I COLORI DELLA PASSIONE (2011) di Lech Majewski |
La tela che diventa schermo
di Maddalena Marinelli
L’occhio
di Pieter Bruegel osserva la vita con lucida spietatezza.
Coglie
i particolari più insignificanti della cultura popolare trasformandoli in tracciati
simbolici.
Visionario come Hieronymus Bosch, ama ritrarre i vizi della società in cui vive,
il degrado morale dell’individuo, gli istinti più bassi attraverso un immaginario
demoniaco e folle che rigetta uno strabordante Inferno sulla Terra.
Così il
pittore tra il tragico e il grottesco inventa il suo esclusivo universo fatto
di contaminazioni tra il mondo umano e quello animale.
Un’emorragia onirica di
mostri immaginari che invadono e sovvertono il quotidiano accanendosi
sull’uomo.
A questo incredibile
visionarismo, Bruegel, riesce a
contrapporre un rigorosissimo realismo, un’attenzione per l’essenzialità
dell’esistenza umana.
Nel dipinto La salita
al Calvario del 1564 il pittore fiammingo rinuncia al fantastico, spegne ‘i
suoi effetti speciali’ affidandosi solo alla meccanica delle azioni umane e
all’immanenza della natura che sovrasta l’individuo.
Affronta
una tematica sacra raccontando fatti concreti e attualizzando le vicende del
Cristo.
Una grande cartografia dell’umanità.
'La salita al Calvario', dipinto di Pieter Bruegel il Vecchio, 1564 |
In
un enorme campo lungo vengono distribuite svariate microscene con più di 150
personaggi in cui non c’è un protagonista.
Il Cristo è posto al centro della
composizione nel momento in cui cade sotto il peso della croce ma quasi
scompare nel magma del popolino indifferente.
In questo modo Bruegel oltre a
stimolare lo spettatore ad un osservazione attenta, sui contenuti nascosti
dell’opera, vuole sottolineare l’insensibilità dell’animo umano, la sofferenza
dell’abbandono, l’esser lasciati soli e dimenticati.
Come
nasce un dipinto di questa complessità narrativa? Quali sono i riferimenti a
cui s’ispira l’artista per la sua creazione? Quali sono le storie e gli stati
d’animo nascosti dietro ad ogni personaggio?
Il
regista polacco Lech Majewski, attraverso I colori della Passione/ The
Mill and The Cross, prova a rispondere a tutti questi
quesiti attirando letteralmente lo spettatore all’interno dell’opera La salita al Calvario e ricostruendo il
suo processo creativo.
Oltrepassiamo
il confine di quel punto di vista alto e lontano impostoci dal pittore
fiammingo ritrovandoci dentro l’opera a scorgere in primo piano alcuni
personaggi.
Attraverso
una lenta carrellata orizzontale seguiamo l’artista che immagina il suo dipinto
ancor prima di iniziare i bozzetti.
Ne discute col suo amico e collezionista
d’arte Nicholas Jonghelinck.
Come un
regista sul set si aggira tra i personaggi, sistema le vesti e le posizioni in
un grandioso tableau vivant.
"Il mio dipinto
dovrà raccontare molte storie, ed essere grande abbastanza da contenere il
tutto!" (P. Bruegel)
'I colori della Passione' di Lech Majewski |
Si
prosegue col risveglio del mattino entrando nella vita di alcuni personaggi e
in quella dello stesso pittore sullo sfondo di una realtà storica
particolarmente difficile.
Guerre,
saccheggi, miseria e i fermenti provocati dalla Riforma Protestante.
Le Fiandre
erano tiranneggiate dalla brutale occupazione spagnola.
La nostra guida sarà
sempre Bruegel interpretato da Rutger Hauer che si muove tra la realtà e la
dimensione immaginaria del suo dipinto, svelandoci le sue simbologie. Oscuri
presagi di morte come i corvi, i teschi di animali , la macabra ruota issata
sull’altissimo palo dove venivano lasciati seccare i cadaveri degli uomini
giustiziati.
Il mulino che dall’alto di una rupe domina sulla composizione come 'occhio di Dio'. Secondo Bruegel: “ Il
Grande Mugnaio del cielo che macina il pane della vita e del destino".
'I colori della Passione' di Lech Majewski |
Nel
dipinto originale possiamo vedere il mulino solo all’esterno.
Nel film Majewski
inventa e ci mostra il suo enorme interno buio e cavernoso.
Il possente
meccanismo che lo fa muovere sembra animare l’intero universo e l’ordine del
tempo col suo piccolo guardiano che controlla il lavoro delle pale.
Dopo gli
scorci sulla vita della coppia di contadini, dell’eretica, dei bambini, dei
minacciosi soldati spagnoli si ritorna ossessivamente, ciclicamente, sempre al
grande tableau vivant in cui prosegue la vicenda del Figlio di Dio visto come
un riformatore condannato per eresia.
Insieme alle altre storie si svolge anche
la sua in tutte le tappe che lo condurranno fino alla crocifissione.
Così
l’opera è nella vita e la vita è nell’opera.
Quando
tutto infine è compiuto, il ciclo si spezza e il viaggio è giunto alla sua
conclusione.
Usciamo dal sogno con una lenta carrellata all’indietro.
Ricompare
il dipinto originale nelle stanze del Kunsthistorisches
Museum di Vienna.
Un’opera
filmica basata sul libro The
Mill and The Cross scritto dal critico d’arte Michael
Francis Gibson, sul consolidato visionarismo registico di Majewski e sulle più
innovative tecnologie di computer grafica e 3D.
Inizialmente
era destinato ad essere proiettato nei musei ma dopo il Sundance Film Festival 2011 è stato acquistato da 55 Paesi e quindi
passato alle sale cinematografiche. In Italia è stato distribuito solo in 20
copie.
Majewski
è un incredibile concentrato di tutte le arti. Poeta, saggista, compositore,
regista cinematografico e teatrale.
Già
in passato attento indagatore dell’anima e dell’opera di colleghi artisti come in
The Garden of Earthly Delights
vincitore nel 2004 del Grand Prix al Festival Internazionale del Film di Roma o Basquiat
di Schnabel di cui firmò la sceneggiatura.
Capace di manipolare il visionarismo
e il gioco del tableau vivant non solo in chiave poetica ma anche più ironica
come nella commedia surreale Angelus
o in Gospel According To Harry che
risente della permanenza negli Stati Uniti.
'I colori della Passione' di Lech Majewski |
Le
sue opere cinematografiche si contraddistinguono per l’evento imprevedibile (epifanico)
generato da una grande ricercatezza estetica surreale disseminata di elementi
simbolici che riescono a creare un’efficace narrazione.
Una bellezza visiva
ipnotica, un’occasione per osservare intimamente e riflettere attraverso
un’immagine riccamente colta che simultaneamente è cinema, teatro, pittura,
poesia e video installazione.
Vittima sacrificale di questa scelta artistica è l’interpretazione
attoriale che viene inevitabilmente repressa non trovando più spazio e
motivazione.
L’attore ha la stessa importanza di un elemento scenico è un
abitante costipato di un tableaux vivent. La sua recitazione è alienata e il
suo corpo diventa un tassello nella complessa costruzione figurativa.
Così
rimangono congelati, in un immobilismo etereo, i volti di Rutger Hauer, Charlotte
Rampling e Michael York. Perfettamente confezionati per un museo delle cere.
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