sabato 26 settembre 2020

UN' INEDITA ASIA ARGENTO: 'ISOLE', di Stefano Chiantini

 

ISOLE (2011) di Stefano Chiantini - Visibile su CHILI


Nel silenzio i rumori dell’anima
di Maddalena Marinelli

L’isola oltre ad un luogo geografico è una condizione mentale. 
Una scelta o un’imposizione esistenziale. 
L’ultimo lembo di terra in cui rifugiarsi, separandosi da tutto il resto, lasciandosi circondare dalle acque in cui passato e presente pacano i loro influssi. 
Fuori dal tempo e dal mondo, in una casa canonica su una piccola isola, vivono un anziano prete e una ragazza che ha deciso di non parlare più con nessuno.
Un grande dolore, legato al suo passato, ha divorato tutto anche la sua voce.
Nella loro semplice vita, fatta di silenzio e piccole ritualità quotidiane, arriverà un immigrato clandestino come una ‘nuova onda’, portatrice di sensazioni molto contrastanti tra gli abitanti della piccola comunità.
Isole di Stefano Chiantini racconta quel crudele e immotivato disprezzo nei confronti della diversità ma anche il grande valore delle relazioni umane quando siamo disposti a metterci in gioco. 
La capacità di accettare l’altro così com’è.
Don Enzo, Martina ed Ivan vengono condannati ed emarginati per malattia, scelte, diversa etnia. 
La gente che li circonda non si fa scrupoli, vengono derisi ed offesi pubblicamente. Nessuno si preoccupa davvero di capire e stabilire un rapporto autentico con loro. L’anziano prete, reduce da un ictus, non è considerato più in grado di intendere e volere. La ragazza, che per sua scelta decide di non parlare, è bollata come ‘la pazza’ da tutto il paese e l’immigrato clandestino è visto come una specie di pericoloso usurpatore, solo perché straniero.
Per capirsi le parole non sono indispensabili. 
Queste tre isole si accettano a vicenda e nel loro piccolo e momentaneo arcipelago riusciranno a generare sentimenti veri d’amicizia, solidarietà ed amore.

Asia Argento e Ivan Franek nel film 'Isole'


Tre persone totalmente diverse che si rispecchiano nella stessa condizione di solitudine.
Il bisogno di ritrovare una complicità e una comprensione nel contatto umano, nell’incontro che può cambiare la vita. 
In Isole poco importa se i legami instaurati sono destinati crudelmente ad essere interrotti perché ‘le terre recuperate’ rimarranno impossibili da perdere. 
Nel finale rimane sospeso solo un dolce e leggero dolore.
I rapporti umani che stanno nascendo inevitabilmente si relazionano col luogo, con la natura dell’isola e i suoi elementi. 
La dimensione di ‘quest’area staccata’ è culla che protegge ma anche gabbia da cui non si può fuggire. 
Malinconico  specchio di stati d’animo e di sensibilità incomprese. 
Proiezione dell’ostilità dei suoi abitanti.
La sua quiete può essere confortante ma allo stesso tempo diventare terribilmente desolante, evocando tutte le ombre nascoste nell’inconscio. 
Nel metaforico contatto con le api c’è il rispetto reciproco, la cura, l’accettazione contro ogni forma di prevaricazione, che può solo distruggere. 
Nell’acqua puoi vedere le persone che ami, dice Ivan a Martina.

Asia Argento e Ivan Franek in 'Isole' di Stefano Chiantini


Come in L’amore non basta saltiamo sopra un treno in corsa. Si è subito catturati. 
La regia di Chiantini ci catapulta immediatamente nella vita dei protagonisti. 
Insegue le figure umane in stretti vicoli e claustrofobici/oscuri vani domestici. Nonostante la forte presenza dell’ambiente esterno poche volte l’inquadratura si apre verso di esso,  rimane stretta intorno ai personaggi, ai volti, ai corpi, alle azioni. 
Così l’isola c’è ma diventa anche un’ombra, un misterioso personaggio fuoriscena che incombe senza essere visivamente troppo presente.
“Quello che più mi interessa mostrare sono le relazioni tra le persone, specie quelle che per vicissitudini diverse si sono discostate da ciò che oggi viene definito ‘normale’, ritrovandosi così automaticamente ai margini della società.” (Stefano Chiantini)
Regia e sceneggiatura operano secondo detrazione. 
A volte si scivola in un' assenza, come se entrasse in azione un pilota automatico che segue semplicemente gli eventi.
Con pacata fermezza, l’immagine viene spogliata da qualsiasi zavorra ammaliatrice esplorando, senza enfasi, nelle ferite della nostra sfera intima. 
Ciò che resta è l’essenza.
Centrale nel film è il personaggio di Martina, una creatura isolata sulla stessa isola ma in contatto con gli elementi naturali che la circondano. 
Sull’eco lontano di Ada di Lezioni di Piano è fragile, impetuosa, misteriosa, caparbia, senza età. 
Sente di doversi aprire alle inaspettate emozioni che stanno arrivando. 
Il sentimento per Ivan lentamente muterà quella sua eterea immagine da ragazzina in donna consapevole dei suoi desideri e  della sua femminilità.

Ivan Franek nel film 'Isole' di Stefano Chiantini


 “Mi sono innamorata subito di questo personaggio. L’idea di comunicare ad un livello più profondo delle parole. E’ stata una sfida dell’anima” (Asia Argento)
Ivan entra nella vita di Martina in punta di piedi restandone per quasi tutto il tempo a circoscritta distanza. 
Osserva, intuisce, condivide. 
Nonostante la sua difficile condizione, il transito identitario e le aspettative lavorative deluse è un personaggio dotato di una disarmante quiete interiore. 
Una bella solidità spirituale che conquista e attrae la ragazza.
L’altra faccia di Tobias Horvath, il tormentato immigrato dell’Europa dell’Est di Brucio nel vento di Silvio Soldini, interpretato sempre da Ivan Franek.
Si fa naufragio verso qualcosa di intimo  ma allo stesso tempo universale.

sabato 12 settembre 2020

'VOLEVO NASCONDERMI', di Giorgio Diritti

 

VOLEVO NASCONDERMI 


L’Essere sbagliato
di Maddalena Marinelli

Antonio, Anton, ‘Toni al Matt’, “El Tudesc”.
Costa, Laccabue e poi Ligabue.
Quando sei solo, povero, malato e inerme anche il tuo nome, la tua identità viene calpestata, si può storpiare, può sparire.
 «Tu non meriti di esistere» gli diceva il maestro della scuola elementare in Svizzera.
Antonio Ligabue invece non è sparito e non sarà dimenticato. 
Rimarrà un nome indelebile nella storia dell’arte.
Antonio bambino, Antonio ragazzo, Antonio adulto.
In un susseguirsi di sbalzi temporali tra passato, presente e futuro, seguiamo le sfortunate vicende di un uomo segnato da continui soprusi. 
Considerato ‘diverso’ perchè uno storpio, un ritardato, uno straniero comunque e ovunque.
Disadattato, senza una fissa dimora, senza una famiglia.
L’infanzia in Svizzera segnata dalla povertà e dall’abbandono della madre biologica.
La malattia. Un corpo marchiato dal rachitismo e da problemi neurologici che gli provocano crisi maniaco-depressive e atti di autolesionismo che determineranno numerosi ricoveri in istituti psichiatrici.
Era convinto di avere dentro di sè dei demoni e, per questo, si feriva le tempie per farli uscire.
Rifiutato dalla madre, in seguito abbandonato dalla famiglia adottiva, espulso dalla civilissima Svizzera che lo scarica a Gualtieri dove arriverà nell’Agosto del 1919.
Anche in questo piccolo paese della Bassa, Antonio verrà emarginato, bollato sempre come un forestiero e un povero matto.

Elio Germano in 'Volevo nascondermi' di G. Diritti


Uno storpio ometto gozzuto che fa paura a donne e bambini.
Irascibile, prepotente, diffidente ma capace di gesti gentili e generosi se avvicinato ed accolto nel modo giusto. 
Dotato anche di un certo umorismo.
Decide di vivere per molto tempo lontano dalla gente, tra la riva del Po e il bosco, dove la sua casa è una fatiscente capanna.
Respinto dalla società si rifugia nella natura ed entra in simbiosi con gli animali a cui non interessa giudicarlo o vessarlo.
Solo e non amato, condannato a non poter avere affetto e nemmeno rapporti sessuali.
A volte si veste con abiti femminili per avere l’illusione del calore di una donna.

'Volevo nascondermi' di Giorgio Diritti


In quell’era fascista di ordine e disciplina Ligabue è un ribelle ‘al di fuori’ di qualsiasi sistema.
L’incontro con lo scultore Mazzacurati, che intuisce il suo particolare talento artistico, lo conduce verso un’espressione che gli permetterà quell’unica via di fuga per esternare ed esorcizzare tutto il suo malessere interiore.
“Quando disegna appare rasserenato”; le bestie diventano i suoi soggetti preferiti. Diceva: ‘Io so come sono fatti anche dentro’.
Felini, rapaci, rettili, roditori in un trionfo di vividi colori, pennellate veementi e corpose, forme contorte e possenti tra naturalismo e visionarismo.

Elio Germano in 'Volevo nascondermi'


E’, inconsapevolmente, un autentico performer.
Esegue quel suo ‘rituale sciamanico’ davanti alla tela bianca; una sorta di danza arcaica in cui imita i movimenti e i versi delle belve prima di cominciare a ritrarli.
Lo fa per caricarsi di energia, per favorire il buon esito dell’atto creativo.
Antonio si considera un grande artista e avrà ragione.
La sua arte, nell’incredulità degli abitanti di Gualtieri, comincia ad essere apprezzata, fino al raggiungimento di un certo benessere economico ma soprattutto di una rivincita sociale.
Un documentario, una mostra a Roma, i premi, i numerosi articoli che lo elevano nell’olimpo degli artisti.
Toni compra molte motociclette, assume un autista per farsi portare in giro sulle sue tre macchine, si fa confezionare abiti costosi.

Elio Germano in 'Volevo nascondermi' di Giorgio Diritti


‘Guardatemi!’ questo volto non è piacevole, la mia testa è bitorzoluta, ho il gozzo, ho il naso sfregiato ma anch’io esisto, anch’io valgo.
Giorgio Diritti attraverso la sua poesia visiva fatta di parole setacciate con rigore, di documento antropologico, di religiosi silenzi nel rapporto con i luoghi, riesce come pochi a cogliere le inquietudini, i conflitti del nostro vivere anatomizzando il nucleo della comunità in cui si ritrova tutta la gamma dei sentimenti e delle azioni umane e quel  senso di appartenenza, di storia, di identità che stiamo lentamente perdendo serrandoci nell’individualismo.
Integrazione e diversità. 
I suoi personaggi sono sempre, in modi diversi, ‘profughi’ alla ricerca di un luogo a cui appartenere.
Oppure visti come ‘invasori’ che minacciano la collettività e per questo rifiutati nell’inserimento sociale.
Un cinema che procede su quella sensibile traccia di confine tra integrazioni, usurpazioni, separazioni. 
Una visione su quella 'linea d'ombra' dove tutto, in un attimo, può cambiare nel bene o nel male.
In tutto questo la vicenda di Ligabue sembra collocarsi perfettamente.
Il regista sceglie una struttura anti-narrativa; il film procede secondo salti temporali che ricostruiscono la tormentata vita di Ligabue con l'aggiunta di alcuni innesti onirici.
Una scelta audace e da molti incompresa, giudicata dispersiva, mancante di una visione d’insieme e di un punto d'accordo.

Elio Germano in 'Volevo nascondermi' di Giorgio Diritti


In Volevo nascondermi si incede seguendo un moto emotivo, il flusso dei ricordi dello stesso artista che li evoca in un amarcord sregolato ma di coinvolgente intensità.
Elio Germano non interpreta ma diventa integralmente Ligabue, restituendo sentitamente sia quell’ interiorità ruvida, tormentata, devastata dai continui abbandoni e maltrattamenti, sia quella fisicità deforme, segnata dalla malattia.
Diritti fa un lavoro accurato nella scelta dei figuranti e dei comprimari, volti 'veri' che sembrano usciti da un film di Ermanno Olmi o Bernardo Bertolucci.
Un mondo agreste che silenziosamente, nel perpetuo ripetersi delle sue umili mansioni quotidiane, circonda e osserva tutte quelle eccentricità di Ligabue mentre dipinge, plasma nella creta del Po le sue fiere, inveisce contro qualcuno che lo ha offeso, scorrazza con la sua fiammante motocicletta rossa in quella ruralità avvolta da colori cupi che sulle sue tele diventato irrealmente infuocati.
Volti che comunicano perfettamente stati d’animo essenziali o un’ incantevole apatia.
 
“Per tutti gli storti, tutti gli sbagliati, tutti gli emarginati, tutti i fuori casta del mondo..”
(Elio Germano in occasione della sua vittoria dell’Orso d’Argento come migliore attore alla Berlinale 2020 per il film ‘Volevo nascondermi’)