sabato 28 febbraio 2015

BIRDMAN, di Alejandro Gonzàlez Iñàrritu


BIRDMAN

Vacuità del successo
di Maddalena Marinelli

La scatola magica si apre mostrando i suoi ingranaggi nascosti e malconci.
Un’ansiogena macchina da presa si fa strada tra ballatoi, sipari, stretti cunicoli, vecchi camerini dismessi in cui echeggiano le discordie di un gruppo di attori aggrappati ad uno spettacolo che sta per debuttare a Broadway.
Tutti i nodi vengono al pettine e l’intricato 'retro-scena' diventa sempre più cupo e alienante, specchio di ogni tumulto interiore.  
Nell’epicentro dell’imminente disastro c’è Riggan Thompson un attore in piena crisi esistenziale. In passato era diventato famoso grazie al ruolo di un supereroe da block-buster e adesso vuole dimostrare a pubblico e critica che dietro la maschera di Birdman c’è dell’autentico talento.
Ha investito tutto in un progetto teatrale. Siamo a pochi giorni dal debutto e qualsiasi cosa va storta.  
La tensione è pronta ad esplodere. Dentro Riggan c’è un turbine in agguato.
Picchi e discese. L'ago della bilancia oscilla tra trionfo e fallimento. Intorno è tutto un susseguirsi di franate emotive: una disastrosa situazione economica, una figlia rancorosa ex tossicodipendente, un collega attore che si aggira tipo mina vagante, la più importante critica teatrale del New York Times che vuole stroncargli lo spettacolo ma soprattutto una cavernosa voce dal profondo del suo inconscio che sta per prendere il dominio.
E’ lui, è Birdman che non vuole essere eclissato; l’uomo uccello è pronto a liberarsi. L’ego della celebrità, sottoforma dell’eroe alato, irrompe con surreali scenari.
Riggan vola sopra Manhattan lanciando palle di fuoco dalle dita ma lo spettacolo non può andare in pezzi perchè è l’ultimo baluardo, la salvezza da quello stato di pochezza artistica a cui sembra essere condannato. The Show Must Go On....
Una reazione a catena. Tutto precipita e tutto risale mentre  lo spettatore è trascinato in un incessante flusso emotivo veicolato in un continuo piano-sequenza con inavvertibili stacchi.

Michael Keaton e Edward Norton in "Birdman"

Un gioco di specchi e scatole cinesi.
Birdman è il fantasma di Riggan, così come Batman lo è stato di Keaton?
Metateatro, metacinema, satira di Hollywood, condanna allo star-sistem: “Non importa se si parla bene o male, l’importante è che se ne parli”. 
Essere celebri non vuol dire essere bravi attori. La celebrità oggi arriva tramite una foto o un video di una bizzarria che si diffonde in rete. Il successo è una condizione instabile, può svanire con la stessa velocità con cui arriva.
In Birdman ritorna l’ancestrale tematica della brama di affermazione, la tragedia dell’artista, l’insopportabile minaccia del fallimento  tanto sviscerata da Cechov in Il gabbiano, nel cinema di Bergman, La sera della prima di Cassavetes o come dimenticare la commedia Nel bel mezzo di un gelido inverno di  Kenneth Branagh che riprende la stessa sovrapposizione tra finzione scenica e realtà con protagonista un attore in crisi artistica che cerca di ritrovare se stesso portando in scena l’Amleto.
L'artista narciso che annega tra verità e simulazione non riconoscendosi  nell'immagine artefatta che ha offerto al pubblico.
Birdman è un inno, un volo estremo spinto a ritrovare una verità, un senso, una passione autentica. In questo vorticoso valzer emotivo arriva anche  una bella legnata rivolta verso tutta quella critica vacua fatta di cliché e pregiudizi ma in particolar modo, sempre ritornano, le fragilità dell’attore che riportano alle recenti drammatiche scomparse di Philip Seymour Hoffman e Robin Williams.
Come in tutti i film di Inàrritu c’è un’ inevitabile concatenazione tra bene e male.

Distruzioni e rinascite. Il sorprendente flusso della vita che va ben oltre ogni nostra previsione. Una caduta può tramutarsi in un' ascesa.