Un perfetto folle dialogo tra realtà e finzione
di Maddalena Marinelli
Nel film I pugni in
tasca del 1965 l'istituzione familiare veniva distrutta dai suoi stessi
componenti come atto simbolico di ribellione verso le convenzioni morali e
sociali borghesi. Nel 2010 in Sorelle Mai la famiglia si ricompone in
un'atmosfera confortante di provincia e diventa rifugio, salvezza dalle insidie
del mondo, ossario della memoria, rimanendo pur sempre castratrice di sogni.
Secondo un’antica credenza pagana ogni luogo è protetto
da un nume tutelare.
Uno
spirito inquieto fautore di quell’aura metafisica dove convivono, in perenne stato
di sospensione, tutti gli avvenimenti passati legati ad un luogo.
Bellocchio è il predatore del genius loci. Lo insegue da sempre nel luogo d'infanzia, nel luogo della storia,
nel corpo dell'attore. Lo aspetta dietro
la macchina da presa affinchè possa esercitare i suoi poteri sull'intero film.
La
sua operazione inizia di solito nel
rifarsi ad un testo per poi elaborare un percorso assolutamente contro il testo
sovrapponendo una fitta trama di suggestioni, di indizi metatestuali, d'
innesti introspettivi spesso autobiografici sempre con una grande nitidezza
della visione concettuale. Lascia allo spettatore diverse chiavi di lettura da
ricercare nella storia collettiva o individuale e nelle profondità
dell'inconscio con risultati di emozione, riflessione e a volte incomprensione.
Ma
può esserci davvero una “zona emotiva”, condensatrice di memoria che stagna
all’interno di uno spazio fisico?
Un
altrove perturbante assopito nella pietra e nella polvere, un sottile sentore
che nell’attimo stesso in cui il nostro occhio l’afferra ci sfugge ritraendosi
come un’ombra cacciata dalla luce, come l'immagine delle due zie, le sorelle
Mai, che si dissolve nell'attraversare il corridoio della casa di famiglia. Spariscono
per ricomparire in altro spazio e in altro tempo o si trasformano nello spirito
stesso del luogo, condannate a non potersene allontanare 'mai'; nel film sono le
figure che incarneranno il flusso di coscienza.
Ci
sono le zie e l'amico di famiglia "i miti" che sono legati al
passato, trattengono a sè e poi i "rapaci" i due nipoti che negli
anni non fanno altro che arrivare e partire. Giorgio e Sara che vivono nel
presente tra sogni, inquietudini e frustazioni in eterno conflitto con il luogo
di nascita che si vuole abbandonare e dove però si ritorna sempre
nell'impossibilità di annullare questo legame con la casa infernale/ospitale.
Elena,
la bambina, è la vita in crescita, il futuro, il personaggio più vicino allo
stato dello spettatore. Attraversa gli avvenimenti e il tempo nella sua
impotenza nel decidere e nell'agire. Lei segue, è sempre presente e infine
forse arriverà un tempo in cui giudicherà.
Dove
tutto si trasforma nell'arco di quasi dieci anni, immutabile rimane solo la
veduta dell'antico fiume Trebbia che infine perde la sua limpidezza; diventa
maligno e spettrale facendo sparire Gianni Schicchi vestito in frac.Un'altra
smaterializzazione, un rito del passaggio.
Sorelle Mai
nasce all'interno dei corsi di Fare Cinema a Bobbio, condotti da Marco
Bellocchio nei periodi estivi tra il 1999 e il 2008.
"Un
film per caso che non poteva essere più condizionato e nello stesso tempo più
libero" (M.Bellocchio)
L'idea
è nel filmare il reale e unirlo con la finzione. Far diventare personaggi per
caso i componenti della famiglia Bellocchio e farli interagire con attori veri
ricomponendo una vicenda e una coesione emotiva. Assolutamente un magico ibrido
sodalizio.
C'è
creazione ma molto è anche fatto di distruzione e queste regioni di rovina lo
spettatore non può vederle perchè la loro funzione è proprio quella di non
essere viste e di agire invisibilmente.
Unire
atmosfere di vita quotidiana, zaffate di memoria, messa in scena con l'appoggio
spirituale di Cechov.
Ci
sono i frammenti del suo primo film I
pugni in tasca ma l'ombra del Gabbiano
compare nella locandina di Sorelle Mai come lo spettro di Nina e Irina
coesistono in Sara e quello turbato e autodistruttivo di Kostja si proietta in
Giorgio.
Quella
rabbia giovane come bisogno profondo di modificare la realtà viene trasformata
in energia più pacifica ma sempre intuitivamente critica sul malessere
dell'anima delusa dal mondo reale.
Quest'opera
ci fa riflettere sulla grande necessità di sperimentazione in un momento in cui
il cinema italiano sembra perseverare, con la benedizione di tutti, sulla
prolificazione della commedia d'evasione che lascerà solo dei bei buchi vuoti.
Marco
Bellocchio inquietamente rimescola ancora una volta le carte del suo cinema,
dopo Vincere con Sorelle Mai ritorna ad una riflessione intima, una necessità di resettare
per ricominciare forse verso qualcos'altro, intenzione già intuita e poi
lasciata sospesa ne Il regista di
matrimoni in cui metteva in crisi la condizione professionale del cineasta.
Nel
suo ultimo film la riflessione va oltre diventando più viscerale, ritorna
ancora una volta alle origini cercando nuove modalità d'espressione.
Così
il suo cinema ogni volta riesce a stupirci sfuggendo sempre ad ogni definizione
o ambendo a concentrarle tutte.
Muta
sempre la sua pelle con consapevolezza del presente, con rielaborazione del
passato e con la voglia di rimettersi sempre in gioco nel futuro. Gli artisti
producono significato soprattutto quando tentano di annullare il significato
dato.