lunedì 3 maggio 2021

LA GENITRICE PSICOTICA #3: ‘LA DEA DELL’AMORE’, di Woody Allen

 

'LA DEA DELL'AMORE' (1995) di Woody Allen 


L’imprevedibilità del desiderio
di Maddalena Marinelli

Protagonista di questa ventiquattresima pellicola di Woody Allen è l’ironia del destino e la riesumazione del coro greco.
Una piccola tragedia mascherata da commedia sotto i potenti influssi della volubile Afrodite che imporrà i suoi sarcastici rimedi.
Le divertenti peripezie di Lenny che in piena crisi coniugale decide di rintracciare la madre del bambino che anni addietro aveva adottato.
Scoperto che la donna è una prostituta, con una promettente carriera da pornodiva, cerca di attuare un piano per redimerla e farla accasare.
Un film  tutto giocato sull’interfaccia col mythos.

Woody Allen e il coro greco in 'La dea dell'amore'

Il caso di Lenny Weinrib è diretto e commentato da un autentico coro greco in collegamento dal teatro di Taormina, con qualche inviato speciale spedito a New York per seguire meglio gli accadimenti. 
Simboleggia la voce della coscienza ma più spesso diventa la voce della banalità enunciando in tono solenne fesserie del tipo: «Quando sorridi, il mondo intero sorriderà con te!». 
Oltre al coro intervengono a dare utili consigli celebrità della drammaturgia greca.
Ed ecco Laio che intuisce un dilatante vuoto nell’unione dei Weinrib.
La sventurata genitrice Giocasta che, nonostante i disastri provocati dalla sua prole, declama il bisogno di lasciar vivere l’istinto di maternità. 

Woody Allen e Jack Warden nel film 'La dea dell'amore'

La guastafeste Cassandra che annuncia sventure imminenti nella vita di Lenny del tipo: «Vedo disastri! Vedo catastrofi! Peggio, vedo avvocati!» o Tiresia che si materializza per le strade dell’Upper East Side nelle sembianze di un mendicante non vedente col dono della veggenza.
Questo serioso coro greco, nell’evoluzione della storia,  diventerà sempre più scalcinato sconfinando ampiamente dallo spazio dell’orchestra dove era relegato un tempo.
Si concede un linguaggio sboccato e gag cabarettistiche, tipo l'invocazione/telefonata a Zeus, fino a degenerare completamente in una scatenata sequenza da musical  sulle note di "When you're smiling" nell’esibizione conclusiva.

F. Murray Abraham in 'La dea dell'amore'

L’austero Corifeo è  interpretato da Fahrid Murray Abraham e come vuole la tradizione si esibisce autonomamente, ribadendo o accrescendo quanto detto dai coreuti. 
Interagisce col protagonista, il suo hypokrités, cercando di farlo ragionare sulle conseguenze delle sue azioni. 
Finisce, nella maggior parte dei casi, per aiutarlo cercando di infondergli il coraggio del valoroso Achille, a massicce dosi, specialmente quando si tratta di rischiare la vita andando a parlare col minaccioso protettore di Linda.
La Dea dell’amore non è sicuramente tra i film più esaltanti della carriera di Allen che in quegli anni inizia a soffrire  tempi difficili in patria, mentre è sempre più apprezzato in Europa.
Nel bel mezzo di una crisi di coppia Lenny comincia ad idealizzare la madre naturale dell’intelligentissimo bambino che ha adottato insieme alla moglie Amanda.
Le sequenze più riuscite del film sono tutte quelle con l’esile e impacciato Lenny  accanto alla statuaria e bramosa  Judy Orgasm mentre discutono e ironizzano su fallazio e dintorni.
E poi l’algida moglie gallerista che prende tutte le decisioni; i battibecchi col saggio Corifeo; il coltivatore di cipolle maschilista e represso che Lenny vuole rifilare come marito a Linda; il pappone Ricky  con cui alla fine si riesce a ragionare promettendogli i biglietti in prima fila per la partita dei Knicks. 

Woody Allen e Helena Bonham Carter in 'La dea dell'amore'

Anche volendo sorvolare sull’eccessiva superficialità di come è trattata l’adozione del bambino che assomiglia di più all’ acquisto di un cagnolino da salotto, la sceneggiatura è abbastanza monotona e risolta con un troppo facile e improvviso lieto fine generale.
La verve comica è spenta e le battute, la maggior parte sul sesso, sono abbastanza fiacche e deludenti.
Il solito matrimonio in crisi in cui il regista, di volta in volta, scava e rimescola alla ricerca dell’humus di coppia tra  meccanismi ricattatori, ipocrisie, vendette, dipendenze, tradimenti, assuefazioni al quotidiano.
In alcuni film giunge a rivelazioni ed analisi più profonde o come in questo caso  a risultati più macchiettistici.
L’attrattiva  si racchiude in due pensate eccentriche: l’assurda presenza del derisorio coro greco e  il personaggio della squillo stupidotta interpretato brillantemente da Mira Sorvino che ricalca  quello  dell’attrice Olive Neal nel precedente Pallottole su Broadway ruolo affidato a Jennifer Tilly che fu candidata al premio Oscar, mentre la Sorvino riuscì a vincerlo come miglior attrice non protagonista.

Woody Allen e Mira Sorvino in 'La dea dell'amore'

Il prototipo della bella svampita dalla vocetta stridula era già apparso nel 1984 in Broadway Danny Rose e impersonato da una sorprendente Mia Farrow, molto credibile anche in veste comica.
Allen così fa sparire per un po’ quelle figure tanto centrali nella sua cinematografia di donne positive, forti, complesse e sensibili  che molto spesso finiscono per mettere in ombra gli uomini.
Certo descrive anche personaggi femminili nevrotici, fragili, depressi, sull’orlo del suicidio ma pur sempre affascinanti, proiezioni della sua ex moglie Louise Lasser che ossessionò il regista per diverso tempo.
In Mighty Aphrodite aleggia una certa misoginia riflessa impietosamente su due madri.
C’è Amanda moglie arpia e traditrice che preferisce adottare un bambino perché non ha tempo da perdere in una gravidanza che andrebbe a bloccare la sua carriera in ascesa e Linda prostituta giuliva rimasta incinta, a causa di un preservativo bucato, che decide di abbandonare il suo bambino.
Figure femminili vuote e superficiali a cui il regista riserva solo brevi guizzi di positività.
In seguito anche in Celebrity sarà spietato nella descrizione di insignificanti divette  ninfomani e cocainomani.
Siamo ormai molto lontani dal volto della giovane Tracy di Mahnattan considerato uno dei motivi per cui vale la pena vivere.

Woody Allen e Helena Bonham Carter in 'La dea dell'amore'

Probabilmente la batosta del processo intentatogli da Mia Farrow avrà influito, producendo questa proiezione incupita dell’immagine femminile.
A completare questa visione negativa e avvilente si aggiunge lo squallido punto di vista di Kevin, mediocre pugile lobotomizzato, in cerca di una donna che cucini e pulisca casa senza fare troppe storie.
Stranamente Lenny si convince che sia l’uomo ideale per Linda.
Forse lo vede come una specie di perversa espiazione, per la vita sciagurata e promiscua della ragazza, perché di certo un tipo come Kevin potrebbe rendere felice al massimo una capra.
Per fortuna le divinità interverranno facendo arrivare, direttamente dal cielo, un marito molto più interessante per la nostra ex squillo-novella parrucchiera.
All’inizio degli anni novanta la produzione di Allen torna brevemente ad assumere toni più leggeri da Misterioso omicidio a Manhattan a  Tutti dicono I Love You per poi tornare all’introspezione con Deconstructing Harry.
Sarebbe più giusto dire che nella sua fitta filmografia ha alternato compulsivamente commedia e tragedia sull’orlo dello stillicidio.
In questo percorso bipolare ha sperimentato tutte le possibili variazioni e combinazioni, dal goliardico al raffinato o dal nostalgico al sentimentale.

Peter Weller e Helena Bonham Carter

Ogni tanto collocando a tradimento quella pellicola importante e inaspettata, solitamente un dramma, dove  addirittura si sveglia dall’inerzia tecnica regalandoci ricercatezza nell’inquadratura e qualche interessante movimento di macchina in alternativa al solito piano sequenza.
Un film di Woody Allen, nonostante tutto, va sempre visto anche solo per il gusto di poterne parlare male, per stabilire cosa va salvato, per fare il gioco dei rimandi ai suoi vecchi film o rimpiangerli fino a quando ci stupirà nuovamente con un nuovo colpo da maestro.