giovedì 12 giugno 2014

MAD GALLERY 2


Volti e luoghi di alienazione
di Maddalena Marinelli


“Matto. Affetto da un alto grado di indipendenza intellettuale; non conforme ai modelli di pensiero, parola e azione, che la maggioranza ricava dallo studio di se stessa. In poche parole, diverso dagli altri.”
(Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911)

                  Giacomo Balla, “La pazza”, 1905, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna


Tra il 1902 e il 1905 Giacomo Balla realizza il ciclo dei viventi dedicata a tutti coloro che vivevano ai margini della società. Questa scelta tematica si può ricondurre all’adesione dell'artista all’idealismo sociale dell’amico poeta Giovanni Cena. Determinanti sono anche i contatti con Cesare Lombroso.
La fase pre-futurista di Balla è incentrata sulla ricerca di un realismo sociale espresso attraverso la tecnica del Divisionismo alla quale si avvicina a partire dal 1893 con il suo arrivo a Roma. Si interessa ai temi popolari, al mondo dei poveri, al paesaggio urbano.
La donna ritratta è Matilde Garbini, una malata mentale vicina di casa del pittore. Nell’espressione del volto e nella contorta postura del corpo Balla coglie la drammaticità di uno stato psichico alienato in un tranquillo contesto casalingo.
 I delicati colori e la luce del giallo retrostante la figura femminile concedono uno stato di quiete.
La donna si trova in controluce sulla soglia di una porta finestra mentre con un gesto o un’ espressione del volto sembra voler comunicare faticosamente qualcosa che rimarrà celato allo spettatore. 


“La pazzia è come il Paradiso. Quando arrivi al punto in cui non te ne frega più niente di quello che gli altri possono dire... sei vicino al cielo.” (Jimi Hendrix)


                               Francisco Goya, “El patio de una casa de locos”, 1794, Dallas, Meadows Museum


Un piccolo ma straordinario dipinto ad olio su ferro stagnato realizzato dopo il 1792 quando il celebre  artista spagnolo venne colpito da una misteriosa malattia che lo lasciò fisicamente debilitato e permanentemente sordo. Durante la lunga convalescenza Goya si dedicò a lavori di piccolo formato che danno più spazio alla fantasia e all'invenzione: “Sono riuscito a fare osservazioni che di solito non sono consentiti nelle opere commissionate ".
Un dipinto non certo da presentare a marchesi o conti. Un’immagine allo stesso tempo surreale e grottescamente realistica che denuncia la situazione di desolazione e totale abbandono in cui si trovavano i malati mentali.  
Francisco Goya vide questa scena quando si trovava a Saragozza.
Un cortile che ospita un gruppo di alienati. Il malato di mente veniva trattato come un criminale comune ed era normale intervenire con azioni punitive nei suoi confronti.
Una visione inquietante di uno stato di sofferenza.
Un dipinto dai toni rarefatti in cui i protagonisti emergono da altissime e cupe pareti. La luce del sole rimane irraggiungibile, non entra nel cortile. L’ uomo sulla sinistra sembra guardarci con espressione disperata  e urlante. Due uomini al centro lottano completamente nudi mentre il loro carceriere li batte. Come sempre Goya riesce a cogliere gli aspetti umani più oscuri e sadici della vita mai solo quelli retorici.


“La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia…”
(SALLY, Vasco Rossi)


                          Johann Heinrich Füssli,La Follia Di Kate”, 1806-1807, Francoforte, Goethe-museum


L’ inclinazione per il lato oscuro e perturbante si snoda come  filo conduttore di tutta l’ opera di Johann Heinrich Füssli. S’incarna, in particolar modo, nelle figure femminili, dipinte sia con fattezze di dolci fate sia come crudeli ed erotiche "femmes fatales" o come vittime innocenti perseguitate da mostruose creature notturne.
Il soggetto rappresentato è un personaggio della lirica The Sofa contenuta nel poemetto The task del poeta inglese William Cowper.
Kate è una giovane domestica innamorata di un marinaio la cui scomparsa in mare scatenerà in lei la follia.  Impazzisce di dolore rendendosi conto che il suo amato non farà più ritorno.
Kate ha tutte le tipiche caratteristiche del personaggio romantico concependo l’amore come assoluto, divorante e totalizzante fino alle estreme conseguenze.
La follia come eccesso passionale.
Füssli crea il riflesso esterno di una psiche che sta andando alla deriva.  
Gli occhi spalancati ci guardano con smarrimento e terrore, la bocca è semiaperta, la postura è innaturale. Il gesto della mano, seppure esitante, allude al mare causa del suo dolore.  E’ colto il momento culminante della follia che esplode come la tempesta alle spalle della ragazza, ormai irrefrenabile.


“Osservate con quanta previdenza la natura, madre del genere umano, ebbe cura di spargere ovunque un pizzico di follia. Infuse nell'uomo più passione che ragione perchè fosse tutto meno triste, difficile, brutto, insipido, fastidioso”.
(Erasmo da Rotterdam)


Pieter Bruegel il Vecchio, “Margherita la pazza” (o Dulle Griet),1561, Anversa, Museo Mayer van den Bergh - particolare


Da Raffaello a Guercino e ancora  Simone Martini, Parmigianino, Andrea del Sarto, tanti la dipinsero spesso come una bellissima ragazza. "Dulle Griet" è una figura del folklore fiammingo personificazione della strega, allegoria dell'avarizia.
Una versione popolare e riadattata della figura di Santa Margherita d'Antiochia che sconfisse il demonio. Sotto il regno dell'imperatore Massimiano, feroce persecutore dei cristiani, in Antiochia di Pisidia una fanciulla di nome Margherita fu condannata a morte e martirizzata a causa della sua fede in un unico Dio. Nella cella durante la notte, secondo la leggenda, il diavolo sarebbe apparso a Margherita e l’ avrebbe ingerita viva. Ma lei, grazie  alla croce che aveva in mano, squarciò da dentro il ventre del mostro e si liberò. Per questo divenne la protettrice delle partorienti.
La sua memoria sopravvisse nelle leggende popolari trasformandosi, a poco a poco, da quella di una bella ragazza in fiore in quella di una strega capace di sfidare l'Inferno.
Bruegel la rappresentò al centro del dipinto come una vecchia invasata dal gigantesco corpo allampanato. Armata e in corsa  si dirige verso la bocca antropomorfa degli inferi con un ricco bottino.
Un monito per quanti insistono nel vizio al punto da perdere la ragione.
L’associazione della follia alla colpa e allo scatenamento del demoniaco.

   Pieter Bruegel il Vecchio, “Margherita la pazza” (o Dulle Griet) 1561
Attorno a Dulle Griet si svolge un abnorme sabba collettivo.
Vi sono scene di distruzione in una città, conseguenza di un attacco portato plausibilmente dalla strega stessa e dal suo passaggio.
Figure mostruose popolano tutto il dipinto. Il colore dominante è il meraviglioso rosso delle fiamme. Ogni mostruosa creatura e ogni oggetto rimandano a simboli magici e alchemici nascosti nell'umanità scanzonata e sgangherata del popolo.
Una figura chiave è il gigante che, poco sopra il centro del dipinto, regge sulla schiena una barca con la sfera e con un mestolo di ferro rovescia monete dal suo deretano a forma di uovo dal guscio rotto. Si tratta forse dell' opposto di Dulle Griet, che getta indifferente alla folla le ricchezze che essa invece raccoglie con avidità.
Un richiamo all'inutilità dell'accumulare beni materiali.
Evidenti sono i debiti verso Hieronymus Bosch. Margherita la pazza è il seguito, la coda dell’opera La Nave dei folli.
Molto probabilmente  lo stesso committente chiese un dipinto nello stile del defunto maestro.  


“Tutti siamo scienziati pazzi, e la vita è il nostro laboratorio. Tutti stiamo sperimentando per trovare un modo di vivere, per risolvere problemi, per convivere con pazzia e caos”. (David Cronenberg)

 Vincent Van Gogh, “Il dormitorio di Saint-Paul”, 1889, collezione privata

L'8 maggio 1889 Van Gogh, accompagnato dal pastore Salles, entrò volontariamente nella Maison de Santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico a Saint-Rémy-de-Provence, a venti chilometri da Arles.
«Osservando la realtà della vita dei pazzi in questo serraglio, perdo il vago terrore, la paura della cosa e a poco a poco posso arrivare a considerare la pazzia una malattia come un'altra» (V. Van Gogh)
L’opera raffigura l’interno del manicomio, il quale, al contrario dell’architettura esterna e della campagna che lo circondava, era abbastanza deprimente.
Il dipinto trasmette lo stato di abbandono in cui erano lasciati i pazienti.
Il lungo corridoio con i letti dei degenti e in primo piano un gruppetto di persone dimesse raccolte intorno ad una stufa giorno dopo giorno in eterna attesa.
« [...] Quelli che sono in questo luogo da molti anni, a mio parere soffrono di un completo afflosciamento. Il mio lavoro mi preserverà in qualche misura da un tale pericolo. » (Lettera a Théo van Gogh, 25 maggio 1889)
Vincent non si coricava nel dormitorio. Aveva a disposizione due camere di cui una per lavorare alle sue tele. Gli era permesso dipingere fuori dal manicomio accompagnato da un sorvegliante e si manteneva in contatto epistolare con il fratello che gli spediva libri e giornali. Durante la sua permanenza a Saint-Paul-de-Mausole tentò diverse volte di avvelenarsi con i colori e il petrolio.