MAD NEWS
FINAL PORTRAIT AL CINEMA DALL'8 FEBBRAIO |
Le fisime dell’artista. Dono o maledizione?
di Maddalena Marinelli
“Il cielo è azzurro solo per
convenzione, ma in realtà è rosso.” (Alberto
Giacometti)
Parigi
1964. James Lord incontra Alberto Giacometti che gli propone di posare per un
ritratto. Si
tratta solo di qualche giorno, spiega l'artista.
Il
giovane scrittore americano ovviamente accetta, non rendendosi conto di quale meravigliosa ma travagliata odissea
sta per cominciare.
Lord
diventerà un ostaggio per quasi venti giorni.
Rimarrà
bloccato a Parigi in balia dei turbamenti artistici di Giacometti che ossessivamente
crea e distrugge un ritratto che sembra interminabile.
Verrà
catapultato nella quotidianità dell’artista.
Sarà
spettatore incuriosito di tutti i suoi più intimi drammi e delle dinamiche
legate alle persone che gli girano intorno.
L’atelier
in rue Hippolyte-Maindron 46 è l’incandescente fulcro, il luogo dove accade
tutto.
Ed
ecco Annette, la giovane moglie insoddisfatta. Caroline la giovanissima
prostituta che ossessiona Giacometti. Diego, il pacato fratello e assistente
che in disparte osserva, dispensa consigli e ristabilisce gli equilibri. Isaku
Yanaihara, amico, modello nonché amante di Annette.
Uno
stile di vita anticonvenzionale ma con i suoi precisi contrappesi.
Geoffrey Rush nel film Final Portrait |
Lo
studio dell’artista; un territorio misterioso ed emozionante. E’ qui che ogni
giorno Giacometti e Lord ‘duellano’ tra loro a colpi di pennellate e parole.
L’uno più sarcastico e sfrontato, l’altro più trattenuto e laconico.
Ad
un primo sguardo superficiale l’atelier è solo disordine e polvere ma poi
l’epifania, il materializzarsi del percorso mentale che porta alla realizzazione
di un’opera d’arte. E’ come la scena di un delitto in cui il visitatore deve
esplorare e ricostruire. Seguire le tracce, perdersi nelle lucubrazioni
dell’atto creativo.
Trovare
quell’imponderabile nascosto nel volto dell’altro, svelare quell’espressione
unica ed autentica che supera il reale.
“Il sublime oggi per me
è nei volti più che nelle opere.” (Alberto Giacometti)
Ossessivo
ed insoddisfatto del proprio lavoro, Giacometti alterna loquacità a silenzi per
poi arrivare a scatti d’ira.
Si
lascia andare a sprezzanti considerazioni sul lavoro di Picasso e Chagall; s’infuria con la moglie; si dispera per la sparizione della sua amante come se
con lei fosse svanito tutto il suo furor creativo.
Distrugge
sculture ‘senza speranza’; indignato brucia disegni; perde o butta via enormi
somme di denaro che per lui non hanno nessuna importanza.
“Sostanzialmente, io
non lavoro più per niente che non sia la sensazione che provo mentre lavoro.”
(Alberto
Giacometti)
Geoffrey Rush e Armie Hammer nel film Final Portrait |
Stanley
Tucci aveva acquistato i diritti del libro A
Giacometti portrait di James Lord con l’intento di realizzare un film che
focalizzasse uno spaccato di vita di questo straordinario artista; precisamente
i giorni in cui Giacometti lavora al ritratto di Lord.
Final Portrait
è stato girato alludendo al mockumentary.
Ci
sono alcuni momenti ‘estranianti’ in cui sembra di trovarsi davvero nello
studio parigino dell’artista che discute in italiano col fratello oppure assorto lavora
ad una scultura e poi, con estrema naturalezza, si torna sul binario della
narrazione filmica.
L’uso
della soggettiva e della camera a mano ci catapulta sui personaggi e sulle
azioni, contrapponendosi alla staticità delle sedute di posa e all’oppressione
del ristretto e caotico spazio dell’atelier.
Geoffrey
Rush ci regala un'altra grande prova d’attore ed emoziona come riesce a far
rivivere e far conoscere, in tutte le sue piccole peculiarità e nevrosi,
l’artista svizzero.
Come
sua antitesi Tony Shalhoub, che interpreta Diego Giacometti, è
stupendo nel ruolo del fratello taciturno, sagace e oculato che lavora silenziosamente
dietro le quinte, a sostegno della celebrità dell’altro.
Final Portrait
è stato molto pensato e fortemente voluto.
Si
percepisce soprattutto l’autentica dedizione che Tucci ha investito in questo
progetto che aveva in cantiere da dieci anni.
L’umorismo,
la raffinatezza, l’attenzione nel ricostruire minuziosamente il microcosmo di
Giacometti con tutti i suoi piccoli rituali quotidiani.
Pochissimi
esterni. Stanley Tucci chiude gli spettatori nell’atelier insieme ai due
protagonisti e ci mostra tutta la meraviglia, la frustrazione, l’incoerenza, la
debolezza di un Giacometti negli ultimi anni di vita, sempre alla disperata
ricerca di dare forma alla sua visione interiore dell'umanità.
Final Portrait, Geoffrey Rush nel ruolo di Giacometti |
Si
entra nel suo tormentato processo creativo che non si ferma mai.
Creazione
e distruzione sono due facce della stessa medaglia e accettare fallimenti, incompiutezze, azzeramenti fa parte dell’arte come della vita.