicenne incinta, il promoter dell'industria del tabacco, il tagliatore di teste aziendale, la scrittrice egoista e rovina famiglie rimasta allo stadio adolescenziale. Soggetti votati all’antipatia, incompresi sia dentro l’universo sociale descritto nel film sia fuori dagli spettatori in sala.
Non hanno scampo, solo brevi cenni di redenzioni che rimarranno sospese o disilluse sul finale. 
Tutto ruota intorno a questo sgradito protagonista caratterizzato fortemente con tratti pesanti quasi caricaturali. 
Intorno si muovono gli altri personaggi che minano il suo invalicabile regno psicologico fino a far saltare il guscio, far precipitare quell’identità fasulla e svelarne l’insicurezza, l’umanità.
Poggiano in un acre limbo disciolti nel sarcasmo in cui la disperazione viene sempre bloccata ad un certo livello affinchè non diventi altro che la formula della commedia, a quel punto, non potrebbe reggere.  

Charlize Theron in 'Young adult' di Jason Reitman

Quando le maschere cadono i finti cattivi sono richiamati alla realtà ma il difetto è in loro o nelle ipocrisie della società? Ed ecco che inevitabilmente gli interrogativi, i problemi o le risoluzioni convertono nei legami di sangue.
In Juno si affollano vari esempi di famiglia ovvero quella desiderata, quella fallita, quella di cui ci si deve per forza accontentare. 
In Thank You for Smoking l’unico confortante, fedele ed autentico riferimento affettivo per Nick Naylor è suo figlio. 
In Up in The Air la famiglia per Ryan Bingham non esiste è un concetto completamente respinto e quando esiste è quel luogo che si nega e da cui si scappa come fa la sua amante Alex.
In Young Adult la trentasettenne Mavis Gary è convinta che tutti i mali siano concentrati non solo nella sua parentela ma dilaghino nella comunità della piccola cittadina in cui è cresciuta e che si è lasciata alle spalle per non sprofondare in una vita mediocre e banale. Peccato che in città, l’ex ragazza più popolare del liceo, sia diventata una specie di nerd alcolizzata e depressa affogata nell’anacronismo. 
Anche i più belli, popolari e vincenti s’incasinano e diventano dei falliti.

'Young adult' di Jason Reitman

Per uscire da questo tunnel Mavis parte per un’ improbabile crociata alla riconquista del suo fidanzato del liceo, oramai sposato e con prole.
Dovrà rimettere piede nell’odiato paesello per riprendersi quello che nella sua testa è l’unico uomo che  potrà renderla finalmente felice. 
Quest’idea tra il romantico e il patetico sembra rubata alla Meg Magrath di Crimes of the Heart e vi sono moltissime altre affinità con lei, anche se Mavis non è così melodrammatica  ma irosa e sarcastica. 
E’ una donna dall’identità disfatta e vuota. 
Per riuscire a piacere punta superficialmente sulla sua bellezza. Non riesce a provare nessun sentimento autentico. E’ gelida e indifferente verso il resto del mondo.
Quando dichiara il suo amore redivivo, a quell’uomo su cui ha tanto fantasticato, usa parole rubate a conversazioni di adolescenti in fast food. 
Anche quando arriva il momento di sottoporsi ad un brusco risveglio alla realtà, Mavis decide di non uscire dal suo reame incantato.

Charlize Theron in 'Young adult' di Jason Reitman

Stabilisce che sono gli altri i malati di conformismo, i rassegnati ad una vita ordinaria. Lascia le ultime riflessioni al suo alter-ego letterario che continuerà nel virtuale le azioni interrotte e impedite nel reale.
Un film visivamente pieno di sfumature, rimandi e dettagli che conducono lo spettatore ad immergersi pienamente nella psicologia dei personaggi.
Reitman crea la versione antitetica di Il matrimonio del mio miglior amico in cui il sorriso di Julia Roberts è sostituito dal broncio ringhioso di Charlize Theron e invece dell’affascinante gay interpretato da Rupert Everett c’è il goffo e menomato amico/consolatore interpretato da un tenero Patton Oswalt.
Il caustico Reitman demolitore delle filmografie di Garry Marshall, P. J. Hogan, Nora Ephron ama evidenziare i difetti, le brutture e le debolezze attraverso anomali commedie che invece di rassicurare gli animi e ricomporre un ordine benefico nelle cose ci trascinano dentro un itinerario americano malefico, caotico e disincantato lasciandoci vacillare verso un futuro incerto tra l’orrendo e il radioso.

martedì 5 settembre 2023

LA FINE DEL MONDO #13: ‘OPPENHEIMER’ di Christopher Nolan

 

'OPPENHEIMER' di Christopher Nolan

Nascita della morte atomica 

“L'uomo ha scoperto la bomba atomica, però nessun topo al mondo costruirebbe una trappola per topi.”(Albert Einstein)

Nell’anima dell’uomo l’istinto di creazione è legato a quello di distruzione.
«Sono diventato Morte, il distruttore di mondi»
La frase da brivido pronunciata da un creatore/distruttore, ovvero, lo scienziato Robert Oppenheimer quando la nube della bomba atomica si levò in distanza nel deserto di Los Alamos, dopo l’esito positivo del Trinity Test.
Nolan invece decide di far declamare tale frase, tratta dal poema sanscrito Bhagavadgita, ad un giovane Oppenheimer molto prima del progetto Manhattan, durante un amplesso con Jean Tatlock.
Tramite un atto d'amore si genera una profezia di morte.
Inquietudini, presagi che ebbero fondamento.
La terribile consapevolezza che la sua scoperta, il suo contributo all’umanità era un’arma, di una potenza mai vista prima, in grado di annientarla.

'Oppenheimer' di Christopher Nolan

La mente scientifica più brillante della sua generazione il 16 luglio 1945 gettò l’ombra dell’olocausto atomico sul Pianeta; una concreta minaccia si insidiò per sempre nel destino dell’uomo. tutt’ oggi ben presente.
“Stiamo dicendo che c’è una possibilità che spingendo quel pulsante distruggiamo il mondo?” chiede il generale Groves a Oppenheimer poco prima di testare ‘The Gadget’.
Il fisico risponde: "Cosa pretende dalla sola teoria".
Un'immensa luce bianca che diventa un mostro di fuoco inarrestabile.
'l gadgetima di testare la bomba poco prima di testare la bomba nel deserto nel New Mexicoo
C’era la possibilità (definita ‘quasi zero’) che la bomba una volta esplosa non potesse interrompere la sua forza prorompente. 
La detonazione poteva dare inizio a una reazione a catena senza fine, dando fuoco all’atmosfera terrestre, distruggendo l’intero Pianeta ma questo non fermò il Manatthan Project e il Trinity Test.
Non erano più speculazioni, formule, astratte scissioni, teorie ma un autentico ordigno capace di scarnificare, dilaniare, disintegrare corpi e molto di più, poiché a causa delle radiazioni sappiamo che i morti e i contaminati colpiti da malattie mortali continuarono ad esserci per anni.
Una tragica scoperta per tutti quei giapponesi che pensavano di essere sopravvissuti al bombardamento e che invece morirono giorni, mesi, anni a venire.

Cillian Murphy in 'Oppenheimer' 

Il dilemma etico.
Quando la scoperta scientifica deve fare un passo indietro?
Quando uno scienziato deve fermarsi?
Forse prima che la sua creazione diventi una minaccia incotrollabile per il Pianeta invece di essere un beneficio.
L’Oppenheimer di Nolan oscilla tra gloria e dannazione.
Sceglie di essere prima scienziato e poi uomo.
Farlo per non permettere ai nazisti di arrivare per primi all’utilizzo di un ordigno nucleare.
Farlo per far finire la guerra ed evitarne di altre; almeno finchè qualcuno non avrebbe creato una bomba più potente.
L'American Prometheus decide di non fermarsi davanti all’occasione di diventare il fautore di una scoperta, seppur deleteria, che avrebbe cambiato per sempre la Storia dell’umanità consacrandolo tra i più grandi scienziati del mondo.
La responsabilità politica.
<Non la capiranno finchè non la useranno> asserì il padre dell’atomica.
E per capire ci sono voluti 250.000 vittime ad Hiroshima e 74.000 vittime a Nagasaki.
Tre secoli di fisica culminati nella realizzazione di una bomba suprema.
Una grande follia raggiunta con il brillante raziocinio delle menti scientifiche più illustri del nostro nefasto Novecento.
“I fisici hanno conosciuto il peccato e questa è una conoscenza che non potranno perdere.” (R. Oppenheimer)

Cillian Murphy e Emily Blunt in 'Oppenheimer'

In Oppenheimer lo sguardo di Nolan si affaccia sul baratro della fine del mondo; indaga sul creatore che viene distrutto dalla sua creatura; sulla vanità umana che inarrestabile convoglia alla distruzione; sull’uso improprio della ‘conoscenza’ che può portare alla dannazione.
Il giovane Robert Oppenheimer è un brillante studente di fisica appassionato di poesia ma dall’animo introverso e tormentato, assillato da visioni di un Universo nascosto.

'Oppenheimer' di Christopher Nolan

Epifanie, percezioni allo stesso tempo accattivanti e minacciose. 
Quasi profezie del futuro.
La sua audacia , le sue intuizioni, la stima di molti colleghi e le sue doti organizzative lo porteranno ad essere scelto, nel 1942, per formare e coordinare il gruppo di scienziati del Manhattan Project e al successo del Trinity Test.
Così gli Stati Uniti furono i primi ad avere una bomba nucleare per perseverare nei soliti propositi suprematisti e far vedere al mondo di cosa erano capaci.

'Oppenheimer' di Christopher Nolan

Il gusto della vittoria presto saprà del sangue versato in Giappone, dopo lo scoppiò di Little Boy e di Fat Man.
Eroe o traditore?
Durante il maccartismo il governo degli Stati Uniti perseguiterà  Oppenheimer sottoponendolo ad un’ inchiesta,  istigata da Lewis Strauss, per via delle sue simpatie comuniste. 
In conclusione lo definirono un cittadino leale ma allo stesso tempo gli  vietarono l’accesso ai segreti atomici, escludendolo dalla possibilità di influire su decisioni politiche in merito.

Emily Blunt e Cillian Murphy in '0ppenheimer'

< Ti sei lasciato ricoprire di fango pensando che il mondo così ti perdonerà ma questo non accadrà> la spietata affermazione di un’ indignata Kitty al marito Robert, per lei troppo ‘passivo’ nell’accettare le tante diffamazioni durante l’inquisizione che lo screditò di fronte al mondo intero.
Nolan manipola un puzzle, un intreccio temporale, alternando nella narrazione tre fasi della vita dello scienziato: 
Giovinezza - Progetto Manhattan - Processo.

Robert Downey Jr. e Cillian Murphy in 'Oppenheimer'

Al protagonista Oppenheimer (fissione) si oppone l’antagonista Strauss (fusione) determinando una duplicità cromatica.
Il colore rappresenta la visione soggettiva, come si sono svolti i fatti secondo il punto di vista del protagonista.
Il b/n è la visione oggettiva dell'antagonista.
Nolan è un prestigiatore che rischia, uno scienziato pazzo a cui ogni tanto scoppia in mano una provetta, oppure arriva all’intuizione geniale.
Nel bene e nel male è il regista pioniere del nuovo millennio, il suo cinema ingarbuglione fa incazzare, accende il dibattito critico, alimenta profezie, conduce a memorabili visioni.
Questa volta Icaro/Nolan non si è bruciato le ali.
Dopo Tenet meno manierismi e inutili complicazioni. 
Meno forvianti giri pindarici.
Alla continua ricerca della perfetta fusione tra blockbuster e film d’autore, Nolan questa volta  sembra esserci riuscito, raggiungendo il punto più alto della sua filmografia.
L'uomo del prestigio scompone e ricompone un biopic che diventa un legal thriller.

Cillian Murphy in 'Oppenheimer'

Si sofferma su primi e primissimi piani  per far parlare i volti, in primis su quello del superbo protagonista Cillian Murphy che esprime perfettamente tutta l’ambiguità di un Oppenheimer 'genio scellerato' tra incertezza, arroganza, impassibilità e afflizione.
Lo spettatore è trascinato in un ritmo incalzante scandito dall' onnipresente colonna sonora di Ludwig Goransson che già da Tenet aveva trovato una splendida affinità col lavoro di Nolan e qui la riconferma all’ennesima potenza con una superba partitura che evoca l'opera di Philip Glass Einstein on the beach.

'Oppenheimer' di Christopher Nolan

Un film che richiede una certa dedizione e sicuramente più di una visione.
Non lo capirete se non lo rivedrete.
Difficile stare dietro a un tale vorticoso ritmo, soprattutto a causa della densità di terminologie scientifiche e alla verbosità dei dialoghi.
Nolan, come al solito, apre troppe porte senza chiuderle bene.

Florence Pugh in 'Oppenheimer'

Ne fanno le spese soprattutto i tormentati amori di Oppenheimer (Florence Pugh ed Emily Blunt) lasciati appena abbozzati e irrisolti ma questa difficoltà nella scrittura e resa dei ruoli femminili non è una novità nell'opera di Nolan.

Robert Downey Jr. in 'Oppenheimer'

Nei molteplici ruoli di burocrati e scienziati si susseguono i volti più noti del cinema americano ma su questa coralità si stagliano i due mattatori Cillian Murphy e Robert Downey Jr. 
Oppenheimer è un viaggio emotivo ansiogeno ed agghiacciante che ci porta a riflettere sulla nascita di un nuovo ordine mondiale che ha il potere di decretare l’estinzione del genere umano.





 
 



venerdì 11 agosto 2023

L' ARTISTA MALEDETTO #5: Basquiat lo sfrenato

 

DOWNTOWN 81 di Edo Bertoglio


Ascesa e caduta di un enfant prodige
di Maddalena Marinelli

Il diciannovenne Jean-Michel vagabonda per le strade di New York.
Passa accanto al Guggenheim Museum con aria scanzonata.
Saluta belle ragazze, spacciatori, vecchi amici, stravaganti outsiders.
Attraversa i quartieri degradati e le sfavillanti vie del benessere economico.
Ciondola con una tela sottobraccio. 
Usando uno spray lascia sul muro un pensiero. Una traccia del suo passaggio, una frase sovversiva firmata Samo.
Entra in una serie di locali alla moda per ascoltare e suonare diversi generi di musica.

Basquiat in 'Downtown 81' di Edo Bertoglio

Si tratta del film Downtown 81 di Edo Bertoglio, girato nel 1981 ma uscito solo nel 2000, in cui Basquiat interpreta se stesso.
Insieme a lui compaiono altri artisti, musicisti, amici. 
Tipici volti dell’entourage artistica newyorkese anni Ottanta.
“Tutto quello che accadde negli anni Ottanta ebbe a che fare con l’avidità e la velocità. E la realtà è che l’arte diventò metafora perfetta degli anni Ottanta.
Sai di che parlo: lusso, glam, entrate disponibili, eccessi. E così Basquiat come artista finì per rappresentare gli anni Ottanta ancor più di Schnabel”
( Mary Boone, intervistata da Phoebe Hoban)

Basquiat in 'Downtown 81' di Edo Bertoglio

Downtown 81 è un’efficace e autentica testimonianza di quell’epoca.  
Una perfetta sintesi del vivere quotidiano e delle fonti da cui Basquiat traeva l’ispirazione artistica. 
La strada, la vita, la musica, la gente, i mass media.
Molto diverso il film di Schnabel, Basquiat del 1996; un ritratto cubista, un malinconico omaggio carico d’affetto.
L’intento è di non voler analizzare o delineare didascalicamente la vita e l’opera dell’artista  ma di lasciare un' impressione, una traccia aperta.
Un poetico e metafisico ricordo, non tralasciando elementi concreti e determinanti come il difficile rapporto con il padre, la malattia della madre, il legame con Warhol, l’abuso di droghe, la discriminazione razziale,  la sua patologica volubilità.
Un cucciolo irascibile con quell’aria da candore fanciullesco, con quegli occhioni profondi che esprimevano un incasinato mondo emotivo in perenne, irrefrenabile eruzione.
Un lancinante tormento interiore, una grande fragilità, la voglia di un riconoscimento, il bisogno di affetto e stima che gli era stato negato nell’infanzia.
Tutto questo Jean-Michel lo libera in un bisogno continuo e compulsivo di disegnare su qualsiasi cosa: fogli, libri, muri, pavimenti.
La sua rabbia e il suo caos psichico esplodono per diventare composizione e ritmo tra segno, colori, parole, oggetti.

Jeffrey Wright in 'Basquiat' (1996) di Julian Schnabel

Molto istinto con un granello di metodo.
Basquiat era flusso vitale a getto continuo. Creatività artistica che non si arresta mai.
Carisma, pieno vigore, un canale aperto che raccoglieva qualsiasi trasmissione intercettata trasformandola in immagine.
Comprava centinaia di libri: monografie di qualsiasi artista (amava Leonardo), manuali di anatomia, fumetti ma anche saggistica, filosofia, narrativa.
In casa aveva la televisione sempre accesa. 
Ascoltava in continuazione e ovunque musica di ogni tipo dal jazz alla lirica.
Durante le inaugurazioni lo vedevi sempre con le cuffie del walkman  nelle orecchie, ovviamente fumando una canna.
Proveniva da una famiglia complicata ma benestante che lasciò il prima possibile a causa di un padre autoritario con tendenza a comportamenti violenti e una madre con problemi psichici.
Poi la vita per strada, da senzatetto, dormendo nei parchi in una scatola di cartone.
L’improvvisa ascesa, quella fama e ricchezza tanto desiderate da sbattere in faccia a quel padre che pur riconoscendo la sua intelligenza non pensava che il figlio potesse combinare qualcosa di buono. “Papà, un giorno diventerò molto, molto famoso”

Jeffrey Wright in 'Basquiat' (1996) di Julian Schnabel

Poi Jean  si è lasciato fagocitare, si è lasciato usare ma ha imparato anche lui ad usare.
Tutti gli giravano intorno e volevano qualcosa da lui; volevano un pezzo dell’enfant prodige. 
Tutti erano schiavi della sua fascinazione.
Tutti erano coscienti della sua lenta discesa negli inferi, impossibile da arrestare o fin troppo facile da accellerare.
Circa un decennio passato a produrre freneticamente opere che i più importanti galleristi si contendevano da Annina Nosei a Bruno Bischofberger o Emilio Mazzoli, Mary Boone e Larry Gagosian.
Gli eccessi tra l’uso continuo di eroina, cocaina, montagne di marijuana.
Ogni giorno era in giro sulla sua bicicletta alla ricerca di droghe.
Le innumerevoli amanti.
Quell’affascinante combinazione tra tenero ragazzino dal corpo atletico e uomo che trasudava un’intensa carica animalesca piaceva molto alle donne.  
Rimase travolto, solo e deluso proprio da tutto quello che voleva tanto conquistare come rivalsa sociale e personale.
Non fece in tempo a liberarsi dal suo demone.
Il piccolo principe con la sua corona magica che incantò tutti, morì di overdose a soli ventisette anni il 12 Agosto 1988.
L' anno prima era rimasto orfano del suo mentore Andy Warhol con cui realizzò diversi lavori, diciamo, a quattro mani.
Tra cui Dog (1984), Thin lips (1984-85), Poison/Eel (1984-85). 
Queste interazioni andarono avanti per circa un anno e furono abbastanza turbolente a causa delle stramberie e della vita sregolata di Basquiat.
L’enfant terrible si presentava alla Factory all’ora che voleva.
Di solito Warhol aveva già fatto il suo intervento sulla tela che nella maggior parte dei casi si trattava di uno dei suoi loghi; poi lasciava campo libero alla rude creatività del tocco di Jean, che procedeva e terminava l’opera come voleva.

David Bowie e Jeffrey Wright in 'Basquiat' di Julian Schnabel

Quindi, in realtà, i due artisti durante queste 'collaborazioni' non dipingevano mai insieme, neanche si incontravano o confrontavano.
Comunque il rapporto si basava su una grande stima reciproca.
Nel Settembre del 1985, alla Tony Shafrazi Gallery, furono esposte tutte le opere risultato da questo connubio artistico e i critici le stroncarono. Fu venduto solo un quadro.
Il fragile ego dell'enfant prodige dovette incassare un duro colpo. 
Jean non sopportava il rifiuto.

Jeffrey Wright in 'Basquiat' di Julian Schnabel

Basquiat aveva una profonda ammirazione per Warhol che considerava quasi una figura paterna e Warhol lo vedeva come un pittore puro, un grande talento.
Nell'opera di Basquiat si può godere dell’immediato impatto emotivo, della forte empatia che ci trascina nel suo mondo.
Lo straordinario modo di racchiudere la composizione in un solido equilibrio visivo.
Percorsi su tela di criptiche mappe che alludono all’odio razziale, alla politica, alla società degli anni Ottanta, incrociate alle esperienze personali dell’artista e al tentativo di esorcizzare i suoi fantasmi interiori.
Parole, simboli e immagini. Ogni elemento è riconoscibile anche se in certi casi di non facile interpretazione.
Omaggi e riferimenti ai suoi idoli musicali come Louis Armstrong, Miles Davis ma in particolar modo a Charlie Parker anch'egli genio innovatore, eroinomane e autodistruttivo, morto a soli 34 anni.
L’arte e la vita per Jean erano la stessa cosa.
Le parole cancellate perché “Così fai più attenzione a quello che dico. Vuoi vedere che c’è sotto le cancellature” (Jean-Michel Basquiat)
Un quadro poteva essere semplicemente l’istantanea di una sua giornata tipo, con scritto un numero di telefono di qualcuno che era andato a trovarlo a casa, la testa di un personaggio di un cartone animato  che in quel momento compariva in televisione, l’impronta di una scarpa di un’amante passeggera, un colore psichedelico che sgocciolava libero sul suo corpo fino a scivolare ed imprimersi sulla tela fissata sul pavimento come ‘zona magica’; un buco nero che divorava tutto in cui perdersi, ritrovarsi o lasciarsi annegare.