martedì 1 gennaio 2019

VAN GOGH - AT ETERNITY'S GATE, di Julian Schnabel


                                                    MAD NEWS

Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità in sala dal 3 Gennaio 2019


La discesa infinita
di Maddalena Marinelli

Dall’uomo al vero uomo, la strada passa per l’uomo pazzo” (Michel Foucault)

Vincent, un uomo dalla sensibilità esasperata e dall’angoscioso desiderio d’amore.
Pazzo?..Sicuramente incompreso, deriso, reietto dalla società.
Il diverso che fa paura; portatore di disorientamento dall’ordinario vivere quotidiano.
Un uomo dall’aspetto inquietante e sgradevole.
Alcolizzato, accanito fumatore; un sudicio dai denti guasti.
Difficile entrare in contatto con lui. Difficile capirlo. Difficile amarlo.
Votato completamente alla pittura per cogliere ed esprimere la sua verità sulle pulsioni vitali della natura e l’essenza, il dramma dell’essere umano.
Il suo furor creativo. 
Una pittura immediata, mutevole, dai tratti e colori violenti, piena di pathos che non piaceva non solo alla gente comune ma nemmeno a molti artisti dell’epoca tra cui Cezanne che non capì mai la grandezza di Van Gogh.
Un’esistenza piena d’amore e dedizione per l’arte ma segnata dalla sofferenza, dalla frustrazione e dal malessere mentale.
Costantemente deluso dall’insuccesso, dall’amore, dalle amicizie; si sentiva l’ultimo degli ultimi, una nullità.
Unico appiglio il rapporto indissolubile col fratello Theo e il suo costante sostegno economico che gli garantiva di poter continuare a preoccuparsi unicamente della ricerca artistica.
Theo amava profondamente Vincent. 
Nonostante le loro diversità si sentiva legato a lui da un destino similare e dalla responsabilità di prendersene cura.
Inoltre era l’unico a comprendere, a credere ed amare la sua arte.
Vincent desiderava una vita normale. L’amore. Una donna da sposare, una famiglia ma allo stesso tempo questo rappresentava un intralcio per il suo rapporto totalizzante con l’arte.
Un esule fuori dal mondo ma allo stesso tempo visceralmente dentro la realtà.

Willem Dafoe in 'At Eternity's Gate' di J. Schnabel

"Io dipingo per non pensare" (V. Van Gogh)
Impulsivo ed estremo, fino all’autolesionismo nella famosa “performance” del lembo d’orecchio reciso e recapitato alla sua prostituta preferita dicendole: ‘Conservalo con cura, così ti ricorderai di me’.
Fattore scatenante la delusione, la rabbia, l’impotenza  di fronte all’abbandono subito da parte dell’amico Gauguin.
Ecco, questo è un mio brandello di carne, questo è il mio sangue. Io esisto. Io soffro. Io non voglio essere abbandonato. Voglio essere ricordato. Voglio essere amato.
Dopo questo episodio la gente del paese si convinse della sua pazzia e fu internato per un lungo periodo.
L’arte è l’uomo sommato alla natura” (V. Van Gogh)
Il suo rapporto con la natura è totale, immersivo, allo stesso tempo confortante e straziante.
Incurante del caldo e del freddo passava intere giornate in campi di grano, boschi e sulla riva del fiume.
Madre natura da cui prima imparare e poi trarre ispirazione.
Che sussurra, svela agli occhi e al cuore ma soprattutto non giudica.

Willem Dafoe in 'At Eternity's Gate' di J. Schnabel

Nel suo silenzio contemplativo Vincent si sente libero e lontano da quella società che lo addita e lo reprime. Può essere se stesso, finalmente capace di esprimersi senza impedimenti. Così matura il suo atto di autentica creazione.
Sappiamo che Julian Schnabel prima di essere regista è lui stesso artista ed è sempre da tale prospettiva che ha raccontato l’esistenza e l’atto creativo di Basquiat, Reinaldo Arenas e adesso in At Eternity's Gate di Van Gogh.
Schnabel cerca di portare  al pubblico ‘il punto di vista’ di Vincent; di come lui vedeva il mondo e l’arte.
Lo seguiamo nel movimento della mano mentre realizza i suoi disegni ad inchiostro di china. 
Il suo conflitto con la società dell’epoca, le quotidiane derisioni inflitte dalla gente di Arles cattiva, meschina e ignorante, che non lo voleva.
Percepiamo tutta la sua solitudine e disperazione ma anche la grande volontà nel proseguire con costanza e fermezza la sua ricerca artistica.
Nello struggente confronto col prete ( Mads Mikkelsen), viene messa alla prova la sua fede artistica ma Vincent non vacilla nel suo credo.
La camera ardente che diventa ennesima 'performance', con al centro il corpo senza vita dell'artista martire che s'innalza verso l'eternità, circondato dalle sue opere che i visitatori si affrettano ad acquistare.
Un impeccabile Willem Dafoe, con estrema naturalezza, si cala in questo Van Gogh pacato, teneramente goffo, meditativo, già rassegnato a non essere capito dal suo tempo.
Un film intimista ed essenziale che attraverso inseguimenti con la camera a mano vuole entrare nelle membra di Van Gogh cercando di comprenderne gli stati d’animo, la sua turbata psicologia, il desiderio di affermare e condividere la sua arte.
« È un film sul significato dell’essere artista e il suo ruolo nel mondo. Non potrei fare un film più personale di questo ». (Julian Schnabel, note di regia)
Tutto questo riesce a rendere necessario ed emozionante quest’ennesimo omaggio filmico alla figura di Van Gogh con l’aiuto di una novità rispetto ai tanti predecessori: l’ipotesi che l’artista non si sia suicidato ma sia stato vittima di un incidente provocato da due ragazzi che giocando con una pistola malfunzionante gli avrebbero sparato accidentalmente all’addome.
Schnabel decide di proporre questa versione inedita sulla morte di Vincent ipotizzata nel 2011 in Van Gogh: The Life, il volume biografico degli storici dell’arte Steven Naifeh e Gregory White Smith.
«Sulla questione del suicidio non esiste alcuna testimonianza, nessuno ha mai trovato l’arma da fuoco o il suo materiale per dipingere. Noi abbiamo lottato contro questa leggenda: alla fine della sua vita, Van Gogh realizzava un dipinto al giorno, non era depresso come viene descritto di solito…» (Julian Schnabel)


Willem Dafoe in 'At Eternity's Gate' di J. Schnabel

Un ritratto intenso e silente che segue il corso degli eventi di un uomo, di un artista che ha perseguito il suo sogno di cercare una nuova luce, di dare un autentico senso alla sua esistenza e morto nell’inconsapevolezza di esserci riuscito. Addirittura di aver superato il suo tempo stabilendo un rapporto con l’eternità.

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