Devastazione contemporanea
di Maddalena Marinelli
“L’importante è
agitarsi” (Abel Ferrara)
L’umanità
è immersa nel dolore. Il cinema di Abel Ferrara sputa sangue.
Una
perenne apocalisse sociale in cui uomini incattiviti si divorano a vicenda
senza più nessun ordine e controllo. Prostitute, barboni, trafficanti di droga,
piccoli delinquenti, killer, artisti in crisi calati nelle tenebre senza alcuna
luce che possa rischiarare, ripulire l’orda criminale.
Reietti
della società alla ricerca di se stessi in una labirintica metropoli ostile,
straripante di crudeltà.
Una
violenza che anche quando non esplode si respira nell’aria, per le strade e
infetta tutto quello che tocca.
Anche
i buoni, dopo aver subito soprusi, diventano spietati carnefici come la timida
e dimessa Thana che si trasforma in un’implacabile giustiziera della notte in L'angelo della vendetta.
Urgenza
convulsiva. Una regia sporca, istintiva
con spolverate ironiche.
Tutto
pulsa in visioni potenti, abissali, senza compromessi.
Un
male tellurico che inghiotte l’uomo. Un male che ha una fantasia illimitata.
La
fede appare ad intermittenza. Forse ti salva, forse no ma offre una speranza di
redenzione.
Intanto
le anime marciscono e la dannazione si espande come un virus mortale: “La
nostra droga è il Male e la nostra propensione al Male risiede nella nostra
debolezza. Non è cogito ergo sum, ma pecco ergo sum” (The Addiction, 1995)
In
The Addiction la protagonista
Kathleen, dopo essere stata morsa da un
vampiro, diviene consapevole che la vita è anzitutto aggressione e volontà di
annullamento di ogni altro essere.
"4:44 Last Day on Earth" (2011) di Abel Ferrara |
Un
male che si deve compiere fino in fondo con poche possibilità di essere
estirpato.
Paradossalmente
proprio in 4:44 Last Day on Earth, il
film in cui Ferrara affronta più esplicitamente la fine del genere umano,
alleggia un’atmosfera meno cupa del solito. L’amore ci salva dalla catastrofe e
il drammatico fato viene accettato serenamente forse perché è la vita ad essere
il vero inferno e nulla potrà essere peggio di questo.
I
protagonisti hanno la consapevolezza che tutto finirà tra poche ore ma non si
scatena nessuna reazione aggressiva. Anzi, la cupa metropoli ferrariana
stracolma di violenza, sangue e vendetta tace in un rintanamento spirituale.
L’attesa
del totale annientamento quieta ogni impulso malvagio e obbliga alla
riflessione azzerando l’azione.
Ma
per Ferrara è solo un intervallo; un respiro in superficie per ripiombare il
prima possibile, ancora più ferocemente, nell’abisso della dissipazione.
In
Welcome to New York il corpo bulimico
di Devereaux divora e
distrugge senza sosta.
"Welcome to New York" (2014) di Abel Ferrara |
Dopo
la fine ricomincia l’inferno. E’ questa la vera apocalisse a cui l’uomo non può
sottrarsi: il perpetuarsi della perdizione.
“Le cose non
cambieranno mai” dice Deveraux, “nessuno vuole essere salvato davvero!”. Una metempsicosi del
cattivo tenente con ossessioni ancora più turpi. Dall’atto autodistruttivo si
passa al crimine sul prossimo.
La
presunzione del potente a cui nulla può essere negato.
Il
sopruso sulla donna, sulla famiglia, sulla società, sulla libertà, sullo stesso
cinema.
Willem Dafoe in "Pasolini" di Abel Ferrara |
Il
turbine del male è davvero senza fine? Dopo tutti i gironi infernali cosa
profetizzerà l’atteso Pasolini di
Ferrara? Quell’umanità appestata, quel malsano vivere, quella disperazione, quel
Pasolini che in versione psichedelica e splatteriana si è pur sempre rivelato
in tutto il cinema ferrariano.
Siamo
tutti in pericolo.
“I vari casi di
criminalità che riempiono apocalitticamente la cronaca dei giornali e la nostra
coscienza abbastanza atterrita, non sono casi: sono, evidentemente, casi
estremi di un modo di essere criminale diffuso e profondo: di massa.”
(Pier
Paolo Pasolini, Lettere Luterane 1976)