lunedì 9 ottobre 2017

MAD GALLERY 3


Volti e luoghi di alienazione
di Maddalena Marinelli

“Posso misurare il moto dei corpi, ma non l’umana follia.”
(Isaac Newton)

Hieronymus Bosch, “La nave dei folli”, 1494, Parigi, Museo del Louvre


Una barca che va verso il nulla carica di personaggi corrotti ed avidi persi nel vizio. L’esibizione e la condanna del peccato.
In questo baccanale boschiano i folli vengono esiliati su una nave per essere allontanati dal mondo.
Il gufo e la ciliegia simboleggiano il peccato.
Il liuto personifica l’organo sessuale femminile. Suonarlo era ritenuto gesto di estrema lascivia, soprattutto da parte di una religiosa.
L’albero maestro si trasforma nell’albero della cuccagna con un’anatra arrosto appesa, che presto sarà raggiunta da un uomo affamato armato di coltello.
In cima si staglia una bandiera con l’effigie della luna crescente, un simbolo musulmano oppure un rimando  alla volubilità dei lunatici.
Ovviamente Bosch fa una critica in primis alla corruzione del mondo ecclesiastico. Infatti la nave nell’arte paleocristiana indica la Chiesa.
Nel 1413 il poema De Blauwe Scuut di Jacob van Oestvoren parlava di una barca carica di una compagnia libertina.
Nel 1494 era stato pubblicato il poema satirico La nave dei folli di Sebastian Brandt.
Brandt racconta il viaggio che un  gruppo di alienati intraprende per raggiungere Narragonien, la terra promessa dei matti, luogo che non riusciranno a raggiungere a causa della stupidità che li porterà ad assecondare i vizi, l’imprudenza e la malvagità.
Quindi la follia intesa come conseguenza del peccato o come punizione del peccatore. Il folle è considerato emblema della sregolatezza e dell’insensatezza della condizione umana.
Un concetto che verrà superato nella visione di Erasmo da Rotterdam,   nel saggio Elogio della follia scritto nel 1509, che vede trionfare la figura positiva e anticonformista del folle-saggio.
Osservando il quadro, non a caso, isolato dal gruppo, appollaiato su un ramo, c'è un personaggio misterioso. Indossa il costume da buffone con il cappuccio con le orecchie d'asino e tiene in mano una marotte (lo scettro dei buffoni). Si tratta del Folle, il ventiduesimo arcano maggiore dei tarocchi. Egli ha voltato la propria gobba ai compagni di navigazione, e quindi alla follia, e si tiene in disparte rispetto al resto del gruppo in un atteggiamento che pare quasi di meditazione. 
Che abbia ispirato la figura del folle-saggio di Erasmo?


“Mostratemi un individuo sano di mente, e lo curerò per voi.”
(Carl Gustav Jung)


Johann Heinrich Füssli, “Lady Macbeth sonnambula, 1784, Parigi, Museo del Louvre



Dal buio emerge la figura di Lady Macbeth tormentata dai fantasmi delle sue vittime e dal senso di colpa che la sta conducendo verso la follia.
Nei suoi occhi leggiamo paura e smarrimento.
Füssli coglie la ceca disperazione di una donna che ormai ha perso ogni lucidità e risolutezza.
In preda ad allucinazioni corre nell’ombra della notte facendosi luce con una candela.
Una visione romantica ed onirica che lascia ancora spazio al terrificante goticismo di mostri e fantasmi tanto amati da Füssli.
Un mondo incantato in cui l’uomo fugge e allo stesso tempo si rifugia in un perturbante fantastico.
La camminata notturna della celebre ‘lady nera’ si svolge in uno spazio amorfo e privo di riferimenti. La donna ormai si è persa in un abisso infernale.


“Un malato di mente entra nel manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’. Il malato, prima di tutto, è una ‘persona’ e come tale deve essere considerata e curata (…) Noi siamo qui per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone.”
                                                (Franco Basaglia)

Pierre-André Brouillet, “Una lezione clinica alla Salpêtrière”, 1887, Université Paris Descartes

Il famoso neurologo Jean-Martin Charcot presenta ai suoi allievi un caso di isteria  all'ospedale Pitié-Salpêtrière di Parigi.
Charcot si era specializzato nello studio dell’ isteria e della suscettibilità all'ipnosi.
La paziente prescelta è Blanche Wittmann. Intorno alla donna compare la schiera di studenti, colleghi e collaboratori del neurologo intento a dimostrare che i sintomi dell'isteria sono reali come quelli di qualsiasi malattia organica. Sul tavolo, accanto a Charchot,  ci sono degli induttori collegati a una batteria Grenet per l'elettroterapia.
L’autore dell’opera è il pittore accademico André Brouillet specializzato in scene di genere, ritratti, paesaggi e in pittura orientalista per via del suo interesse nei confronti della realtà algerina. Visitò spesso Algeri e la Grecia.
Una visione chiara e fotografica che documenta il reale senza ulteriori pretese.
‘Una lezione clinica alla Salpêtrière’ è uno dei quadri più conosciuti nella storia della medicina.
Il dipinto si può vedere esposto in un corridoio dell'Université Paris Descartes, vicino alla scala d'ingresso al Musée d'Histoire de la Médecine.
Freud aveva una piccola versione litografica (38,5 cm x 54 cm) del dipinto, creata da Eugène Pirodon (1824-1908), incorniciata e appesa al muro delle sue sale di consulenza.


“I sogni sono una breve pazzia, e la pazzia un lungo sogno.”
(Arthur Schopenhauer)


Otto Dix, “The mad woman of Saint Marie-Py”, 1924, Los Angeles, LACMA


Una madre inginocchiata davanti al suo bambino presumibilmente morto. La donna è sotto shock.
Tutto si consuma in una strada ai margini di una città probabilmente devastata dalla guerra e dalla povertà.
Una drammatica visione che sembra arrivare da L’opera da tre soldi di Brecht o il tragico epilogo di  Mother with Child (1921) dello stesso Dix.

“The mad woman of Saint Marie-Py” e "Mother with Child"

Uno sventurato destino si è abbattuto sulla madre e il bambino.
Nulla viene risparmiato dalla grande mietitrice; spesso sono i più indifesi e innocenti a farne le spese.
Non ci è dato sapere se il bambino è morto per stenti, malattia oppure per mano di qualcuno.
Lo sguardo della donna sembra perso e terrificante. Sulla sua bocca è stampato una specie di ghigno. Colpisce e raggela quel suo gesto istintivo di porgere con la mano un capezzolo come se volesse ancora allattare il bambino da cui non provengono segni di vita. Con l'altra mano indica il corpo del figlio come a voler sollecitare lo spettatore a guardare con attenzione.
Qualcosa di terribile è accaduto.
Miseria e squallore racchiusi in un crudo realismo.
Il mondo ritratto da Otto Dix è un luogo abominevole, devastato dalla crudeltà dell’uomo. Un punto di non ritorno, un tragico abisso in cui l’umanità precipita e dove la morte è solo il minore degli orrori.


“Folle è l’uomo che parla alla luna. Stolto chi non le presta ascolto.”
(William Shakespeare)


Lorenzo Viani, “Vergine pazza”, 1929, collezione privata

L’ immagine tragica e spettrale di una donna che assume le sembianze di un fantoccio inquietante e stregonesco.
Nell’arte di Lorenzo Viani c’è l’oscura drammaticità di Goya, Kirchner, Daumier. I colori sono algidi e malinconici come quelli di Munch.
Toni scuri e asciutti, pennellate potenti e decise, un segno grafico essenziale, incisioni taglienti dai contrasti marcati e duri.
Viani rende protagonisti i reietti della società: vagabondi, folli, mendicanti, ubriaconi, nani, prostitute, pescatori, vedove del mare.
Il popolo di Viareggio, con i suoi simboli e le sue tradizioni, costituisce il soggetto prediletto di Viani.
Questa Vergine Pazza pone le mani in avanti come a voler toccare i tasti di un pianoforte. Lo farebbe pensare anche la posizione di come è seduta. Oppure è in preda ad un delirio, una crisi e i suoi movimenti sono dettati da uno stato di alterazione mentale.
Il soggetto potrebbe riferirsi ad una paziente ricoverata in un ospedale psichiatrico in cui Viani soggiornò a causa dei suoi attacchi d’asma oppure ad una povera sventurata vista in paese. 

mercoledì 1 febbraio 2017

SPLIT, di M. Night Shyamalan

                                                           
                                     MAD NEWS
SPLIT di M. Night Shyamalan

La matta bestialità
di Marinelli Maddalena

“Lo schizofrenico è un'isola, una monade chiusa in una cella dell'esistere, in una prigione del mondo. In isolamento perché così può ancora respirare.”
(Vittorino Andreoli, Il lato oscuro, 2002)

Disturbo dissociativo dell’identità. Personalità multipla.
Dentro il corpo di Kevin Wendell Crumb convivono Dennis, Hedwig, Jade, Barry, Patricia e molte altre personalità.
Un’orda che si contende il controllo del corpo di Kevin.
Lottano per avere il posto d’onore della personalità dominante che guida tutte le altre verso i propri obiettivi.
L’ossessivo-compulsivo Dennis e la leziosa Patricia insieme al dispettoso bambino Hedwig sono le più pericolose perché devote a quella che viene chiamata “la Bestia”, ovvero la 24esima personalità di Kevin.
Il Dottor Jekill, l’entità più spaventosa e distruttiva che non si è ancora rivelata.
La psichiatra che ha in cura l’uomo, durante le sedute, è abituata ad interagire con tutte le identità che albergano in Kevin ma pensa che la brutale Bestia sia solo una fantasia.
Lo sdoppiamento di personalità è un deficit oppure apre ad un potenziamento della mente umana? Può portare a quegli eventi che consideriamo legati al paranormale?
La Bestia che cos’è? Un super-uomo? Una manifestazione del demonio? Un essere alieno entrato in contatto con Kevin?

SPLIT - James McAvoy  (il bambino Hedwig)

L’effeminato Barry è la personalità dominante che ha il compito di tenere sotto controllo (nell’ombra) le personalità indesiderate ma basta un fattore scatenante per riaccendere i traumi di  un’infanzia devastata da abusi ed ecco che il dolce e remissivo Barry viene scalzato dall’alleanza delle personalità più pericolose che decidono di seguire gli ordini della Bestia.
Kevin posseduto dalla personalità di Dennis rapisce tre adolescenti e le rinchiude in un sotterraneo in attesa dell’arrivo della Bestia.
Le ragazze diventeranno spettatrici obbligate delle incredibili metamorfosi psichiche e fisiche dell’uomo.
Da qui i tentativi di fuga, le arguzie di una delle tre, Casey, che sembra la più reattiva nell’ ingegnarsi in questa terribile situazione.
Una lotta contro il tempo. La disputa interiore di Kevin tra le personalità che vogliono assecondare l’esplosione della Bestia e quelle che vogliono impedirlo.

SPLIT - James McAvoy (Patricia)

La favola, il mito, il paranormale, il rapporto col divino, la follia.
Un’entità maligna sfuggente da sconfiggere.
Tutte tematiche care a M. Night Shyamalan molto spesso sapientemente miscelate, sovrapposte, stravolte in un gioco di suspense.
Un terrore centellinato che viene costruito su basi colte, sull’elaborazioni di paure arcaiche sepolte in ognuno di noi.
Al centro l’outsider che si destreggia tra bene e male per compiere il suo destino eroico.
La sofferenza pregressa, l’handicap  che diventa arma risolutiva per salvarsi nel presente e guardare con nuovi occhi il futuro.
Un cinema cupo, pauroso, che svela tutto il male possibile che può arrivare dall’uomo o da quell’altrove sconosciuto.
L’umanità non è mai abbandonata nelle tenebre e i protagonisti riescono sempre a salvarsi in qualche modo inaspettato che ribalta la prospettiva della storia.
Il famoso 'twist ending' che ormai Shyamalan preferisce smorzare, dilazionando le rivelazioni prima del finale, probabilmente per non diventare troppo prevedibile seguendo sempre lo stesso schema.

SPLIT - James McAvoy (l'ossessivo-compulsivo Dennis)

Ispirato alla tragica e incredibile storia vera del criminale americano Billy Milligan in Split c’è Hitchcock, De Palma, Polanski nel tentativo di alternare più generi sulla base del thriller psicologico.
Tre giovinette come innocenti vittime sacrificali rinchiuse in un labirintico sotterraneo, in attesa di un terribile mostro che vuole divorarle o roba del genere.
'La bestia' vuole cibarsi degli impuri ovvero coloro che non hanno sofferto e per questo sono insignificanti. Chi ha conosciuto il dolore è puro, un essere elevato.
Un rito sacrificale per compiere una purificazione.
Come non pensare al mito del labirinto di Cnosso in cui ogni nove anni venivano portati sette fanciulli e sette fanciulle ateniesi da offrire in pasto al Minotauro, il mostruoso essere ibrido tra uomo e toro che si cibava di carne umana.
In Split l'uso della soggettiva stabilisce un filo emotivo forte e diretto con lo spettatore. Le atmosfere minimali e rarefatte avvolgono e coinvolgono ma bisogna ammettere che il film non riesce a trasmettere nulla di veramente inatteso. 
Questi passaggi da un genere all'altro lasciano nell'aria un'insoddisfacente incompiutezza e la sensazione che l’argomento sia stato trattato in modi più efficaci e approfonditi da altri registi.

Anya Taylor-Joy nel film "Split"

M. Night Shyamalan e il suo doppio.
Nel suo cinema coesistono illuminazione e conformismo, inconsistenza e profondità, pathos e raziocinio.
Da una parte intimista, sensibile, originale, tecnicamente esperto e raffinato.
Tenta di scavare fino alle radici del male umano rispecchiandolo nel male soprannaturale.
Emoziona e coinvolge toccando tutti i nervi scoperti dello spettatore.
E’ la favola che appassiona, terrorizza e poi rassicura, lasciandoci in una vaga incertezza.
Dall’altra parte c’è il timore di non valicare certi confini, di darsi sempre un freno scadendo in un superficiale richiamo a compiacere la massa che annulla il tentativo di creare un percorso più sperimentale e autentico.
La vera ‘bestia’ che aspettiamo che si riveli è quella in Shyamalan per capire finalmente che strada vuole scegliere.



mercoledì 4 gennaio 2017

ANTONIO LIGABUE. MOSTRA AL COMPLESSO DEL VITTORIANO

                                               MAD NEWS
Antonio Ligabue, 'Testa di tigre'

Ululava alla luna, danzava come un selvaggio, viveva da vagabondo, amava le moto.
Un uomo alla ricerca di una rivalsa sociale, un artista che pur essendo autodidatta è riuscito ad esprimere tecnica e grande furore espressivo. Un matto?...continua a leggere il mio articolo qui:




ANTONIO LIGABUE (1899 - 1965)
A cura di Sandro Parmiggiani e Sergio Negri
Sall'11 Novembre 2016 all'8 Gennaio 2017
Complesso del Vittoriano
Via di San Pietro in Carcere, Roma