mercoledì 24 maggio 2023

LA GENITRICE PSICOTICA #5: ‘BEAU HA PAURA’, di Ari Aster

                                                                          

                                                             SPOILER

'BEAU HA PAURA' di Ari Aster

Viaggio al centro della psiche

di Maddalena Marinelli

“Nulla infonde più coraggio al pauroso della paura altrui.” (Umberto Eco)
 

Paura di vivere, paura di morire, paura di decidere, paura di amare, paura della malattia, paura dell’altro, paura di provare piacere.

Beau Wassermann è un perfetto concentrato di tutte le ansie e le fobie esistenti.

Nella sua mente si affollano gli scenari più distopici.
Morire per mano di criminali psicopatici, per un medicinale assunto senza acqua, per la puntura del ragno violino, per una macchina che ti investe, per un fulmineo malore causato dal raggiungimento di un orgasmo.
Un profondo disagio esistenziale. Una vita mai vissuta costellata di timori, ossessioni, inibizioni e sensi di colpa.

“L'uomo è più facile e proclive a temere che a sperare.” (Giacomo Leopardi)


'Beau ha paura' di Ari Aster


                           

Ma chi ringraziare per tutto questo bel casino?
Chi ha reso Beau un essere pavido, irrisolto, un eterno adolescente?
Ed ecco la paura più smisurata di tutte, quella di colei che lo ha generato, che lo ha cresciuto nell’oppressione: sua madre Mona, la grande castratrice.
Un padre assente e una madre oppressiva, che ha bloccato la crescita emotiva del figlio.
Una genitrice sempre giudicante, iperprotettiva che usa come ricatto emotivo il senso di colpa.

Patti LuPone (la madre) in 'Beau ha paura'


                               

Una manipolatrice che ha insegnato al figlio il dovere di risarcirla in eterno per il bene che lei gli ha dato, per i sacrifici che ha fatto e continua a fare per lui.
Guida desideri e aspirazioni,  sostituendosi a Beau in qualunque decisione, rendendolo incapace di scegliere in autonomia, di sviluppare autostima e di crearsi una vita indipendente e matura.
Ma per Beau è arrivata la resa dei conti.
Non può più sottrarsi dal confronto con Mona.

La salvezza: una liberazione da questo legame sadico. 

La definitiva perdizione: uno sprofondamento nell’abisso delle sue turbe mentali. 
Noi spettatori saremo con lui; letteralmente nella sua testa.
Beau ci trascinerà in un viaggio allucinogeno all’interno del suo universo interiore, in cui ritroveremo ‘cose’ molto familiari.

Dopo 'le realtà alternative’ della setta devota al demone Paimon di Hereditary e il misterico villaggio di Hårga di Midsommar, in Beau is afraid Aster ci conduce nella dimensione psichica.

'Beau ha paura' di Ari Aster


“Non è l’esplorazione della vita di un uomo, piuttosto della sua esperienza. Ho voluto calare il pubblico dentro la sua testa, i suoi sentimenti e spero di esserci riuscito quasi a livello cellulare”, racconta Aster. “Lo spettatore si trova nei panni di questa persona, si muove dentro di lui ma non per tenere traccia del suo percorso, bensì per vivere i suoi ricordi, le sue fantasie, i suoi orrori. Il film è l’esperienza di vita di Beau.”
In un’ alternanza di orrore e umorismo, di estrema violenza e delicatezza fiabesca, Ari Aster realizza un’ opera filmica difficilmente definibile che ingloba tutti i generi, ancora una volta, ponendo al centro la famiglia disfunzionale in cui si annida l’orrore.  “Evil runs in the family”

'Beau ha paura' di Ari Aster


Una commedia nera, un sogno lucido, un incubo kafkiano non così lontano dalla realtà odierna.
Nell’arco di tre ore, attraversando ambientazioni e paesaggi in continuo cambiamento, Aster ci racconta molto di se stesso, dei mali della nostra società ma tanto lavoro è lasciato all’elaborazione dello spettatore, ovviamente in base alle singole esperienze personali.
Una storia che collassa su se stessa.
Criptico e allegorico Beau ha paura è un rituale collettivo a cui siamo invitati a partecipare, per provare le emozioni del protagonista che si materializzano in precise visioni di luoghi, azioni e personaggi.

'Beau ha paura' di Ari Aster


Si inizia con l’uscita dal cavernoso utero materno, per finire col rientro in esso.
Il piano reale, se esiste, si perde continuamente.
Una delle poche tracce realistiche è probabilmente la seduta con lo psichiatra che Aster, non a caso, pone all’inizio come fa Guadagnino nel suo Suspiria, un altro viaggio allegorico tra introspezione, realtà e fantastico.
Dopodiché si scatena un meraviglioso inferno surreale in cui ogni traccia realistica si dissolve e si ricompone.

Armen Nahapetian in 'Beau ha paura'


Sempre sul piano reale si pone la visita alla madre. Il pensiero di questo viaggio, di questo incontro non gradito, ma obbligato, innesca un turbinio di emozioni.
Vediamo Beau rintanarsi nel suo minuscolo appartamento posto al centro di un quartiere in cui degrado, brutalità e ogni qualsiasi forma di perversione sono in atto all’ennesima potenza.
A pensarci bene, uno scenario non così lontano dall’odierna condizione della Stazione Termini.
Tutto questo ‘caos’ sta per infrangere le barriere protettive di Beau ed invadere, contaminare quel piccolo spazio rimasto sicuro.
Dopo il crollo delle difese e l’impatto traumatico, si passa al risanamento.  

Joaquin Phoenix in 'Beau ha paura'


La villa rappresenta la cura, il bisogno di accettazione e accudimento.
Ma questa ovattata immobilità durerà per poco.
Il bosco è la sfida, il regno del possibile, delle molte vie da scegliere, dove tutte le storie possono realizzarsi e si fanno spazio le rivelazioni.
Va attraversato per raggiungere la casa della madre, uno spazio gelido fatto di vetro e cemento, dove non esistono porte e i percorsi sono labirintici.
La spaventosa soffitta è il luogo del rimosso, di quello che nascondiamo anche a noi stessi, l’ultima esplorazione da portare a termine per arrivare al compimento di questo viaggio di espiazione.
Beau affronterà due fondamentali esperienze per poter evolvere: il primo rapporto sessuale e l’uccisione della figura materna.

'Beau ha paura' di Ari Aster


Verrà condotto in un surreale processo, un purgatorio acquatico in cui sarà emessa l’ardua sentenza sulla sua condotta. Il giudice di Beau chi è? Lui stesso?La società? Un essere superiore?
L’acqua ricorre molto spesso come simbolo dell’inconscio, ricordo ancestrale del liquido amniotico; elemento primordiale di nascita, abluzione e rigenerazione.
“Questo film mi rappresenta più di tutti gli altri. È intriso della mia personalità e del mio umorismo.” (Ari Aster)
L’esplorazione onirica orrifica rimanda a Lynch, mentre quella più fiabesca a Gondry, per arrivare all’onirico grottesco di Kaufman.
Molte le chiavi di lettura psicologiche e sociali. 
Partendo da una riflessione  intima sull’individuo, si spazia su qualcosa di più plenario che tocca il malessere collettivo dei nostri giorni; quello smarrimento emotivo sempre più dilagante; l’estinzione dell’empatia per l’affermazione dell’individualismo.

'Beau ha paura' di Ari Aster


L’idea era partita con il cortometraggio del 2011 di soli sette minuti, intitolato Beau, lasciato fermentare per anni divenendo ricettacolo di tante altre fantasticherie attigue, partorite dalla mente meravigliosamente contorta del regista.
Lasciando fuori ogni logica commerciale Ari Aster, attraverso Beau ha paura, vuole riattivare, smuovere con forza la nostra capacità empatica facendoci provare tutta l’angoscia e la sofferenza del protagonista.
Dirci di non aver paura delle nostre paure, nel momento in cui le possiamo condividere con tutti.

Joaquin Phoenix in 'Beau ha paura'


Beau siamo noi.
Un urlo munchiano che invade e sovverte lo spazio circostante col suo dolore.