mercoledì 30 aprile 2025

MEMENTO MORI #5: 'THE SHROUDS', di David Cronenberg

                                                                   

                                                           SPOILER

THE SHROUDS di David Cronenberg


QUANTA OSCURITA' SI PUO' ACCETTARE?
di Maddalena Marinelli

“Alla sua tomba come a tutte quelle su cui piansi, il mio dolore fu dedicato anche a quella parte di me stesso che vi era sepolta.”   (Italo Svevo)

Decomporsi, frantumarsi, svanire.
Dopo la morte ogni corpo umano è destinato ad una lenta dissoluzione, che ci fa ricongiungere ad un tutto cosmico di un perpetuo processo di creazione/distruzione che va oltre l’essere umano.
Un altro percorso, per chi ci crede, è quello dell’anima verso l'ignoto di un' altra esistenza, forse incorporea o forse in una nuova fisicità.
E poi c'è il rimanere ‘spettralmente’ nel ricordo di chi resta che deve elaborare la mancanza e mantenere viva la memoria.
Karsh ha perso sua moglie Becca da quattro anni e, non riuscendo ad elaborare il lutto è finito  all’interno di un' ossessione molto particolare e perturbante.
Lui vuole essere ancora con lei. 
Vuole, soprattutto, mantenere un legame con il corpo di Becca.
"Il corpo è realtà".
Diane Kruger in 'The Shrouds' di David Cronenberg

Sfruttando le innovazioni tecnologiche, tramite la sua società GraveTech, crea dei futuristici sudari (bozzoli) hi-tech, corredati di microcamere che permettono, attraverso un'applicazione, di vedere in tempo reale quello che non andrebbe mai visto: cosa accade dentro la tomba, sottoterra.
Karsh allevia il suo dolore penetrando con lo sguardo, giorno dopo giorno, il corpo di Becca che si decompone.
Prova conforto da questo legame diretto con la carne della sua amata sposa che si consuma.

'The Shrouds' di David Cronenberg

Lo fa diventare il suo nuovo business, creando degli esclusivi cimiteri multimedialì dove, attraverso degli schermi sulle lapidi e delle app, i familiari possono visualizzare il cadavere del loro defunto.
L’incapacità di accettare la morte come una parte naturale della vita, d'altronde, ha scatenato nell'essere umano sempre la più florida creatività o scelleratezza.

Vincent Cassel in 'The Shrouds' di David Cronenberg

Se non si crede ad una vita dopo la morte, cosa fare per restare in contatto col proprio caro estinto? 
Rimane il corpo, almeno finchè non diventa un mucchietto di polvere.
L’inizio di una nuova ritualità, un inedito culto ateo dei morti.
Una notte il cimitero viene profanato, le tombe distrutte e il sistema di monitoraggio hackerato.
Karsh indagherà per capire chi può essere il responsabile.
In un mondo interconnesso, esiste una cospirazione internazionale per la creazione di un sistema di sorveglianza globale tramite i cimiteri?
Si tratta dei russi oppure dei cinesi?
E’ colpa degli ambientalisti islandesi?
Oppure è stato un gruppo conservatore che considera deplorevole l’esistenza di tali cimiteri?
Il medico di Becca stava usando la donna, afflitta da un male incurabile,  come cavia per degli esperimenti medici? 
Il nostro inconsolabile vedovo si perderà in un ginepraio di possibili complotti, non trovando una vera risposta e probabilmente tale risposta, alla fine, sarà solo un macguffin. 
Il solito cavallo di troia cronenberghiano, che cela ben altri baratri sociali e personali.
Dal caos globale alla sofferenza più intima.

Vincent Cassel e Diane Kruger in 'The Shrouds' di David Cronenberg

Il cinema come teatro anatomico delle trasformazioni in cui il corpo è visione tangibile della fragilità e della depravazione umana.
The Shrouds è un intrigo di sapore hitchcockiano in cui Cronenberg elabora, attraverso l’atto artistico, la sofferenza per la perdita della moglie Carolyn avvenuta nel 2017.
Non a caso il protagonista è un perfetto alter ego del regista,  e l’ossessivo tema del doppio, come sempre, ritorna e nel personaggio di Becca addirittura c’è il quadruplo.
Becca è corpo in decomposizione; figura spettrale nel sogno/rimembranza/allucinazione del marito; carne viva nella sua gemella Terry; entità artificiale in Hunny.
Nel finale addirittura Becca, nella mente di Karsh, è destinata a fondersi con qualsiasi altra donna con cui l’uomo avrà una relazione.
L’ossessione ormai dirompe come un virus inarrestabile.
Tutte immagini, proiezioni, surrogati di Becca a cui Karsh decide di credere, rimanendo sospeso in un' interzona poichè ha troppa paura di guardare senza filtri la realtà.
La tecnologia migliora la vita dell’uomo oppure la opprime e la deforma?
Karsh attraverso il progresso tecnologico manipola il dolore e la morte, pensando di aver trovato un modo per superare il lutto ma in realtà tra IA che gli organizza la vita, schermi onnipresenti, auto a guida autonoma, voyeurismo funerario digitale, finisce in una dimensione estraniante da se stesso e da ciò che è reale.
In Cronenberg la tecnologia si fonde perversamente con l'essere umano creando incubi futuri o imminenti, in un' idea di sovrastazione, di potere che la macchina avrà sull’uomo che impotente non potrà far altro che adeguarsi al cambiamento, alla 'nuova carne' nel bene o nel male.
In ogni opera filmica il regista canadese ci delizia sviluppando un' idea morbosa, una nuova parafilia.
In Crash l’eccitazione sessuale era scatenata dall’adrenalina dell’incidente stradale.
In Crimes of the future il desiderio di essere tagliato e ‘aperto’ era la nuova frontiera del piacere; il massimo godimento era assistere a degli interventi chirurgici.

Vincent Cassel e Sandrine Holt in 'The Shrouds' di David Cronenberg

In The Shrouds la cospirazione è sexy; si gode pensando a tutti i possibili complotti. La sessualità si nutre di immaginazione.
La carne e la mente vengono mutilate, si riducono, si frammentano in IA, in ricordo, in sogno, in un' idea intangibile che continua a far pensare oltre la fine del film.
La visione continua ad espandersi inafferrabile.

“Il lutto è solo un'autocommiserazione prolungata. In Nuova Guinea i Pigmei tritano i loro antenati e si bevono la polvere in una birra.”
(Jon Hamm-Don Drapel in Mad Men)


mercoledì 1 gennaio 2025

IL CORPO #6 : ‘THE SUBSTANCE’, di Coralie Fargeat

                     

                                                                SPOILER

THE SUBSTANCE di Coralie Fargeat 


Storpiature fisiche e morali
di Maddalena Marinelli
 
"I mostri non sono fatti di carne e di sangue. Sono fatti solo di paura".
(Fabrizio Caramagna)

Il corpo è il nostro carceriere.
La percezione del nostro corpo è distorta dal filtro dello sguardo della società, che lo giudica secondo prestabiliti canoni di bellezza che possono cambiare nel corso del tempo sulla base di esigenze politiche, economiche, sessiste e razziste.
Apparentemente vive meglio chi corrisponde a questi canoni, ma anche riuscire a mantenerli inalterati nel tempo rappresenta un problema insostenibile.
Una lotta costante e massacrante per il raggiungimento di un ideale estetico che ci possa garantire cosa? 
Successo lavorativo? 
Essere invidiati? Essere desiderati? Essere amati?
Quello che di certo otteniamo è il diventare schiavi di un sistema consumistico che mira al controllo, al dominio, all’ omologazione, cancellando la nostra identità.
Una follia collettiva che ogni giorno scandisce la vita di uomini e donne ossessionati da una maniacale attività fisica; dall’utilizzo improprio di farmaci per dimagrire o gonfiare muscoli; da continue iniezioni di botox o di filler; da interventi di chirurgia estetica che portano a gravi deturpazioni o alla morte, per aver scelto millantatori a buon mercato.
Viviamo nello sdoppiamento di ‘chi siamo’ e di ‘chi dovremmo essere’.
Una continua ricerca di un miracoloso miglioramento esterno quando il problema è da indagare all'interno; nell’incapacità di accettarsi; nell’incapacità di accogliere gli inevitabili cambiamenti dovuti alla senilità; nell’incapacità di opporci alle regole sociali.

'The Substance' di Coralie Fargeat

Scavare dentro di noi, fino al confronto con le vere cause del nostro malessere esistenziale, fa molta più paura che martoriare la nostra carne.
La società infligge questa continua pressione, di corrispondere a determinati canoni estetici, soprattutto alle donne condizionate dall'onnipresente male gaze ad essere sempre belle per ottenere o mantenere un lavoro, un amore o per qualsivoglia esposizione sociale.
Tutte abbiamo una relazione complicata con il nostro corpo
“The Substance è un film che parla di corpi femminili.
Di come siano sempre oggetto di scrutinio, fantasie e critiche all’interno dello spazio pubblico.
Di come noi, in quanto donne, siamo portate a pensare di non avere scelta se non essere perfette/sexy/sorridenti/magre/giovani/belle per avere valore nella società.
E di quanto ci risulti impossibile sfuggire a questa logica, per quanto istruite, intelligenti e indipendenti possiamo essere.” (Coralie Fargeat, note di regia)

'The Substance' di Coralie Fargeat

La ex diva Elisabeth Sparkle, relegata a condurre un programma televisivo di aerobica, al compimento del suo cinquantesimo compleanno si ritrova licenziata, poiché ormai considerata merce scaduta da sostituire con carne fresca di una giovane donna da dare in pasto  a telespettatori arrapati e a telespettatrici ardenti d’invidia che sognano di emulare forme sempre più sode.
Alla disperazione di Elisabeth c’è un rimedio molto esclusivo ed innovativo ovvero ‘la sostanza’, una biotecnologia che permette di creare una versione migliore di se stessi.
Un alter ego più bello, più giovane, più forte.
Dalla matrice nasce per partenogenesi la copia.
Bisogna rispettare la regola dell’alternarsi ogni sette giorni ma: “Ricordati. Tu sei una!”.
Quando le norme, di questo patto mefistofelico, non verranno più seguite inizierà la discesa nella follia. 
L’artificiale si ribellerà al naturale e le conseguenze saranno devastanti, oltre ogni immaginazione.
 “Sarà un bagno di sangue. Ma farà anche sbellicare dalle risate. Perché non conosco arma migliore della satira per mostrare al mondo l’assurdità delle proprie regole.”  
(Coraline Fargeat, note di regia)

Margaret Qualley in 'The Substance'

Un alternarsi continuo di splendore e orrore.
Un body horror di sangue e budella che combina sapientemente dramma con satira.
Estremamente derivativo e denso di citazioni dal miglior horror d'autore ma allo stesso tempo mantiene intatta una propria originalità.
In The Substance lo sguardo affonda nella splendidézza o nella putrescenza della carne; in fluidi vividi e fluorescenti o rappresi in grumi nauseanti; in materia che si rigenera squarciando bozzoli o necrotizza succhiata fino al midollo.
Corpi infilzati  o ricuciti con aghi. 
Carne dilaniata, deformata, deflagrata.
Una favola splatter che diverte e disgusta.
Una potente visione disturbante, penetrante, volutamente eccessiva.
Un incentivo a cambiare la concezione di bellezza femminile in una società che promette prosperità solo in pegno di un corpo ideale da mostrare.
La Fargeat distrugge questo corpo stereotipo, lo farà letteralmente esplodere.
La seconda ondata della New French Extremity.
Visioni estreme provenienti da una nuova avanguardia di registe francesi, molto cazzute, che raccontano drammi sociali ed esistenziali odierni attraverso un body horror viscerale, cupo, epifanico.
Sulle orme della grande Claire Denis ci sono Julia Ducournau, Marina de Van, Hélène Cattet, Coralie Fargeat.
Un genere horror rinvigorito che si tinge di femminismo  e che torna ad avere un forte sottotesto politico e sociale.

Demi Moore in 'The Substance'

Vittima del male gaze, ma soprattutto vittima di se stessa, Elisabeth di The Substance è una protagonista emblematica dei nostri tempi.
Una donna priva di ‘sostanza’. Un involucro vuoto.
Senza la sua bellezza è il nulla.
Ha basato la sua esistenza unicamente sulla vacuità e sull’avvenenza fisica confondendo l’ammirazione, l’adorazione del pubblico per amore, ma in realtà è sola, incapace di avere un autentico legame affettivo.
Così si odia e si distrugge, inseguendo quel simulacro unico scopo di una vita arida ed effimera.

'The Neon Demon' (2016) di Nicolas Winding Refn

Un dramma legato a quell’esigenza sociale di essere belle, perfette, sempre giovani, come l’eterea aspirante modella Jesse di The Neon Demon, invidiata dalle sue colleghe poiché considerata più bella e una rivale pericolosa 
Essere ammirata da tutti è tutto.
Non basta eliminare Jesse, per possedere quel suo splendore è necessario divorare la sua carne e bagnarsi nel suo sangue, come usava fare la celebre contessa Erzsébet Bathory, che uccideva e dissanguava vergini adolescenti convinta di aver trovato il suo elisir di eterna giovinezza.

Demi Moore e Margaret Qualley in 'The Substance'

La rivalità tra donne. Eva contro Eva.
Invece di unirsi, per un cambiamento a beneficio comune, succede che le donne si mettono una contro l'altra per vanità e antagonismo.
La frase chiave di The Substance: "Ricordati che tu sei una" è un' esortazione alla complicità femminile. 
Non più nemiche.
L'altra sei tu. 
Ricordati che le azioni riprovevoli che fai alle altre donne, le fai anche a te stessa.
Non renderti più complice  di quel sistema che calpesta anche te.


'The Fly' (1986) di David Cronenberg

Il sogno di cambiare il proprio corpo che poi diventa l’incubo di un corpo trasformato, in cui non ci si riconosce più e l’identità si sfalda.
Un tema caro a Cronenberg, pioniere del body horror, che di corpi mutati ne ha raccontati tanti, tra straordinarietà e orripilanza.
La mutazione della carne come metafora di una trasformazione interiore.
In Cronenberg il progresso scientifico, associato all’arroganza umana a quell’implacabile impulso di oltrepassare i limiti e gli equilibri, conduce alla mostruosità, al disastro, alla perdita dell’umanità.
In La mosca lo scienziato Seth Brundle in un esperimento di teletrasporto, incautamente praticato su se stesso, mischia il suo DNA con quello di una mosca presente accidentalmente nella telecapsula.
Inizialmente questa fusione produce effetti positivi sull’uomo che si sente più forte, vigoroso e sicuro di sé ma lo sviluppo successivo della mutazione lo rende un essere mostruoso, un agglomerato aberrante.
Elisabeth Sparkle come Seth Brundle si è affidata alla scienza usandola per soddisfare il proprio ego, ignorando i pericoli, oltrepassando i limiti, perdendo se stessa.
La crudeltà della società genera mostri?

'Carrie' (1976) di Brian De Palma

In Carrie un’adolescente introversa, continuamente vessata dalle bulle della scuola e repressa da una madre fanatica religiosa, scatena tutta la sua rabbia e frustrazione nella sua dote di telecinesi, trasfigurandosi in una specie di demone sanguinario. 
Questa implacabile Carrie dallo sguardo di Satana, compirà una strage durante la serata del ballo scolastico trasformandolo in un bagno di sangue collettivo, come accadrà nella serata di Capodanno in The Substance, quando il Monstro Elisasue salirà sul palco e la perfidia sociale si scatenerà. 

'Society' (1989) di Brian Yuzna

In Society la buona società, la classe dirigente americana, cela un’identità di viscidi mutanti cannibali che decide chi vive e chi muore divorato.
I ricchi si sono sempre nutriti dei poveri.
Metafora del conflitto e del divario tra le classi sociali, dell’edonismo sfrenato, dei pericoli dell’omologazione a cui anche la Fargeat fa riferimento in The Substance, omaggiando tutta la putrescenza di questo cult di Yuzna, decisamente, ancora molto attuale.

'The Elephant man' (1980) di David Lynch

In The Elephant Man John Merrick viene sfruttato e deriso come fenomeno da baraccone.
A causa della sua malformazione fisica è rifiutato dalla società che associa la malvagità a quell’aspetto deforme.
La gente ha paura di quel corpo ‘diverso’ considerandolo mostruoso.
Quando John si ritrova linciato dalla gente, che spaventata dal suo aspetto lo giudica un pericolo, a salvarlo, a ridestare il buon senso, la pietà di persone accecate da pregiudizi, superstizioni e ignoranza è la sua voce.
John parla, spiega che lui è un essere umano, un uomo come loro e la folla si placa.
Questo barlume di speranza verso un moto di empatia, ascolto e accoglienza dell’altro, Coralie Fargeat lo annienta nella scena in cui il Monstro Elisasue si presenta al suo pubblico in sembianza ormai deformata a causa dell’incauto utilizzo della sostanza.

'The Substance' di Coralie Fargeat

La bellissima ex diva, diventata un magma di carne dai connotati scombinati non si vergogna e vuole mostrarsi in scena.
Davanti ad un pubblico inorridito e poi inferocito, prova a spiegare ma quella voce non viene  ascoltata e prevarica la violenza, l’annientamento di quella bruttura inaccettabile per una società assuefatta ad una idea di bellezza preordinata. 
Non puoi avere un corpo non conforme.
L'attrice sbrandellata ma ancora ingabbiata nello sguardo dell'altro, in quella sua immagine idealizzata, regala un ultimo grottesco sorriso al suo pubblico sopra la stella, che reca il suo nome, sulla Hollywood Walk of Fame.
Infine, quello che resta viene eliminato e ripulito.






giovedì 15 agosto 2024

‘BABY REINDEER’, di Richard Gadd

                                                               SPOILER                                        

BABY REINDEER visibile su Netflix

Nella profonda tana della piccola renna
di Maddalena Marinelli

Donny e Martha.
Vittima e carnefice o due facce della stessa medaglia?
Di solito si empatizza con la vittima ma capita di provare a capire il punto di vista del carnefice, probabilmente perché nella sfera emotiva di ognuno di noi coesistono luci e ombre.
A tutti un giorno può accadere qualcosa di terribile che può trascinarci in un abisso, oscurando la nostra luce, cercando solo distruzione o autodistruzione.
Quando il male non viene elaborato si amplifica e pretende altro male,
Un trauma non metabolizzato, rimasto irrisolto è come una ferita aperta che attira altri ‘segnati’, esponendoci a ulteriori abusi.
Questo è quello che accade all'aspirante comico Donny quando conosce l'avvocatessa disoccupata Martha.
Donny permetterà a Martha di leccare la sua ferita infettandola ancora di più.
La donna svilupperà un’ ossessione per il ragazzo, perseguitandolo con centinaia di email, appostamenti, imponendogli la sua presenza ovunque fino ai soprusi fisici e psicologici, rivolti non solo a lui ma anche a tutta la sua cerchia di amici e parenti.
Martha quindi è decisamente spregevole ma allo stesso tempo fragile e questa fragilità, mescolata alle continue adulazioni, inducono Donny a tollerare questa stalker, decidendo di non prendere tempestivi provvedimenti.

Richard Gadd e Jessica Gunning in 'Baby Reindeer'

Le attenzioni di Martha, seppur malate, lo attirano morbosamente in un continuo alternarsi tra il desiderio di assecondare e la consapevolezza di bloccare questa follia che, inevitabilmente, degenererà in un grave pericolo.
Perché preoccuparsi di non ferire Martha? Perché accettare la sua richiesta di amicizia su FB? Perché non denunciarla subito alla polizia?
Scopriamo che nel passato di Donny è celato un trauma.
Darrien, un famoso sceneggiatore, lo aveva avvicinato durante il Festival di Edimburgo e con il pretesto di una possibile collaborazione ad uno show televisivo, aveva abusato di lui durante i blackout indotti da continue assunzioni di droghe, che avevano lo scopo di stordire e far perdere i sensi al ragazzo per renderlo inerme e offuscargli la memoria.
Donny non solo non era riuscito a denunciare l’accaduto ma per diversi mesi aveva continuato a subire tali soprusi consciamente.
Tutto questo lo aveva distrutto, provocando una perdita d’identità e di autostima. 
Vergogna, rabbia, problemi relazionali. Ormai odiava se stesso.
Non affrontando l’accaduto con un’adeguata terapia e con una denuncia, che avrebbe potuto portare ad una giusta pena detentiva il suo aggressore, Donny lascerà una pericolosa porta aperta su un baratro.
Martha entrerà da questa porta, scaverà in questa voragine con caparbietà, bombarbando sulle rimanenti macerie.
Adesso come salvarsi?
L’ aspirante stand up comedian decide di raccontare tutto sul palco, processando gli abusi subiti attraverso una catarsi artistica.
Parallelamente Martha subirà un processo e una condanna detentiva.
Tutto questo può bastare ad aggiustare le cose in Donny?
Bisognerà imparare a convivere con le ombre e a non farsi sopraffare da loro.

Richard Gadd in 'Baby Reindeer'

Questa è una storia vera.
L'autore nonchè attore protagonista Richard Gadd ha vissuto realmente tutto quello che viene riportato nella miniserie Baby Reindeer che inizialmente nasce come opera teatrale; l'omonimo one man show di Gadd risalente a qualche anno fa.
Puntata dopo puntata Baby Reindeer scuote l’animo, è disturbante, fa male.
Affronta in maniera cruda e autentica tematiche molto forti e complesse da analizzare, come il rapporto tra vittima e carnefice e la vulnerabilità,  a cui siamo esposti, dopo aver subito un trauma psicologico lasciato in un limbo insoluto.
Una serie allo stesso tempo drammatica e sarcastica che si basa su una magnifica scrittura e sull’intensità delle interpretazioni di Richard Gadd e soprattutto quella di Jessica Gunning che evoca memorabili ammiratrici psicopatiche come la Annie Wilkes di Misery non deve morire e la Marsha di Re per una notte.
Martha è una stalker recidiva, una donna che si porta dentro  tanta sofferenza e una solitudine a cui è condannata a vita, a causa della sua psicopatia.
Vuole essere importante per qualcuno, altrimenti per lei è come non esistere. La sua è una ricerca ossessiva di una persona speciale da divorare.

Jessica Gunning in 'Baby Reindeer'

Donny è la preda perfetta, poiché ancora devastato da un precedente abuso e Martha ha la capacità di intuirlo subito: ‘ Qualcuno in passato ti ha fatto del male. Chi è stato? Dimmelo piccola renna!’
Una persecuzione che non lascerà scampo ma, allo stesso tempo, pare che Donny non ne possa fare a meno.
Elogiata dal maestro del terrore Stephen King la serie Baby Reindeer riesce a scatenare nello spettatore un’ emozione ormai quasi sconosciuta, dimenticata nel nostro vivere quotidiano: l'empatia.
Empatia per Donny e, incredibilmente, anche per Martha perchè ci si specchia in entrambi.
Un’autoanalisi, un utilizzo dell’arte come terapia, una sovrapposizione tra finzione e realtà.
Il reale personale trauma di Richard Gadd.
La finzione, ovvero, la trasposizione di tali fatti nella serie Baby Reindeer.
Il circo mediatico; la risposta morbosa del pubblico attraverso la realtà virtuale, in cui è partita una caccia per scoprire chi poteva corrispondere nella vita reale a Martha e Darrier, per poi stalkerizzare e insultare i presunti colpevoli individuati inducendoli a denunciare Richard Gadd.
Così l'importanza e la profondità delle tematiche trattate dalla serie vengono annientate. L'esortazione a tutte le vittime di denunciare gli abusi subiti viene vanificata a causa di tali stoltezze.
Come ci dimostra Gadd, nel finale di Baby Reindeer, tutti possiamo avere ruoli intercambiabili.

martedì 23 luglio 2024

MEMENTO MORI #4: ‘THE HATEFUL EIGHT’, di Quentin Tarantino

 

THE HATEFUL EIGHT di Quentin Tarantino

L’amaro destino di un cacciatore di taglie
di Maddalena Marinelli

Una lunga inquadratura sull’immagine desolante di un grande crocifisso che sta scomparendo sotto la neve, in un luogo assolutamente dimenticato da Dio.
Suggerisce solo una riflessione laica. 
L’emblema più famoso della crudeltà umana.
Un uomo torturato e inchiodato ad una croce finché morte non sopraggiunga.
Cosa ci può essere di più barbaro e orrendo? 
Preannuncia al pubblico il carnaio che presto avrà inizio, in una completa assenza di perdono e pietà.
Sull’inquietante e improvviso incalzare della musica di Ennio Morricone compare dal nulla una diligenza che sfreccia nel paesaggio innevato del Wyoming con a bordo il noto cacciatore di taglie John Ruth detto ‘il boia’ e la famigerata fuorilegge Daisy Domergue, creatura rabbiosa e razzista destinata alla forca.
Sono trascorsi pochi anni dalla fine della Guerra Civile Americana.
Una Nazione ancora dilaniata e confusa sui concetti di moralità, giustizia e legalità.
In giro molti fuorilegge, disertori, sopravvissuti che non hanno nulla da perdere dopo essersi calati nell’abisso dei disastri della guerra. 
Si vive pensando di poter morire da un momento all’altro.
E’ in arrivo una tormenta e la diligenza, diretta a Red Rock, decide di sostare all’emporio di Minnie.
Il grosso del lavoro di John Ruth sembra concluso ma in realtà tutto è pronto a complicarsi terribilmente.
Gli uomini che incontrerà lungo il tragitto e quelli che troverà nel bungalow, forse, non sono quello che dicono di essere.

Kurt Russell e Samuel L. Jackson in 'The Hateful Eight'

In un ristretto spazio si ritroveranno otto veri bastardi a confrontarsi con le conseguenze e i rancori della Guerra di Secessione, le questioni razziali, la legge della frontiera ma soprattutto con un carico d’odio sconsiderato che ognuno cova per motivi diversi.
“L’odio è un sentimento autolesionista. Ci toglie dignità e grandezza, è come una catena” (Ingrit Betancourt)
Odio nei confronti del prossimo perché nero, perché nordista o sudista, perché straniero, perché donna, perché pericolo a prescindere.
Basta molto poco per mettere mano alla fondina, come una parola di troppo o una sciocca storiella inventata ad arte.
Una polveriera pronta ad esplodere con dentro yankee, schiavisti, neri, messicani, cacciatori di taglie, fuorilegge. 
Il candido manto nevato non impiegherà molto a tingersi di sangue.
Chi è veramente quello che dice di essere?
Nel gioco delle identità da scoprire arrivare alla verità costerà molte vite come in Dieci piccoli indiani di Agatha Christie
Nessuno si salva, tutti sono veri autentici ‘odiosi’.
Tanto marciume, dialoghi sboccati, corpi maciullati che deflagrano, cattiveria, sadismo, menzogne.
Questa parabola dell’odio appartiene solo al passato?

Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh e Bruce Dern in 'The Hateful Eight'

Tarantino è cambiato ma non rinnega gli inizi. 
Torna alle sue folgoranti origini con un impianto teatrale che ricorda dichiaratamente il ‘tutti contro tutti’ di Le iene anche se in The Hateful Eight i personaggi sono trattati con più distacco. 
Vengono raccontati con meno amore e non ci si preoccupa di farli conoscere meglio tramite flashback.
Abbandonati a se stessi dal loro autore, lo spettatore può unicamente affidarsi alle loro parole e ai fatti estemporanei.
Quella crudeltà che si sviluppava in un variopinto mondo criminale odierno adesso viene collocata in un preciso quadro storico: Il nazismo in Bastardi senza gloria, lo schiavismo in Django Unchained e il post-Guerra Civile Americana in The Hateful Eight.
Un Tarantino meno interessato a giocare con il cinema per il cinema, il citazionismo, la caricatura, il maniacale tecnicismo, il puro splatter.
Diventa più riflessivo, più indagatore sulle origini del male contemporaneo, anche se il gusto per l’artificio supera l’autenticità della narrazione.
Quella rappresentazione funesta e grottesca della cattiveria dell'uomo e della sua avidità si apre verso un preciso contesto storico e tutto sembra diventare improvvisamente più greve, nonostante non rinunci al pulp.

Jennifer Jason Leigh in 'The Hateful Eight'

Ovviamente ad essere presa di mira è proprio la sua Nazione carica di irresolutezze ed espiazioni da scontare, in cui l’odio razziale è ancora molto presente e all’ordine del giorno.
Django Unchained, più lirico e maestoso, accoglieva in un magnifico connubio sapori diversi. 
Il gioco surreale, l’ironia, le rielaborazioni tarantiniane dei classici western con la drammatica riflessione sulle reali atrocità dello schiavismo.
The Hateful Eight è un’opera da camera dove lo spettatore è l’invisibile numero nove invitato ad entrare nell’emporio di Minnie e starsene in prima fila a guardare l’inesorabile svolgersi degli eventi.
Questi ‘odiosi otto’ si fanno continue provocazioni, si insultano, s’inventano storie e vite inesistenti. 
Tutto è affidato al gioco verbale, mai stato così nichilista, che diventerà gioco di sangue.

Michael Madsen in 'The Hateful Eight'

Qui non c’è nessun eroe, tutti sono delle carogne, nessuno è senza macchia.
L’unica cosa che riporta ad una composta emozione provocando, per qualche momento, una sorta di magica amnistia è quella lettera di Abramo Lincoln  che scuote gli animi.
Dentro le quattro mura di quel rifugio Tarantino concentra tutto il suo ingegno, gli innesti citazionistici, i suoi famosi arzigogolati dialoghi, i soliti girotondi tra  cacciatori e prede che si annusano in attesa di sferrare l’attacco.
Sappiamo come venera il cinema, lo conosce, ne ha grande consapevolezza tecnica, ne è completamente ossessionato e fagocitato.
E’ un regista che ama molto di più essere spettatore. 
Quando guarda nella macchina da presa pensa di essere seduto in sala a godersi il film.
Si è esposto in prima linea nella battaglia tra pellicola e digitale.
Al New Beverly Cinema di Los Angeles, la sala cinematografica di sua proprietà, si proietta esclusivamente in celluloide e per questa sua ottava opera filmica ha preteso ed è riuscito a girare in 70mm, ottenendo inquadrature molto ampie e profonde rievocando la maestosità visiva di certi kolossal del passato.
Una costosa sciccheria controcorrente.
Peccato che non ne potranno godere in molti.
 
Tim Roth in 'The Hateful Eight' 

Tarantino incarna lo star system o se ne può fregare perché è tra quei pochi che possono starci dentro e uscirne quando vogliono senza alcuna conseguenza.