Volti e luoghi di alienazione
di Maddalena Marinelli
“Posso misurare il moto dei corpi,
ma non l’umana follia.”
(Isaac Newton)
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Hieronymus
Bosch, “La nave dei folli”, 1494, Parigi, Museo del Louvre
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Una
barca che va verso il nulla carica di personaggi corrotti ed avidi persi nel
vizio. L’esibizione
e la condanna del peccato.
In
questo baccanale boschiano i folli vengono esiliati su una nave per essere
allontanati dal mondo.
Il
gufo e la ciliegia simboleggiano il peccato.
Il
liuto personifica l’organo sessuale femminile. Suonarlo era ritenuto gesto di
estrema lascivia, soprattutto da parte di una religiosa.
L’albero
maestro si trasforma nell’albero della cuccagna con un’anatra arrosto appesa, che presto sarà raggiunta da un uomo affamato armato di coltello.
In
cima si staglia una bandiera con l’effigie della luna crescente, un simbolo
musulmano oppure un rimando alla
volubilità dei lunatici.
Ovviamente
Bosch fa una critica in primis alla corruzione del mondo ecclesiastico. Infatti
la nave nell’arte paleocristiana indica la Chiesa.
Nel
1413 il poema De Blauwe Scuut di
Jacob van Oestvoren parlava di una barca carica di una compagnia libertina.
Nel
1494 era stato pubblicato il poema satirico La
nave dei folli di Sebastian Brandt.
Brandt
racconta il viaggio che un gruppo di
alienati intraprende per raggiungere Narragonien, la terra promessa dei matti,
luogo che non riusciranno a raggiungere a causa della stupidità che li porterà
ad assecondare i vizi, l’imprudenza e la malvagità.
Quindi
la follia intesa come conseguenza del peccato o come punizione del peccatore. Il
folle è considerato emblema della sregolatezza e dell’insensatezza della
condizione umana.
Un
concetto che verrà superato nella visione di Erasmo da Rotterdam, nel saggio Elogio della follia scritto nel 1509, che vede
trionfare la figura positiva e anticonformista del folle-saggio.
Osservando
il quadro, non a caso, isolato dal gruppo, appollaiato su un ramo, c'è un personaggio
misterioso. Indossa il costume da buffone con il cappuccio con le orecchie
d'asino e tiene in mano una marotte (lo scettro dei buffoni). Si tratta del
Folle, il ventiduesimo arcano maggiore dei tarocchi. Egli ha voltato la propria
gobba ai compagni di navigazione, e quindi alla follia, e si tiene in disparte
rispetto al resto del gruppo in un atteggiamento che pare quasi di meditazione.
Che abbia ispirato la figura del folle-saggio di Erasmo?
“Mostratemi un individuo sano di
mente, e lo curerò per voi.”
(Carl Gustav Jung)
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Johann Heinrich Füssli, “Lady Macbeth sonnambula,
1784, Parigi, Museo del Louvre
Dal
buio emerge la figura di Lady Macbeth tormentata dai fantasmi delle sue vittime
e dal senso di colpa che la sta conducendo verso la follia.
Nei
suoi occhi leggiamo paura e smarrimento.
Füssli
coglie la ceca disperazione di una donna che ormai ha perso ogni lucidità e risolutezza.
In
preda ad allucinazioni corre nell’ombra della notte facendosi luce con una
candela.
Una
visione romantica ed onirica che lascia ancora spazio al terrificante goticismo
di mostri e fantasmi tanto amati da Füssli.
Un
mondo incantato in cui l’uomo fugge e allo stesso tempo si rifugia in un perturbante
fantastico.
La
camminata notturna della celebre ‘lady nera’ si svolge in uno spazio amorfo e privo
di riferimenti. La donna ormai si è persa in un abisso infernale.
“Un malato di mente entra nel
manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’. Il malato, prima di tutto, è
una ‘persona’ e come tale deve essere considerata e curata (…) Noi siamo qui
per dimenticare di essere psichiatri e per ricordare di essere persone.”
(Franco Basaglia)
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Pierre-André
Brouillet, “Una lezione clinica alla Salpêtrière”, 1887, Université Paris
Descartes
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Il
famoso neurologo Jean-Martin Charcot presenta ai suoi allievi un caso di
isteria all'ospedale
Pitié-Salpêtrière di Parigi.
Charcot
si era specializzato nello studio dell’ isteria e della suscettibilità
all'ipnosi.
La
paziente prescelta è Blanche Wittmann. Intorno alla donna compare la schiera di
studenti, colleghi e collaboratori del neurologo intento a dimostrare che i
sintomi dell'isteria sono reali come quelli di qualsiasi malattia organica. Sul
tavolo, accanto a Charchot, ci sono
degli induttori collegati a una batteria Grenet per l'elettroterapia.
L’autore
dell’opera è il pittore accademico André Brouillet specializzato in
scene di genere, ritratti, paesaggi e in pittura orientalista per via del suo
interesse nei confronti della realtà algerina. Visitò spesso Algeri e la
Grecia.
Una
visione chiara e fotografica che documenta il reale senza ulteriori pretese.
‘Una lezione clinica
alla Salpêtrière’ è uno dei quadri più conosciuti nella
storia della medicina.
Il
dipinto si può vedere esposto in un corridoio dell'Université Paris Descartes,
vicino alla scala d'ingresso al Musée d'Histoire de la Médecine.
Freud
aveva una piccola versione litografica (38,5 cm x 54 cm) del dipinto, creata da
Eugène Pirodon (1824-1908), incorniciata e appesa al muro delle sue sale di
consulenza.
“I sogni sono una breve pazzia, e
la pazzia un lungo sogno.”
(Arthur Schopenhauer)
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Otto
Dix, “The mad woman of Saint Marie-Py”, 1924, Los Angeles, LACMA
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Una
madre inginocchiata davanti al suo bambino presumibilmente morto. La donna è sotto
shock.
Tutto
si consuma in una strada ai margini di una città probabilmente devastata dalla
guerra e dalla povertà.
Una
drammatica visione che sembra arrivare da L’opera
da tre soldi di Brecht o il tragico epilogo di Mother
with Child (1921) dello stesso Dix.
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“The mad woman of Saint Marie-Py” e "Mother with Child" |
Uno
sventurato destino si è abbattuto sulla madre e il bambino.
Nulla
viene risparmiato dalla grande mietitrice; spesso sono i più indifesi e
innocenti a farne le spese.
Non
ci è dato sapere se il bambino è morto per stenti, malattia oppure per mano di
qualcuno.
Lo
sguardo della donna sembra perso e terrificante. Sulla sua bocca è stampato una
specie di ghigno. Colpisce e raggela quel suo gesto istintivo di porgere con la
mano un capezzolo come se volesse ancora allattare il bambino da cui non
provengono segni di vita. Con l'altra mano indica il corpo del figlio come a voler sollecitare lo spettatore a guardare con attenzione.
Qualcosa
di terribile è accaduto.
Miseria
e squallore racchiusi in un crudo realismo.
Il
mondo ritratto da Otto Dix è un luogo abominevole, devastato dalla crudeltà
dell’uomo. Un punto di non ritorno, un tragico abisso in cui l’umanità
precipita e dove la morte è solo il minore degli orrori.
“Folle è l’uomo che
parla alla luna. Stolto chi non le presta ascolto.”
(William Shakespeare)
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Lorenzo
Viani, “Vergine pazza”, 1929, collezione privata
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L’
immagine tragica e spettrale di una donna che assume le sembianze di un
fantoccio inquietante e stregonesco.
Nell’arte
di Lorenzo Viani c’è l’oscura drammaticità di Goya, Kirchner, Daumier. I colori
sono algidi e malinconici come quelli di Munch.
Toni
scuri e asciutti, pennellate potenti e decise, un segno grafico essenziale,
incisioni taglienti dai contrasti marcati e duri.
Viani
rende protagonisti i reietti della società: vagabondi, folli, mendicanti,
ubriaconi, nani, prostitute, pescatori, vedove del mare.
Il
popolo di Viareggio, con i suoi simboli e le sue tradizioni, costituisce il
soggetto prediletto di Viani.
Questa
Vergine Pazza pone le mani in avanti
come a voler toccare i tasti di un pianoforte. Lo farebbe pensare anche la
posizione di come è seduta. Oppure è in preda ad un delirio, una crisi e i suoi
movimenti sono dettati da uno stato di alterazione mentale.
Il
soggetto potrebbe riferirsi ad una paziente ricoverata in un ospedale
psichiatrico in cui Viani soggiornò a causa dei suoi attacchi d’asma oppure ad
una povera sventurata vista in paese.
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