martedì 9 gennaio 2018

THE SQUARE, di Ruben Östlund

MAD NEWS

THE SQUARE


Arte e vita sull’orlo del baratro
di Maddalena Marinelli

“Che cos’è l’arte? Se vediamo l’arte come qualcosa di isolato, di sacro e di separato da tutto, significa che non è vita. Mentre l’arte deve essere parte della vita, deve essere di tutti.” (Marina Abramović, Attraversare i muri, 2016)

Innegabile la distanza,  l’incomprensione, lo scetticismo o addirittura l’odio provato dalla maggior parte della gente nei confronti dell’Arte Contemporanea.
Si apprezza l’Arte Classica, il Rinascimento, magari l’Ottocento, forse anche le Avanguardie ma per quanto riguarda l’Arte Contemporanea si scivola nel solito buco nero. “Non lo capisco”,“Ero capace pure io”, “Questo non è arte”
Pensando alla maggior parte della vacuità prodotta oggi da pseudo artisti e curatori non si hanno nemmeno tutti i torti.
Ultimamente ci sono davvero un sacco di buoni motivi per avvalorare l’inconsistenza dell’odierna produzione artistica e quest’arte ‘disonesta’ e fasulla non fa che aumentare le distanze con il pubblico.
Vince il talento, la professionalità, l’intuizione di un artista o l’idea accattivante, la facile provocazione, ‘la trovata’, il prodotto confezionato ad arte?
L’arte è roba da ricchi? Ovvero, nel sistema dell’arte se la cantano e se la suonano esclusivamente quelli che fanno parte di una classe economica privilegiata e chi non ne fa parte è tagliato fuori?
E cosa più preoccupante: Siamo ancora in grado di riconoscere un talento? E secondo quali parametri e stabiliti da chi?
Dove trovare l’arte che rappresenta il mondo contemporaneo? Ha ancora senso cercarla nei musei, nelle gallerie, negli eventi?
In giro dettano legge assessori, critici, curatori, direttori museali completamente assuefatti a procedure selettive aberranti.
Spietato, amaro, criptico ma veritiero nella descrizione di un sistema dell’arte chiuso in se stesso, triste e decadente The Square deride molti personaggi e luoghi comuni di questo settore nonché l’opera d’arte stessa ridotta ad un prodotto vuoto, privo di coscienza e di pensiero.
Quello che il regista svedese Östlund  propone è l’incontro tra arte contemporanea e cinema d'autore in una satira che può essere letta su più livelli.
C’è l’algido mondo all’interno del museo  con i suoi meccanismi autoreferenziali, in cui si muovono gli addetti ai lavori tra curatori, critici, artisti, PR, custodi nonché apparizioni buñueliane dell’alta borghesia svedese interessata più ai buffet e alle cene di gala che alle opere d’arte.

Terry Notary nel film The Square

Questa impettita classe agiata verrà sconvolta da un performer impazzito, nella sequenza più intensa ed emblematica del film, che uscirà dall’atto performativo (o uscirà fuori di testa) per invadere la realtà e colpire il pubblico.
C’è poi il mondo fuori dal museo in cui la crisi economica e i contrasti tra le diverse etnie ha portato all’aumento della criminalità, discrepanza tra le classi sociali e una crescente diffidenza nei rapporti umani.
‘Nel 2008 è stata creata per la prima volta in Svezia un’area residenziale privata e chiusa all’esterno, a cui solo i proprietari possono accedere. È solo uno dei molti segni del fatto che le società europee stanno diventando sempre più individualistiche, via via che il debito pubblico cresce, la spesa sociale diminuisce e le differenze tra ricchi e poveri si allargano sempre di più. Anche in Svezia, un tempo considerata la società più egualitaria al mondo, la crescente disoccupazione e la paura del futuro hanno spinto le persone a diffidare degli altri e della società stessa.’
(Ruben Östlund, note di regia)
Östlund in Svevia, Yorgos Lanthimos in Grecia, Cristian Mungiu e  Peter Călin Netzer in Romania stanno tracciando un vero e proprio trattato sociologico visivo sui cambiamenti morali, civili, economici dell’Europa odierna evidenziando le conseguenze della crisi economica, dei cambiamenti di regimi politici, dei flussi migratori.
Il risultato è un ritratto raccapricciante, smarrito e disumano della nostra società tra paure, violenza e opportunismo.
The Square è un film meravigliosamente cervellotico. Provoca disagio, quasi un fastidio fisico.
Sfiora più volte l’imminente tragedia.
Glaciale, frammentario, faticoso, surreale.
Snervante come la goccia che cade sempre nello stesso punto. Lentamente scava e distrugge.
I personaggi sono volutamente odiosi  e  compiono atti molto discutibili a cominciare dal protagonista, il curatore Christian che dietro la sua avvenenza e il suo carisma nasconde insicurezze infantili e pochezza d’animo, mostrando quasi sempre un comportamento insensato.

The Square di Ruben Östlund 

Il perno centrale fisico e concettuale del film è un’opera dal titolo The Square, lavoro di un’artista argentina che il museo ha comprato e sta per inaugurare, installata nello stesso luogo dove è stato smantellato un monumento equestre dell'ancien régime.
Si tratta di un quadrato delimitato da un perimetro luminoso con accanto questa scritta: "Un santuario di fiducia e altruismo, al suo interno tutti condividiamo uguali diritti e doveri".
Un invito a ritrovare un coinvolgimento, un’ apertura verso gli altri ma allo stesso tempo se dentro al quadrato si delimita altruismo e fratellanza, vuol dire che al suo esterno si convalida il caos, la violenza e l’odio.  
Non a caso tutto quello che accadrà è  l’opposto di quello che vuole esprimere ‘il quadrato’.
Arte e vita si respingono, si fondono o si confondono in una serie di parabole apparentemente slegate tra loro.
Il film, come un’opera d’arte contemporanea, si completa attraverso le diverse interpretazioni degli spettatori che possono arrivare oltre le intenzioni dell’autore.
Östlund dosa tutto attraverso una rigorosa regia che spesso sfocia nel grottesco strappando molte risate ma un drammatico senso di dispersione avanza come uno tsunami.

In una Stoccolma in cui dilaga indifferenza e solipsismo l’opera del museo fallisce, insieme ad artisti e curatori, perché vuota e disonesta, lontana dalla vita e incapace di essere di tutti.