martedì 7 luglio 2020

'FAVOLACCE', dei fratelli D' Innocenzo


'FAVOLACCE' di Fabio e Damiano D'Innocenzo


E vissero per sempre infelici e scontenti
di Maddalena Marinelli

“In ogni istante della nostra vita abbiamo un piede nella favola e l’altro nell’abisso.” (Paulo Coelho)

C’era una volta un racconto dei racconti scritto sul diario di una bambina trovato casualmente da un uomo.
La storia ci viene tramandata oralmente da una voce che forse sta reinterpretando il tutto come in seguito farà chi, a sua volta, sta ascoltando.
In un ciclo continuo, ogni volta la vicenda cambierà e tornerà attraverso la parola scritta, il racconto orale o il medium televisivo.
I personaggi protranno essere degli sconosciuti, dei nostri vicini di casa o noi stessi.

"Il film è ispirato ad una storia vera, la storia vera è ispirata ad una storia falsa, la storia falsa non è molto ispirata" (voce fuori campo di Favolacce)

Apparentemente sono pagine che descrivono le giornate di un quartiere di provincia che scorrono monotonamente, quasi fuori dal tempo, tra pranzi, cene, feste, varie attività estive.
La vita di alcuni nuclei famigliari che abitano in ordinate villette a schiera.
I protagonisti sono bambini in età preadolescenziale a confronto con genitori in età prebestiale.

Giulia Melillo in 'Favolacce'

Quell’atmosfera favolisticamente sospesa, inizia a tingersi di nero.
Dennis e Alessia devono subire gli scatti di improvvisa violenza del padre Bruno, rabbioso verso tutto e tutti.
Viola è l’unica figlia di una coppia incapace di esternare qualsiasi emozione, tranne la mortificazione per ogni inadeguatezza della ragazzina per il rendimento scolastico o perché non è ancora riuscita a prendersi il morbillo.
L’introverso Geremia vive in un camper insieme ad un padre apparentemente affettuoso ma in realtà ossessionato a plasmare il figlio a sua immagine e somiglianza.
I due sono sempre alle prese con prove di virilità o banali sermoni, su come si affronta la vita, a cui il bambino è costretto a sottostare per emulare le orme paterne.
Intorno a questi tremendi microcosmi famigliari girano altri personaggi dalle esistenze altrettanto catastrofiche come la giovane strafottente Vilma, con quell’ingombrante pancione indesiderato di cui sembra assolutamente inconsapevole o l’apparente innocuo professor Bernardini, con i suoi logorroici sproloqui sullo stato dell’istruzione scolastica e della società odierna.

Ileana D'Ambra in 'Favolacce'

Terribili orrori si celano dietro ogni facciata perbenista.
La violenza sfrontata di Bruno Placido ha la stessa matrice della violenza pacatamente nascosta del terribile 'padre' di Miss Violence. 
Due implacabili carnefici che chiusa la porta di casa scatenano ogni perversione corporale e psicologica sulla propria famiglia.
Favolacce, pur non arrivando ad incesti e pedofilia, è fortemente legato a Miss Violence nell'esprimere una società senza speranza, emotivamente  ed eticamente distrutta, in balia di una dilagante violenza sistematica da infliggere sui più deboli.
Genitori brutali, completamente anaffettivi che scaricano le loro frustrazioni su figli che ormai vedono il mondo circostante come un luogo malsano da annientare o da abbandonare.
Anche nelle cosidette ‘favole classiche’ Hansel e Gretel, Buchettino, Cappuccetto Rosso non è che se la passassero bene da soli contro streghe, orchi e lupi.
Figuriamoci cosa devono affrontare e subire dei bambini in un film che si chiama Favolacce.

“Non esistono fiabe non cruente. Tutte le fiabe provengono dalla profondità del sangue e dell’angoscia.” (Franz Kafka)

Fanciulli braccati da lupi, lasciati soli nell’oscurità del bosco, intrappolati in alte torri da cui nessuno verrà mai a salvarli.
La via d’uscita bisogna cercarsela da soli, seguendo il dolce fatale suono di un diabolico pifferaio che attuerà la sua vendetta.
Niente fatine buone, fortunadraghi o stregoni bianchi pronti a salvarti.
Nessuna bella addormentata si risveglierà.
Il principe azzurro è solo un vigliacco buffone che racconta frottole anche a se stesso.
Rapunzel perderà tutti i suoi capelli.
Dorothy non ci pensa proprio ad andarsene da Oz poiché a casa l’aspetta una famiglia da incubo.
Peter Pan non vuole crescere e gli piacerebbe brutalizzare Trilly.
Alice è caduta nella tana degli orrori di un coniglio nero dai denti aguzzi.

Elio Germano in 'Favolacce'

I fratelli D’ Innocenzo hanno scritto e diretto questo film che ha vinto L’ Orso d'Argento per la migliore sceneggiatura al Festival di Berlino e in Italia il Nastro d'Argento al miglior film confermandosi, dopo il loro primo lungometraggio La terra dell’abbastanza, come autentica nuova promessa del cinema italiano.
Favolacce è senza dubbio un'opera coraggiosa e insolitamente diversa.
Una ricerca registica e una scrittura che sconfinano dal solito sterile piattume in cui il cinema italiano è arenato da troppo tempo per quanto riguarda soprattutto il ricambio generazionale.
I due gemelli registi 'osano', sono menti iperattive, autodidatti appassionati cinefili, plasmati soprattutto attraverso visioni di tantissimo cinema e molte buone letture.
Infatti Favolacce richiama atmosfere e idee dei più grandi maestri del cinema contemporaneo come Lanthimos, Avranas, Haneke, i Coen, nonchè nostrano come Ettore Scola ma in particolar modo Garrone.
Una periferia metafisica che oscilla tra NeoRealismo e Cinema Indipendente Americano con sfumature burtoniane.
La sfida posta ai fratelli D’Innocenzo si fa sempre più interessante e vedremo come saranno in grado di proseguire e di sorprenderci.
Manca ancora una marcatura registica forte e definita.
I rimandi ad altri maestri sono interessanti ma non rielaborati a sufficienza attraverso una personalità autoriale autonoma.
La regia è sempre alla ricerca di inquadrature inusuali, fatte più per giocare o stupire. 
Si avverte ancora la mancanza di un vero controllo formale, di una costruzione visiva omogenea e significante.
In questo registi come Matteo Rovere, Sebastiano Riso, Alice Rohrwacher o Saverio Costanzo si dimostrano più decisi.
Ma i fratelli D’Innocenzo hanno follia, potenziale, entusiasmo e dedizione moltiplicato per due.

Justin Korovkin e Giulia Melillo in 'Favolacce'

In Favolacce si sente un crescente e opprimente stato di malessere che ti si appiccica addosso.
E’ la descrizione (sur)reale di una piccola borghesia dei nostri tempi abbrutita, svuotata di certezze, valori e speranze a cui non è rimasta nemmeno la dignità.
Signori e Signore ‘spregevolmente normali’ che vivono solo per ostentare, apparire e possedere.
Adulti assolutamente indegni di accudire dei bambini, rendendo arido e impossibile qualsiasi terreno futuro per le nuove generazioni.
In questa tragica visione distopica gli innocenti escono di scena e i colpevoli restano illesi.
L’unico innocente sopravvissuto è lasciato nelle mani dello spettatore invitato a  continuarne la storia decidendone le sorti e chissà se non sarà più, o continuerà ad essere una favolaccia.

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