giovedì 6 marzo 2014

LA CREATRICE - Camille Claudel 1915, di Bruno Dumont

CAMILLE CLAUDEL 1915 di Bruno Dumont

L’internata della società
di Maddalena Marinelli

“Non è senza rimpianto che ti vedo spendere il tuo denaro in un manicomio. Del denaro che potrebbe essermi utile per fare belle opere e vivere piacevolmente!”
(lettera alla madre dal manicomio di Montdvergues, 18.02.1927)

Camille Claudel a vent'anni


La scultrice francese Camille Claudel rimase reclusa per trent’anni in una casa di cura psichiatrica solo perché era un personaggio scomodo; perchè aveva manifestato segnali di depressione dopo la fine della sua lunga relazione clandestina con Auguste Rodin vedendosi negata ogni speranza di matrimonio.
A Camille non era concesso nemmeno di rammaricarsi troppo per un amore finito. Per la scultrice inizia un periodo difficile. Si isola nel suo studio. Accusa Rodin e la sua banda di averle rubato idee e bozzetti. Distrugge molte opere. A questo punto, per la carriera di Paul Claudel e del cognato magistrato, avere parentele con una ‘pazza’ in circolazione è una pessima pubblicità.
Dopo la morte del padre, l’unico sostenitore della ragazza, la famiglia Claudel procede. Lasceranno che Camille marcisca a tempo indeterminato in un manicomio. Diagnosi: “E’ affetta da delirio sistematico di persecuzione basato principalmente  su false interpretazioni  e fantasie”.
La madre e la sorella non si preoccuperanno mai di fargli visita.
L’unico a mantenere un legame con lei, seppur discontinuo negli anni, sarà suo fratello Paul Claudel a cui Camille aggrappò l’ultima speranza di poter un giorno tornare nel mondo, al lavoro nell’amato atelier ma gli fu negato per sempre di proseguire il suo percorso artistico.


Camille Claudel nel suo atelier accanto all'opera "Persée et la Gorgone"

L’amato piccolo Paul ha nutrito sentimenti molto contrastanti nei confronti della sorella, riconoscendone il grandissimo genio ma parallelamente evidenziandone, secondo lui, i tanti limiti: “ Il mestiere dello scultore è, per un uomo, una specie di sfida continua al buon senso, per una donna sola e col temperamento di mia sorella è pura e semplice impossibilità” (Paul Claudel)
Allieva, musa, amante, coadiutrice e rivale. Quanto avrà influito il talento, la creatività, l’intuizione della giovane Camille sull’opera di Rodin?
Certamente l’apprendistato in un atelier si basava su reciproche concessioni tra maestro e allievo, per questo è difficile stabilire con certezza chi sia il vero autore di molte opere.
Lavoravano tutti i giorni insieme usando gli stessi modelli.
Rodin ha una profonda stima per la sua assistente. La consulta su tutto.
Mani e piedi di molti personaggi sono lasciati all’abilità, al tocco della scultrice durante il lungo tormentato periodo di simbiosi artistica e sentimentale terminato nel 1895.
"Ha una natura profondamente personale, che attira per la grazia ma respinge per il temperamento selvaggio." (Auguste Rodin)


Camille Claudel 1915 di Bruno Dumont

Inverno 1915. Sud della Francia. Montdevergues, un manicomio abbarbicato in cima ad una collina. Camille Claudel è prigioniera di interminabili giornate sempre uguali circondata da malati di mente che a volte accudisce e a volte allontana bruscamente.
Un lungo incubo senza fine raccontato con rigore essenziale dal regista francese Bruno Dumont che gira il film  in una vera casa d'accoglienza nei pressi di Avignone circondando, la protagonista, Juliette Binoche di autentici degenti psichiatrici.
Dumont vuole ricreare e trasmettere il dolore dell’anima di Camille. Vuole che risuoni ovunque, anche nel silenzio.
Rilascia un principio immateriale, alimenta un’aura magica e spirituale che comunica col pubblico senza troppe parole o costruzioni visive.
Il richiamo dell’arte si riaccende sempre e Camille cerca di disegnare fiori, prende una pietra in mano oppure tenta la modellazione di una zolla di terra che forse le ricorda come da bambina amava plasmare l’argilla rossa a casa del nonno a Villeneuve.
Questi piccoli tentativi di riavvicinarsi alla creazione artistica si spengono nella più grande disperazione di chi vorrebbe volare ma gli sono state tarpate le ali.

Camille Claudel (Juliette Binoche) nel film di Bruno Dumont

Non può più scolpire. Osserva la desolazione, la natura, i piccoli rituali quotidiani di malati e inservienti. Prega convulsamente nella piccola chiesa, piange improvvisamente, ride, sviluppa manie di persecuzione. Accusa ancora Rodin di tutte le sue sciagure. Si convince che vogliono avvelenarla ma anche la persona più integra impazzirebbe presto allontanata dal mondo, dai suoi sogni e nel quotidiano contatto con veri malati mentali.
In manicomio il tempo si trasforma in un’ interminabile attesa.
Camille attende per mesi, per giorni la visita del fratello preparando parole adatte.
Si ripete in testa quella maledetta arringa finale sperando di essere compresa, di poter vivere la sua vita in una modesta casa di campagna ma Paul Claudel aveva già emesso la sua condanna nei confronti della sorella e non gli permetterà mai più di uscire.
L’internamento era una punizione per una vita troppo emancipata o, secondo i dogmi morali di Paul, un meritato castigo per un aborto avvenuto durante la relazione con Rodin. 

Camille Claudel (Juliette Binoche) nel film di Bruno Dumont

Così la società dell’epoca confina a vita questa ‘creatrice’, personalità femminile unica, talentuosa e appassionata. 
“E’ lo sfruttamento della donna, l’annientamento dell’artista alla quale si vuole fare sudare persino il sangue. Tutto ciò in fondo viene dal cervello diabolico di Rodin.”

(lettere al fratello dal manicomio di Montdvergues, 03.03.1930)