THE TREE OF LIFE (2011) di Terrence Malick |
Anatomia della vita tra inizio, fine e oltre.
di
Maddalena Marinelli
Razionale
e inafferrabile.
L’albero simboleggia una contrapposizione di forze rivali,
l’attaccamento alla terra e l’elevazione verso il cielo.
Cammino di discesa e
cammino di risalita; “la scala di Giacobbe” dove c’è il continuo passaggio degli
angeli, sale e scende anche la consapevolezza degli esseri umani.
Lungo
l’albero si elevano i pensieri e le preghiere di coloro che cercano 'L’Essere
supremo'.
E’ a questo che più assomiglia The
Tree of life, a una lunga preghiera,
un dialogo con un Dio muto che risponde solo attraverso le immagini, tramite
l’impassibile flusso della continua rigenerazione dove le nostre drammaturgie
umane si susseguono senza risposte, senza un senso.
Creature che sono alla ricerca di un contatto con
l’imprevedibile 'creatore' che come può dare può togliere.
Oppure una
(im)possibile visione di quello che percepiremo dopo la morte tra ricordi della
nostra vita, trasmigrazioni della materia, affetti ritrovati, luoghi dove 'il
significato' ci sarà forse chiarito.
'The Tree of life' di Terrence Malick |
Malick genera uno tsunami emotivo d’ immagine e suono inseguendo l’avventura della vita tramite una densità di segni e suggestioni, partendo dal microcosmo di una famiglia della provincia americana degli anni '50 per riverberare nel macrocosmo, riattraversando la genesi dell’uomo.
A differenza dei
suoi precedenti film in cui (r)esiste pur sempre una vicenda/parabola
ben precisa, narrata dall’immancabile voce fuori campo che ricorda l’antico
rito del condividere e tramandare, in The
tree of life la trama viene continuamente, volutamente cancellata
diventando un flusso di frammenti ciclici tra passato, futuro e vita
ultraterrena. Sembra il frammento/trailer infinito di una vicenda che ogni
volta riparte in loop con qualche variazione aggiunta.
Nel suo ossessivo ripetersi si espande ogni volta un po’ di più in un montaggio ipertrofico gestito da ben cinque montatori.
Nel suo ossessivo ripetersi si espande ogni volta un po’ di più in un montaggio ipertrofico gestito da ben cinque montatori.
Nello scandagliare l’interno si
cerca ciò che fa pulsare l’esterno.
E’ come se un vento atomico avesse
risucchiato tutte le parole.
L’inquadratura rimane quasi sempre ad altezza
bambino, scrutando gli adulti dal basso verso l’alto o facendone vedere solo
dei dettagli, come quando i piccoli intimoriti cercano di sfuggire dallo sguardo
accusatore dei grandi.
Poi l’occhio si apre improvvisamente sull’infinito eremitaggio
nello spazio dell’anima, in un susseguirsi di epifanie organiche, in un viaggio
fantastico fino all’origine della vita. Un nucleo oscuro che si apre alla moltitudine
e alla mutazione del colore e della forma grazie agli effetti speciali di Douglas
Trumbull, lo stesso di 2001: Odissea
nello spazio, Emmanuel Lubezki alla fotografia, Alexandre Desplat alle musiche;
la triade tecnica che ha permesso il connubio dialettico tra immagine e suono.
Brad Pitt e Jessica Chastain in 'The Tree of life' |
I personaggi (padre, madre, figli) diventano i container che sigillano forze contrapposte tra innocenza, durezza, odio, amore, rabbia, perdono che si alternano nel percorso di crescita di Jack: “Papa’, mamma, voi due siete in lotta dentro di me e lo sarete sempre”. In Jack è possibile cogliere l’attimo preciso in cui inizia a germogliare il male sul tenero terreno dell’innocenza infantile che se troppe volte offeso, trascurato, incompreso, violato inizia a formare quella catena di disamore alla base di malesseri, disumanizzazioni o gesti distruttivi futuri.
Sean Penn in 'The Tree of life' |
Ancora una volta Malick enuncia la sua critica nei confronti dell’ipocrisia del sogno americano, che di fatto si trasforma in incubo, in una grande frottola.
Dietro la bianca
facciata della famiglia felice,
dell’ostentato moralismo, del benessere economico, dell’accoglienza si insinua l' odio, lo sfruttamento, l' individualismo, la smania di supremazia.
Non a caso,
nel film, questo stato di decadenza e smarrimento interiore, esteticamente,
prende le sembianze di due forze dello star system come Brad Pitt e Sean Penn
per infrangere l’idea di icone americane rassicuranti.
In un’atmosfera desolata
e raggelata, alienamente, i due attori attraversano i luoghi simbolo dell’
America dai grandi spazi aperti, alla casetta col portico, agli interni
ipermoderni dei grattacieli.
Costruzioni di una finta vita.
Il padre ha
consumato la sua esistenza intrappolato in falsi miti; al figlio è ancora
concessa la possibilità di comprendere se stesso e trovare la sua strada.
Strani quei film attesi da tempo di registi che decidono di rimanere nell’ombra anche quando vincono la Palma d’oro a Cannes.
Strani quei film attesi da tempo di registi che decidono di rimanere nell’ombra anche quando vincono la Palma d’oro a Cannes.
Forse una buona strategia per farsi
notare di più e alimentare il mito, forse semplicemente la voglia di fare il
proprio lavoro rimanendo fuori dall’esposizione mediatica.
Queste opere sono
sempre oggetti misteriosi e preziosi che lasciano lunghe scie di fascinazioni
profetiche.
Il cinema ultimamente si affanna a raccontare un po’ troppo, è ipernarrativo, ipersceneggiato, iperspiegato sempre alla famelica ricerca di storie.
Terrence Malick un cineasta che vive senza dubbio in un'altra dimensione, che non è la nostra, ci consegna un’opera aperta in cui c’è ancora quello spazio necessario per lasciare il respiro alle nostre riflessioni contro la pratica, molto frequente, di quelle veloci consumazioni di amplessi cinematografici.
Il cinema ultimamente si affanna a raccontare un po’ troppo, è ipernarrativo, ipersceneggiato, iperspiegato sempre alla famelica ricerca di storie.
Terrence Malick un cineasta che vive senza dubbio in un'altra dimensione, che non è la nostra, ci consegna un’opera aperta in cui c’è ancora quello spazio necessario per lasciare il respiro alle nostre riflessioni contro la pratica, molto frequente, di quelle veloci consumazioni di amplessi cinematografici.
Di quel tipo che soddisfa la fame
interiore, provocare un moto rivoluzionario, scuotere, innescare dentro di noi
ordigni apocalittici per risvegliarci dai torpori della strategia
dell’intrattenimento.
Cercare in ogni frame l’immagine assoluta come Kubrick, Bergman, Hitchcock, Visconti, Scorsese, Eastwood,
Cercare in ogni frame l’immagine assoluta come Kubrick, Bergman, Hitchcock, Visconti, Scorsese, Eastwood,
Malick può sembrare pretenzioso
scivolando su un certo compiacimento estetico ma è (in)sana superbia
d’artista.