mercoledì 7 febbraio 2018

FINAL PORTRAIT, di Stanley Tucci


MAD NEWS

FINAL PORTRAIT AL CINEMA DALL'8 FEBBRAIO 


Le fisime dell’artista. Dono o maledizione?
di Maddalena Marinelli

“Il cielo è azzurro solo per convenzione, ma in realtà è rosso.” (Alberto Giacometti)

Parigi 1964. James Lord incontra Alberto Giacometti che gli propone di posare per un ritratto. Si tratta solo di qualche giorno, spiega l'artista.
Il giovane scrittore americano ovviamente accetta, non rendendosi conto  di quale meravigliosa ma travagliata odissea sta per cominciare.
Lord diventerà un ostaggio per quasi venti giorni.
Rimarrà bloccato a Parigi in balia dei turbamenti artistici di Giacometti che ossessivamente crea e distrugge un ritratto che sembra interminabile.
Verrà catapultato nella quotidianità dell’artista.
Sarà spettatore incuriosito di tutti i suoi più intimi drammi e delle dinamiche legate alle persone che gli girano intorno.
L’atelier in rue Hippolyte-Maindron 46 è l’incandescente fulcro, il luogo dove accade tutto.
Ed ecco Annette, la giovane moglie insoddisfatta. Caroline la giovanissima prostituta che ossessiona Giacometti. Diego, il pacato fratello e assistente che in disparte osserva, dispensa consigli e ristabilisce gli equilibri. Isaku Yanaihara, amico, modello nonché amante di Annette.
Uno stile di vita anticonvenzionale ma con i suoi precisi contrappesi.

Geoffrey Rush nel film Final Portrait

Lo studio dell’artista; un territorio misterioso ed emozionante. E’ qui che ogni giorno Giacometti e Lord ‘duellano’ tra loro a colpi di pennellate e parole. L’uno più sarcastico e sfrontato, l’altro più trattenuto e laconico.
Ad un primo sguardo superficiale l’atelier è solo disordine e polvere ma poi l’epifania, il materializzarsi del percorso mentale che porta alla realizzazione di un’opera d’arte. E’ come la scena di un delitto in cui il visitatore deve esplorare e ricostruire. Seguire le tracce, perdersi nelle lucubrazioni dell’atto creativo.
Trovare quell’imponderabile nascosto nel volto dell’altro, svelare quell’espressione unica ed autentica che supera il reale.
“Il sublime oggi per me è nei volti più che nelle opere.” (Alberto Giacometti)
Ossessivo ed insoddisfatto del proprio lavoro, Giacometti alterna loquacità a silenzi per poi arrivare a scatti d’ira.
Si lascia andare a sprezzanti considerazioni sul lavoro di Picasso e Chagall; s’infuria con la moglie; si dispera per la sparizione della sua amante come se con lei fosse svanito tutto il suo furor creativo.
Distrugge sculture ‘senza speranza’; indignato brucia disegni; perde o butta via enormi somme di denaro che per lui non hanno nessuna importanza.
“Sostanzialmente, io non lavoro più per niente che non sia la sensazione che provo mentre lavoro.” (Alberto Giacometti)

Geoffrey Rush e Armie Hammer nel film Final Portrait

Stanley Tucci aveva acquistato i diritti del libro A Giacometti portrait di James Lord con l’intento di realizzare un film che focalizzasse uno spaccato di vita di questo straordinario artista; precisamente i giorni in cui Giacometti lavora al ritratto di Lord.
Final Portrait è stato girato alludendo al mockumentary.
Ci sono alcuni momenti ‘estranianti’ in cui sembra di trovarsi davvero nello studio parigino dell’artista che discute in italiano col fratello oppure assorto lavora ad una scultura e poi, con estrema naturalezza, si torna sul binario della narrazione filmica.  
L’uso della soggettiva e della camera a mano ci catapulta sui personaggi e sulle azioni, contrapponendosi alla staticità delle sedute di posa e all’oppressione del ristretto e caotico spazio dell’atelier.
Geoffrey Rush ci regala un'altra grande prova d’attore ed emoziona come riesce a far rivivere e far conoscere, in tutte le sue piccole peculiarità e nevrosi, l’artista svizzero.
Come sua antitesi Tony Shalhoub, che interpreta Diego Giacometti, è stupendo nel ruolo del fratello taciturno, sagace e oculato che lavora silenziosamente dietro le quinte, a sostegno della celebrità dell’altro.  
Final Portrait è stato molto pensato e fortemente voluto.
Si percepisce soprattutto l’autentica dedizione che Tucci ha investito in questo progetto che aveva in cantiere da dieci anni.
L’umorismo, la raffinatezza, l’attenzione nel ricostruire minuziosamente il microcosmo di Giacometti con tutti i suoi piccoli rituali quotidiani.
Pochissimi esterni. Stanley Tucci chiude gli spettatori nell’atelier insieme ai due protagonisti e ci mostra tutta la meraviglia, la frustrazione, l’incoerenza, la debolezza di un Giacometti negli ultimi anni di vita, sempre alla disperata ricerca di dare forma alla sua visione interiore dell'umanità.

Final Portrait, Geoffrey Rush nel ruolo di Giacometti 

Si entra nel suo tormentato processo creativo che non si ferma mai.

Creazione e distruzione sono due facce della stessa medaglia e accettare fallimenti, incompiutezze, azzeramenti fa parte dell’arte come della vita.